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Rembrandt, Il dottor Faust, acquaforte e acquatinta,  c. 1652

«Naasé adàm». Facciamo l’uomo

Paolo Aldo Rossi
Università di Genova

 

All’alba della modernità, all’apogeo del Rinascimento, negli ultimi anni del XVI secolo, nascono contemporaneamente il mito di Faust e il mito di Golem, archetipi apparentati, ma contradditori, dopo quattro secoli lanciano la loro sfida all’uomo e alle sue opzioni profonde. Faust è il mito dell’uomo moderno. Golem è il mito dell’ uomo post-moderno.
André Neher, Faust e il Golem

«E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” ... E Dio fece l’uomo a sua immagine. A immagine di Dio lo fece. Maschio e femmina lo fece»
(Gen. I - 26/27)

Nel 1964, l’anno della sua morte, il padre della cibernetica Norbert Wiener dà alle stampe il suo ultimo libro God & Golem Inc., un’ampia analisi del problema dei rapporti fra il Creatore e la Creatura, sia, cioè, fra Dio e l’Uomo che fra l’Uomo e la Macchina («la controparte moderna del Golem del Rabbino di Praga»). Si tratta della sua definitiva riflessione sulle «opzioni profonde» implicate dalla nuova scienza e nello stesso tempo dell’ideale continuazione di The Human Use of Human Beings, l’opera che nel 1950 lo trovò schierato sul fronte della difesa dell’uomo nei confronti della tecnologia: «Siamo nella posizione dell’ uomo che ha soltanto due ambizioni nella vita: l’una di inventare il solvente universale che sciolga qualsiasi sostanza solida, l’altra di inventare il recipiente universale che conservi qualsiasi liquido. Abbiamo attirato su noi i demoni dell’epoca come porci di Gadara, e la nevrosi ossessiva della mobilitazione scientifica ci sta trascinando nell’abisso dell’autodistruzione»; e ancora: «Quelli fa noi -già aveva scritto tre anni prima- che hanno contribuito alla nuova scienza si trovano così in una posizione morale a dir poco scomoda. Abbiamo contribuito alla nascita di una nuova scienza che, come ho detto, comporta sviluppi tecnici con grandi possibilità per il bene e per il male. Non possiamo far altro che consegnarla al mondo che ci circonda, e questo è il mondo di Belsen e di Hiroshima».
Nel 1948, l’anno dopo il Doktor Faustus di Thomas Mann, Wiener aveva pubblicato un singolare best-seller, Cybernetics, un’opera di difficile lettura per il non matematico, che invece calamitò l’attenzione di decine di migliaia di lettori non specialisti proprio per alcuni suoi frequenti intermezzi filosofici capaci di proporre una nuova «visione del mondo» e indicare una «sinn-gebung» di tale generalità da fungere da globale «conferimento di senso» vuoi ai dati della scienze empiriche che a quelli delle scienze umane in un’epoca in cui il mito faustiano dell’onniscienza aveva dovuto fare i conti con una nuova tragica morte di Johannes Faustus, strangolato dal Diavolo fra le fiamme dell’Inferno. «Oh speranza disperata, a cosa debbo io rinunciare!» si ripeterà ancora una volta con il Lamento melanconico del Volksbuch, cui farà da contraltare il goethiano: «Ahimé! Ho studiato a fondo e con ardente zelo filosofia e giurisprudenza e medicina, e purtroppo, anche teologia. Eccomi qui, povero e pazzo, e ne so quanto prima!».
Alla titanica figura dell’umanista «senza lettere», il tedesco Johannes Faustus, l’Hemitheos di Heildelberg, il filosofo dei filosofi, l’empio cercatore del sapere totale che alla fine di una drammatica esistenza deve riconsegnare i lacerti della propria anima al Dio del Male cui l’aveva promessa, la nostra epoca, uscita a frantumi dalle tragedie della guerra, trova sulla propria strada gli scampati all’Olocausto che a Faust oppongono il personaggio di Giobbe, colui che pazientemente s’accontenta di non cercare ragioni dato ch’egli non c’era quando Dio poneva le fondamenta del mondo.
Ma è uno di loro, l’ultimo della stirpe di Mosè Maimonide, il figlio di Leo Wiener (Jehudah Loew è il nome del Grande Rabbino di Praga) a riportare alla luce la singolare figura di un Faust ebraico: il creatore del Golem, colui che al «facciamo l’uomo a nostra immagine» risponde «facciamo la macchina a nostra immagine». Come Rabbi Jehudah ben Bezalel Liwa e come il cabbalista Maimonide, anche Norbert Wiener è affascinato da una nuova Qabbalah traboccante di dinamismo, la stessa che permette di competere con il Creatore nella progettazione e nella attuazione della vita.
Norbert Wiener era un matematico noto soprattutto per alcuni decisivi apporti alla teoria del potenziale, alla generalizzazione e formalizzazione delle teorie sugli spazi vettoriali, allo sviluppo dell’analisi di Fourier, alla dimostrazione di alcuni teoremi tauberiani, alla trattazione matematica del moto browniano, e infine al problema dei fondamenti del calcolo delle probabilità e alla elaborazione della teoria della predizione. Come ingegnere (nel campo degli aspetti applicativi delle matematiche) il suo nome era legato principalmente alla costruzione dei primi calcolatori elettronici (analogici e numerici), alle tecnologie (sia logico-linguistiche che ingegneristiche) di vari sistemi di comunicazione, al famoso sistema automatico di puntamento antiaereo, e all’ipotesi sul parallelismo fra turbe psichiche e irregolarità dei sistemi di autoregolazione meccanici ed elettrici.
L’insieme di questi risultati costituisce l’ossatura tecnica della «cibernetica» e rappresentò il punto di passaggio obbligato per la costruzione della nuova disciplina. Inoltre, un certo numero di ipotesi di lavoro (già presenti in precedenti saggi di Wiener), intese ad analogare strutture e funzioni di alcune particolari macchine (sistemi a feed-back e informazione) con quelle degli organismi viventi, ne costituisce l’ambito teorico di maggior rilevanza specifica. Infine il libro contiene, comunque in modo non sistematico, diverse riflessioni filosofiche finalizzate al conferimento di senso ai risultati tecnici e alla costruzione di una Weltanscbauung di tipo non meccanicistico e non vitalistico. Questi tre aspetti: l’applicazione dell’analisi funzionale e del calcolo delle probabilità alle tecnologie del controllo e dell’informazione, la costruzione di una teoria interdisciplinare in grado di analogare gli aspetti strutturali e funzionali dei sistemi elettromeccanici con quelli dei sistemi biologici, e infine la costruzione di una immagine «cibernetica» del mondo, rappresentarono la triplice anima di una delle teorie scientifiche che maggiormente ha informato di sé la nostra epoca.
Ciò che però contribuì in modo determinante al successo della cibernetica fu proprio il suo impegno alla costruzione di una immagine filosofica del mondo in grado di sostituire, evitandone gli errori, quella ormai definitivamente squalificata del meccanicismo. In questa prospettiva, però, il termine cibernetica non si limito più a indicare una teoria transdisciplinare contenente la teoria dei servomeccanismi e della retroazione negativa, la teoria matematica e ingegneristica delle comunicazioni (livellamento, filtrazione, codificazione, e trasmissione-ricezione economica, fedele ed efficiente di segnali in presenza di rumore), la teoria della predizione del futuro valore di una variabile in una catena informativa, la teoria degli automi e delle macchine calcolatrici, e infine un certo numero di ipotesi di lavoro riguardanti una serie di analogie fra gli aspetti autoregolativi ed informativi presenti nell’universo della fisica, della biologia e delle discipline psicologiche e socio-storiche, ma quasi in un crescendo di travolgente ottimismo, incominciò a espandersi fino ad assumere le caratteristiche denotative di una immagine del mondo di metafisica grandiosità.
L’ipotesi di cibernetica (la quale costituisce il nucleo portante dell’intera disciplina), nata come ipotesi di lavoro in ambito biofisico, acquistò via via l’aspetto di una ipotesi esplicativa di crescente generalità: dalla sua prima formulazione come ipotesi neurofisiologica (alcune turbe neuropsichiche sono analoghe a difetti di controllo ed elaborazione dell’informazione nelle macchine) si allargò al campo della biologia (le basi fisiche della vita e dell’intelligenza sono riproducibili mediante automi in grado di autoregolarsi e di trattare informazione), a quello della psicologia (è sempre possibile riprodurre a qualsiasi comportamento dell’uomo e dell’animale mediante opportuni automi), fino a diventare un’ipotesi di antropologia filosofica (non esiste alcuna attività che l’uomo può compiere che anche l’automa non possa eseguire), e infine di metafisica (il mondo è costituito e retto secondo due principi opposti: l’entropia positiva e l’entropia negativa, disordine e ordine, degradazione dell’energia e produzione di informazione, distruzione e progresso, i quali giocano dialetticamente l’uno nei confronti dell’altro su due itinerari storici interattivi: quello che va verso la vita, e l’ordine, la conoscenza, il progresso, e quello che va verso il disordine, la degradazione, e la distruzione).
Secondo Wiener la cibernetica inizia là dove cessa la fisica. La frontiera fra le due scienze viene innalzata nel punto in cui si opera una estensione del sistema concettuale della meccanica classica mediante l’uso della nozione di feed-back ed informazione. Il sistema fisico viene concepito come caratteristico per il suo flusso di energia emessa e inviata senza ritorno. Il sistema cibernetico viene concepito come caratteristico per il feed-back: ogni informazione emessa dal sistema comporta un ritorno che permette di regolare in qualche modo il flusso dell’informazione seguente. Storicamente tale sistema coincide con l’apparire della vita sulla terra; al livello biologico si verifica sempre uno scambio con l’ambiente circostante, e tale sistema di scambio esige un meccanismo operativo di complessità crescente in accordo con l’evoluzione stessa. In qualsiasi passo evolutivo si registra, rispetto al passo precedente, il risultato di un volume maggiore di comunicazione dal quale ne segue un sempre miglior rapporto cognitivo verso la natura ed un crescente dominio della medesima.
È fondamentale a tal fine che vi sia un principio di organizzazione e controllo dell’informazione, un principio cioè del tipo a feed-back (tale costrutto avrà in Wiener una portata filosofica ed epistemologica rilevante). La funzione dell’ informazione (sia essa notizia, comando, valore o conoscenza...) non è quella di cancellare l’entropia (di eliminare la funzione del II° principio della termodinamica), ma è quella di opporsi all’entropia, ritardandone l’azione o minimizzandola. In questa luce si istituisce una teoria del progresso visto come aumento dell’informazione o della conoscenza dell’uomo opposta alla tendenza entropica della natura fisica. Secondo Wiener ciò che qualifica l’essere vivente nei confronti della natura fisica è che a differenza di questa nel vivente vi è una tendenza verso l’informazione, l’organizzazione, e non verso il disordine e l’entropia. In tal modo dagli esseri inferiori: protofiti, protozoi fino alle specie più elevate, ciò che caratterizza l’evoluzione stessa è il flusso crescente di informazione come sistema di organizzazione reversibile atto ad acquisire un crescente controllo di ritorno fino alle forme della piena reversibilità che è il pensiero umano cosciente. In tal modo l’omogeneità (o meglio la tendenza all’omogeneità) del mondo è superata da esseri capaci di manipolare l’informazione nel senso di modificare continuamente il loro ambiente e modificarsi, al medesimo tempo grazie a un ritorno continuo dell’ informazione, sviluppando organi di ricezione e trasmissione sempre più complessi e programmando comportamenti sempre più adeguati.
Se l’evoluzione della specie è il risultato dell’aumento progressivo del sistema di circolazione dell’informazione, ciò che rende possibile tale aumento è un processo accumulativo per cui l’informazione può passare da una generazione all’altra sotto forma di programma fissato per gradi successivi; tale programma è da un lato fissato nel codice genetico e dall’altro nella memoria sociale. Considerare quindi il mondo come descrivibile mediante due itinerari storici -l’uno quello della degradazione dell’energia, del disordine cosmico, che va verso la distruzione, e l’altro quello della conoscenza della costruzione dell’ordine che va verso il mantenimento e il progresso- significa enunciare una visione del mondo di tipo filosofico o in altre parole significa istituire un discorso sulla totalità. In questa visione le coppie di opposti: mente-corpo, spirito-materia, vita-materia... non fungono in senso di elementi fra loro irriducibili, ma da termini dialettici: l’informazione nel suo tramutarsi diviene cioè da segno canale e da canale (supporto fisico) di nuovo segno per il controllo e il mantenimento di forme sempre più evolute di sistemi comunicativi in grado di opporsi alla tendenza entropica e di costruirne, a tal fine, una neg-entropica: il progresso.
Che cos’è quindi questa grandezza fisica: l’entropia, che tanta parte sembra avere in cibernetica?
Sia in termodinamica che in meccanica statistica viene usata una grandezza comune detta entropia. Tale grandezza esprime l’indice di reversibilità di un fenomeno: quando l’entropia rimane costante vuol dire che il fenomeno...; se varia, allora il fenomeno è irreversibile. La maggior parte dei fenomeni fisici è, come tutti sanno, di tipo irreversibile. Il II° principio della termodinamica esprime l’irreversibilità della trasformazione di energia termica in energia meccanica (o più semplicemente del calore in lavoro) ricorrendo proprio alla nozione di cambio d’entropia. (Entropia è un termine che deriva dal greco e significa «mutamento evolutivo» e cioè che il fenomeno non può essere riportato al suo stato iniziale).
Ammettiamo per ipotesi di avere un cilindro perfettamente isolato, dal punto di vista termico, dal suo ambiente, e che tale cilindro contenga uno stantuffo che comprime un certo gas. Ora se il gas si espande, eserciterà una pressione sulla superficie interna dello stantuffo facendogli compiere un lavoro (ad esempio sollevare un peso). Nel caso che vi fosse davvero un perfetto isolamento termico fra il sistema cilindro-gas-stantuffo e l’ ambiente, allora il fenomeno sarebbe reversibile. Infatti l’energia varia (dal gas al peso) mentre l’entropia rimane costante; infatti il peso potrebbe ripremere lo stantuffo e di per ciò stesso il gas.
Purtroppo si sa che questo è un caso teorico: infatti intere generazioni di ricercatori sono rimaste frustrate nella speranza di dimostrare il «perpetuum mobile». Ammettiamo ora (sempre in via teorica) di avere un cilindro diviso in due da una parete e contenente in una sola delle due parti un certo gas. Se la parete viene abbattuta e nell’altra metà del cilindro v’è uno stantuffo, siamo nel caso precedente; diversamente se il gas si espande nel cilindro vuoto, l’energia rimane costante e l’entropia varia: infatti, per ripremere il gas, sarebbe necessario un certo lavoro con una spesa di energia presa dall’ambiente.
In definitiva un aumento di entropia indica una minor possibilità di trasformazione di energia in lavoro. La meccanica statistica tiene conto di questo fatto descrivendo l’entropia come una funzione della temperatura, massa e natura di un gas. Se determiniamo cioè posizione e velocità di ogni sua molecola, avremo una descrizione dello stato del gas come media statistica fra tutti questi valori delle singole molecole. Ora si sa che un aumento di entropia corrisponde a un aumento di disordine nello stato del gas e quindi nella descrizione di questo. Per meglio dire, più è bassa l’entropia e meglio sono prevedibili ad esempio la posizione e la velocità delle molecole; più l’entropia aumenta, più cresce la difficoltà di previsione e il disordine. In altre parole, più la nostra conoscenza del sistema fisico diventa precisa, minore sarà il disordine.
La teoria dell’informazione contiene una grandezza analoga, essa potrebbe designata col nome di entropia. La famosa formula - S pj log Pi - detta misura dell’informazione (o meglio media ponderata del contenuto informativo di un insieme di messaggi) è la stessa notazione matematica usata in meccanica statistica per indicare l’entropia, solo che in teoria dell’informazione tale formula compare col segno opposto. Le ragioni di questo fatto non sono semplici e quindi cercheremo di esprimerle in modo semplicistico: al contrario che in meccanica statistica, più un insieme di messaggi è ordinato e più è prevedibile e quindi minor informazione convoglia. La formula della misura dell’informazione è quindi ovviamente tale da esprimere la situazione opposta di quella della entropia termodinamica.
Tale grandezza viene detta neg-entropia (o negativo dell’entropia termodinamica) o informazione. Comunque si è già detto che l’informazione non è la negazione dell’entropia, ossia che l’informazione riesce a opporsi e annullare l’azione del II° principio della termodinamica. La funzione dell’informazione è quella di ritardare l’azione della degradazione dell’energia. L’acqua di una cascata contiene potenzialmente energia che va degradata. Se però la si incanala in condotte forzate e la si usa per alimentare una turbina di un generatore, allora l’energia della cascata si trasforma in energia idroelettrica, questa in energia meccanica e da ultimo, ma con molta lentezza, in calore per sfregamento.
Si capisce quindi a questo punto la differente descrizione che Wiener dà del mondo della fisica e di quello della biologia: il primo teso all’entropia e il secondo teso a opporsi alla degradazione e alla morte. Da questa sua lettura del mondo N. Wiener ricava una lettura dell’antropologia filosofica certamente non priva di interesse. «Le prime spiegazioni dell’individualità -egli scrive- si sono rifatte a una specie di identità di sostanza, la quale poteva essere la sostanza materiale dell’animale o la sostanza spirituale dell’anima. Oggi siamo costretti a definire l’individualità come un qualcosa che è in rapporto con la continuità del modello e di conseguenza con qualcosa che partecipa della natura della comunicazione». Tale definizione dell’uomo aliena dalle classiche impostazioni dualiste, materialiste o spiritualiste, propone la costruzione di un’antropologia filosofica sugli schemi concettuali della teoria dell’informazione e del controllo, definire l’uomo attraverso la sua caratteristica precipua di essere informazione, e cioè un qualcosa di non riconducibile allo schema classico della contrapposizione fra materiale e non materiale, merita di essere, sia pur brevemente, analizzato a conclusione di questa annotazione.
Per Wiener ciò che qualifica il soggetto vivente nei confronti della materia inerte è l’orizzonte della storicità, è il suo istituirsi intenzionalmente come azione nel tempo e cioè come rapporto fra la memoria del passato ed un progetto teleologico verso il futuro. È con tale progetto che la massa disorganica delle informazioni sensoriali si confronta continuamente e retroagisce, organizzandosi in percezioni sensoriali unitarie: messaggi che da un lato fungono da organizzazione dei dati e dall’altro sono determinanti della condotta successiva. Il riconoscimento di tale progetto (il mantenimento dell’equilibrio del proprio corpo vivente e non quindi soltanto il mantenimento del materiale di cui questo è composto) implica il riconoscimento della propria soggettività: il proprio essere «progetto» il rapporto con l’altro, con l’ambiente.
Il soggetto, infatti, in quest’opera di confronto fra il proprio stato attuale e quello ideale di equilibrio, commercia continuamente informazione con l’altro, scopre di poter interagire con questo in quanto comunica nello stesso modo e di conseguenza rinviene nella comune possibilità di esprimersi l’orizzonte del «noi» in cui si riconosce come «io». Nei processi del metabolismo biologico dell’adattamento all’ambiente fisico delle retroazioni e interazioni sociali, delle mutazioni delle rotte storiche, l’individuo mantiene la propria identità che non è individuabile nel materiale di cui è composto il suo corpo organico, né in una presunta sostanza spirituale e immutabile di cui è composta la sua mente, ma è la continua realizzazione riuscita di un progetto che è il mantenimento della propria struttura informazionale (dalla struttura molecolare fino alla cultura del proprio gruppo) all’interno di una sempre e più complessificata rete di continue modificazioni .
Non è difficile, a questo punto, capire quindi quale rilevanza rivesta a livello filosofico la visione cibernetica del mondo. Ma in particolare il tema dell’«individuo come parola» sia in senso eidetico che poietico, sia in senso semantico che pragmatico, porta Wiener al cuore stesso della tradizionale cultura ebraica ossia alla fondamentale tematica: parola dell’Essere ed essere della parola. Come nel Prologo di Giovanni: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio», per Wiener l’aver Dio fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza è, appunto, averlo fatto «parola»: «l’individuo è un qualcosa che è in rapporto con la continuità del modello e di conseguenza con qualcosa che partecipa della natura della comunicazione... l’individualità del corpo è piuttosto quella di una fiamma che quella di una pietra, quella di una forma anziché quella di un frammento di sostanza. Questa forma può essere trasmessa o essere modificata e riprodotta ...».
È a questo punto che la faustiana cibernetica si fonde con la mistica del Maharal di Praga: la creazione di un Novello Adamo, tramite la parola, o meglio tramite la scienza del controllo e dell’informazione nell’animale e nella macchina, di un essere libero ed intelligente.
Il Doktor Johannes Faustus e il Rabbi Jehuadah Loew ben Bezalel non furono solo il parto della fantasia di letterati che cercavano di dare un nome e uno stato civile ai due sogni più sfrenatamente empi che l’uomo abbia mai saputo concepire: il possesso geniale e totale del sapere e la creazione della vita intelligente dalla materia bruta. Questi due uomini trascorsero la loro parabola umana in un’epoca, il Rinascimento, in cui l’onniscienza e onnipotenza rappresentarono non uno stato di delirio patologico, ma il convinto, consapevole, dichiarato progetto di liberazione dell’uomo fondato sulla certezza della sua particolare ed eccezionale dignità. Le date che delimitano la vita di Faustus e di Rabbi Loew sono rispettivamente: 1480-1540 e 1512-1609, l’intero periodo rinascimentale, l’epoca in cui alcuni uomini avevano fatto dell’Ybris la propria regola di vita ed avevano cancellato la ftonos dalle proprie paure.
Nel De Occulta Philosophia Cornelio Agrippa di Nettesheim ribadisce l’ideale di Faustus con un dichiarato progetto di conquista dell’onnipotenza: «Penetrare successivamente in ciascuno dei tre mondi e giungere fino al mondo archetipo animatore ... e godere non solo delle virtù possedute solo dalle cose più nobili, ma conquistarne di nuove e sempre più efficaci ... Conseguire tanta forza attrattiva, ottenere sempre più mirabili e grandiose opere sì da ascendere a tale perfezione da divenir simili al figlio di Dio, trasformarsi nella immagine stessa di Dio ed essere con lui una cosa sola».
Si tratta del procedimento al limite della grande speranza di liberazione contenuta nel mito ficiniano del Pimandro di cui s’è già detto in pagine a queste precedenti:

L’intelletto divino ... generò mediante il Logos un intelletto demiurgo che, essendo dio del fuoco e dell’etere, creò sette ministri,, quali racchiudono in cerchi il mondo sensibile, e il loro governo è chiamato destino: «E l’uomo, come fu creato e quale fu la sua primigenia caduta?» Il Nous procreò l’uomo simile a sé, ed esso si rallegrò come di Suo figliolo. Imperò che egli era bello e portava seco l’immagine di suo padre ... dilettandosi della sua propria forma concedette tutte le sue opere all’uso umano. Ma l’huomo conciosia che considerasse la procreazione di tutte le cose nel suo padre, esso ancora vole fabbricare onde cadde dalla contemplazione del Padre a la sfera della generatione ... [acquisito così il potere dei «sette governatori» l’uomo entra nella sfera demiurgica ] Il quale dappoi che ebbe compreso la loro essentia e ragguardò la loro propria natura, già molto desiderava di trapassare e ricidere il circuito de’ loro cerchi et comprendere la possanza del Governatore Presidente al fuoco, e avendo avuto ogni arbitrio e potenzia sopra li mortali del mondo, e che sono sanza ragione; e uscì, et subito passò per l’armonia, penetrando e recidendo la virtù de cerchi, e fugli manifesta la Natura che trascorre di sotto, a similitudine della bella forma di Dio: la quale ... esso la vedessi essere adorna di maravigliosa bellezza, e tutte l’operazioni de sette governatori: e ancora avere la effigie di esso Dio, per grande amore verso quella sorrise: quasi cosa se egli riguardasse la forma della humana bellezza, nell’acqua come in ispecchio: e vedessi in terra di quella qualche adombratione. Elli oltre a questo ragguardando, quasi come nell’acqua, la forma che aveva in sé medesimo, a sé simile quella amò; e desiderò d’accostarsi con essa. L’effetto subitamente seguì la volontà: e generò una forma che mancava di ragione. et ancora la natura abbracciato quello, nel quale era tutta dall’amore portata, in tutto a quello s’appiccò e mescolossi».

È in definitiva lo stesso mito di Faust composto in età alessandrina e tradotto un secolo prima che comparissero il Volksbuch (il racconto popolare tedesco del 1587 sulla vita dell’umanista di Heildelberg) e il marlowiano The Tragic Story of Doctor Faustus.
Ma ciò che a Faust fu solo attribuito per artificio poetico (da Goethe) e di Paracelso venne favoleggiato da una incerta leggenda (l’homunculus): la creazione di un uomo artificiale, libero e intelligente, per quanto riguarda il Rabbino di Praga, invece, la creazione del Golem sembra essere parte imprescindibile della sua stessa storia, segno significante del suo filosofare, materia propria della sua mistica. Egli ripete la mimica, il gesto, i toni e le proporzioni del fare e del dire del Creatore: la sua statua di fango si vivifica nel momento in cui le viene segnata sulla fronte la parola
EMET (Verità). La materia bruta diventa vita, l’automa prende a muoversi e ad agire, la sua struttura materiale si trasforma in funzione nel momento in cui accoglie in sé l’informazione, la macchina funziona grazie al programma.
Ma il racconto continua: il Golem, servo del Rabbino di Praga per sei giorni della settimana, deve anch’egli osservare il Shabbat e riposare, e difatti al sopraggiungere del settimo giorno il Maharal toglie dalla fronte del Golem la lettera Alef, lasciando così che la Mem e la Tau sole compongano la parola Morte. Sfortunatamente un giorno se ne dimentica e l’automa, testimone della trasformazione del disordine nell’ordine, perde questa sua funzione e si tramuta in anti-Shabbat, in Chaos, in portatore della catastrofe. L’esplosione del disordine inizia nel ghetto di Praga e punta decisamente verso la totale frantumazione dell’universo se non fosse che nell’attimo ultimo che precede il crepuscolo della vigilia del Sabato, il Rabbi riesce a togliere dalla sua fronte l’Alef condannando l’automa alla morte definitiva e se stesso alla impossibilità di ripetere il rischio e la scommessa.
«Facciamo la macchina a nostra immagine e somiglianza», ma quali saranno le conseguenze quando ci si troverà nelle stesse condizione del Dio che, creato l’universo ex-nihilo, si trova di fronte a un ordine «meccanico» che non può essere infranto se non quando alla materia insuffla lo spirito, o in altre parole quando al Golem viene commesso lo stesso destino dell’anima che è quello della libertà e quindi della possibilità di scegliere l’errore? Egli si ribellerà contro il suo «creatore»? Non sarebbe stato meglio lasciare alla materia il suo ordine meccanico? Non ha significato questo dono della libertà anche l’introduzione del male? Norbert Wiener risponde: «Dio non è l’Onnipotente, come una terminologia superficiale e volgare suggerisce, ma l’essere che accetta di limitare il suo potere...» e indica con ciò una nuova strada che non è ormai più quella di Faust né quella di un Golem-mostro alla Frankestein, ma al contrario è la strada percorsa da un altro ebreo russo: Isaac Asimov, lo scrittore che ha messo in campo Andrew Martin, l’androide che non s’accontenta di vedersi riconosciuto lo status di «robot libero» o meglio di «liberto» (schiavo affrancato dal vincolo di essere «proprietà altrui»), ma pretende gli venga riconosciuto il diritto d’essere chiamato a pieno titolo «essere umano», il termine chiave che campeggia a chiare lettere nel suo imperativo categorico: «Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere come principio di una legislazione universale», «Opera in modo da trattare l’umanità, nella tua come nell’altrui persona, sempre come fine e mai come mezzo», «Fa in modo che la volontà possa considerare se stessa, mediante la sua massima, come universalmente legislatrice».
Ma questa, accanto ad altre del Rabbino di Praga, è una storia che racconterò in seguito.


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