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Incisione tratta dall'edizione veneziana del 1822

 

Andrew Ramsay

Dei Viaggi Di Ciro
Libro Primo

 

CiroMorto Sardanapalo, l’impero Assirio, che per molto tempo dominava tutta l’Asia, si divise in più parti. Arbace, governatore della Media, unitosi con Beleso, governatore di Babilonia, per balzare dal trono quell’effeminato sovrano, lo assediò nella sua capitale, ove lo sventurato imperatore, per non rimaner prigioniero, incendiato colle proprie mani il palazzo con tutti i suoi tesori perì fra le fiamme. A questo successe Nino, il vero crede dell’impero, che regnò in Ninive; ma Arbace e Beleso s’impadronirono, l’uno della Media, l’altro della Caldea, e di tutti i loro vicini territorj. L’antico impero Assirio fu in tal guisa diviso in tre regni, de’ quali Ecbatana, Babilonia e Ninive erano le capitali. Ninive divenne poco dopo preda degli ambiziosi successori di Beleso; quelli di Arbace estesero le loro conquiste col rendere tributarie le vicine nazioni, e principalmente la Persia. Tale era lo stato dell’Asia, quando nacque Ciro da Cambise re di Persia, e da Mandane figliuola di Astiage re de’ Medi.

Assurbanipal a caccia
Fregio con il Re Assurbanipal a caccia, chiamato Sardanapalo
dai Greci. Arte Assira, VII sec. a.C., Londra British Museum

CiroCiro fu educato secondo l’antico costume dei Persiani. La gioventù era avvezzata alla fatica e agli stenti, la caccia e la guerra erano i suoi soli esercizi; ma presumendo troppo del suo valore, non soffriva la militar disciplina. Non conoscevano i Persiani quelle arti e quelle scienze che dirozzano la mente ed i costumi; possedevano però la scienza sublime di contentarsi della semplice natura; e, disprezzando la morte per amore della patria, fuggivano tutti i piaceri che indeboliscono il corpo e lo spirito; si avvezzavano ad una esatta sobrietà e ad una continua fatica. Le indisposizioni più lievi prodotte dalla intemperanza erano reputate ignominiose. Li giovani educati nelle pubbliche scuole imparavano a conoscere le leggi, ad ascoltare le cause, a giudicarle, a rendersi vicendevolmente la più esatta giustizia; e così manifestavasi la loro capacità per quegl’impieghi, a’ quali erano destinati in una età più matura. L’amore della verità, la beneficenza, la sobrietà e l’obbedienza erano quelle virtù che li precettori cercavano principalmente d’infondere nel loro animo. Il principal fine delle leggi fra gli antichi Persiani era quello d’impedire la corruzione del cuore; perciò si puniva l’ingratitudine, vizio al quale non provvidero le leggi delle altre nazioni, e si considerava l’ingrato come nemico della società.
CiroQuantunque Ciro dovesse essere un giorno l’erede del trono, fu però severamente obbligato ad osservare una esatta obbedienza: il che gli servì di norma per comandare. Giunto al quattordicesimo anno, Astiage desiderò di vederlo, e Mandane, non potendo opporsi al paterno volere, s’attristò dovendo condurre suo figlio alla corte di Ecbatana.

Testa reale. Arte achemenideTesta di giovanetto. Arte achemenide, V sec a.C., Londra, British Museum.

 

 

 

 

 

 

CiroI re della Media avevano col proprio valore esteso per lo spazio di trecent’anni le loro conquiste; ma queste conquiste medesime produssero il lusso che precede sempre la rovina di tutti gl’imperi. Valore, Conquiste, Lusso, Anarchia, sono il circolo fatale e i differenti periodi della vita politica di quasi tutti gli Stati. La corte di Ecbatana risplendeva a in quel tempo per la sua magnificenza; ma questo splendore non poteva durare lungamente. Si consumavano i giorni fra la mollezza e l’adulazione; l’amore della gloria, l’esatta probità e il vero onore non si pregiavano; lo studio di una Scienza si giudicava una mancanza di gusto, e si consideravano soltanto come qualità dello spirito gli ameni scherzi, i pensieri raffinati e le immagini vivaci. Si apprezzavano solamente gli scritti favolosi; si amava senza delicatezza; un cieco piacere ne era il solo allettamento; e le donne stesse usavano ogni mezzo per adescare. Ma sopra tutto era dannosa la nuova dottrina degli antichi Magi ovunque introdotta, che il piacere è solo principio che dà moto al cuore umano; e perché ognuno collocava il suo diletto in ciò che più amava, una tal massima dava luogo ugualmente alla virtù e al vizio, secondo il gusto, il capriccio e il carattere di ciascuno. Questo disordine non era però, in quel Tempo così universale, come lo fu da poi. Nella Media era ancora in fiore la militare disciplina, e nelle provincie si annoveravano molti prodi soldati non infetti dall’aria contagiosa di Ecbatana.
CiroEra Mandane afflittissima pensando a tutti que’ pericoli ai quali esponeva Ciro nel condurlo ad una corte tanto nel costume differente da quella di Persia; ma la volontà di Cambise, ed i comandi di Astiage la costrinsero ad intraprendere questo viaggio. Ella partì accompagnata da alcuni nobili giovani persiani comandati da Idaspe, a cui era stata affidata l’educazione di Ciro; e il giovine principe sedendo al fianco materno sopra di un carro, si vide per la prima volta distinto da’ suoi compagni. Mandane, principessa di colto intelletto, di sublime talento e di singolare virtù, per tutto il corso del viaggio cercò d’infondere nella mente e nel cuore di Ciro l’amore per la virtù, trattenendolo con favole conformi ai costumi orientali.
CiroMandane scoprì in Ciro una nascente superbia che poteva oscurare un giorno le sue virtù. Fece perciò ogni sforzo per fargli comprendere la bruttezza di questo vizio, e raccontogli la favola di Sozare, principe dell’antico impero Assirio; favola che ha molta somiglianza con quella del greco Narciso, che perì per un folle amore verso se stesso. Nella favola di Ermete Primo, gli rappresentò poi la bellezza di quella virtù che trasforma l’uomo in eroe con una magnanima dimenticanza di se medesimo. Era Ermete un giovane singolare, bello e saggio; senza conoscersi ignorava la sua stessa virtù, perché non sapeva che il vizio esistesse; e gli Dei in compenso di questa felice ignoranza lo avevano dotato di una sapienza così sublime che divenne l’oracolo di tutto l’Egitto. Mandane istruiva in tal maniera suo figlio; una favola dava origine all’altra, e le interrogazioni del principe somministravano alla regina nuovi argomenti per trattenerlo, e nuove occasioni per ispiegargli gli arcani oscuri delle favole egizie, che dopo le conquiste di Sesostri erano assai gustate in Oriente.
CiroGiunta ad una montagna consacrata al grande Oromaze, Mandane fermossi, discese dal suo carro, e si avvicinò al sacro luogo. Era il giorno di una festa solenne, e il gran sacerdote preparava la vittima coronata di fiori, quando improvvisamente trasportato da uno spirito divino, interrompendo la solennità del sagrifizio, esclamò: io veggo un nascente giovine alloro, che ben presto stenderà i suoi rami sopra tutto l’Oriente, e le nazioni verranno unite a ricovrarsi sotto la sua ombra. Mandane meditò profondamente sopra questo oracolo, e risalita sul suo carro, disse a Ciro: gli Dei talora fanno felici auguri per incoraggiare le anime eroiche, ma il verificarli dipende dalla nostra virtù: si compirà il volere del grande Oromaze, ma può cangiare il soggetto, se il predestinato si rende indegno della sua elezione.
CiroArrivati appena Mandane e Ciro alle frontiere della Media, Astiage andò ad incontrarli con tutta la corte. Astiage era un principe benefico e buono, ma la sua naturale bontà la aveva reso un sovrano troppo clemente, e la sua inclinazione ai piaceri aveva introdotto fra i Medi il gusto del lusso e della mollezza.
CiroCiro arrivato appena alla corte di Ecbatana diede prove di un ingegno e di una penetrazione superiore alla sua età. Astiage interrogollo replicatamente sopra i costumi le leggi e il metodo de’ Persiani nell’educare la gioventù, e restò molto sorpreso alle nobili e pronte risposte di Ciro ch’era ammirato e lodato da tutta la corte; ma queste lodi appunto instillando occultamente nel suo cuore l’orgoglio, cominciarono a corromperlo. Parlava soverchiamente, non ascoltava gli altri abbastanza, opinando sopra ogni cosa con franchezza, si mostrava in ciò fare assai vano. Per rimediare a questo difetto Mandane continuando col medesimo piano la sua educazione, gli raccontò la storia di Logide e di Sigèo.
CiroNella Beozia Tebana, disse ella, s’innalzava al trono per antico costume dopo la morte dei re, quello de’ suoi figliuoli, che dava prove d’intendimento migliore. Fra i figliuoli del morto re due ve n’erano, che mostravano un talento superiore agli altri. Logide il maggiore parlava molto, Sigèo il più giovane poco; e se ammiravasi nel primo lo spirito, il secondo era amato per la bontà del suo cuore; nel discorso di Logide si scorgeva chiaramente, che voleva superar tutti parlando, Sigèo all’opposto ascoltava volentieri e attentamente gli altri; il primo co’ suoi vivaci scherzi trattava giocosamente gli affari più intralciati e difficili, il secondo riducendo ogni cosa a principj semplici, rischiarava i passi più oscuri; Logide, senza essere secreto, usava con artifizio il mistero, e la sua politica era fondata sopra l’inganno; Sigèo impenetrabile senza essere mendace, superava ogni ostacolo con la sua prudenza e col suo coraggio; l’uno non mostrava il suo talento, che per farlo servire alla sua ambizione, l’altro nascondeva sovente le sue virtù, gustando il secreto piacere di fare con esse del bene.
CiroMorto il re, il popolo si radunò sollecitamente per iscegliere il successore. Dodici padri presederono alla popolare adunanza per porre un freno alla moltitudine, che si lascia condurre quasi sempre dalla prevenzione, dall’apparenza e dal genio. L’eloquente Logide fece un lungo studiato ragionamento, in cui espose tutti i doveri di un sovrano, volendo mostrare con ciò, che chi li conosceva sì bene, li avrebbe senza dubbio adempiuti. Sigèo espose brevemente tutti i pericoli, che s’incontrano nell’esercizio della sovrana autorità, e confessò la sua ripugnanza di esporvici. Gli assennati ed i vecchi opinarono per Sigèo; ma la gioventù e quelli di mente superficiale si dichiararono per Logide. A poco a poco nacque una sedizione sotto il pretesto, che Logide era stato ingiustamente escluso; li due partiti si armarono, e Sigèo per risparmiare il sangue de’ cittadini, offerì di cedere i suoi diritti al fratello, ma non vi acconsentirono i suoi.
CiroLi capi de’ due partiti, prevedendo le calamità, nelle quali lo stato era vicino a cadere, proposero che li due fratelli regnassero per un anno a vicenda. Li due fratelli vi acconsentirono, e Logide salito sul trono cangiò in poco tempo le antiche leggi, per sostituirne di nuove; ma ciò che appariva buono, riesciva nella esecuzione difficile e confuso. Chiunque aveva una vivace immaginazione era certo di giugnere ai posti più importanti; e tali ministri senza esperienza non conobbero i dannosi effetti di questi cambiamenti Le vicine nazioni approfittarono di questa inesperienza, e invasero il regno, che la prudenza, e il valore di Sigèo salvò dal cadere sotto uno straniero sovrano. Compiuto l’anno, ascese egli sul trono, meritò l’amore e la fiducia del popolo, rimise in vigore le antiche leggi, e con una saggia condotta più che con le vittorie scacciò l’inimico dal regno. Da quel giorno in poi fu solo sovrano, e la suprema adunanza de’ padri decise, che si dovesse per l’avvenire scegliere in re quello, che desse prove di maggiore discernimento, e non di spirito più vivace.
CiroCiro confessò i suoi falli senza giustificarli, ascoltò attentamente questa storia, ne comprese oggetto e determinò di correggersi.
CiroDiede quindi singolari prove di talento e valore. Aveva poco più di tre lustri, quando Merodaco, figliuolo di Nabuccodonosorre re dell’Assiria, con alquanti soldati, sotto apparenza di una caccia fece un’improvvisa scorreria nella Media, ed entrando egli stesso con dodici mila armati si accampò vicino alle prime piazzeforti, e di là mandò ogni giorno qualche distaccamento allo intorno per dare il guasto al paese. Astiage a tal nuova diede gli ordini opportuni per unir le sue truppe, e raccolti in fretta otto mila armati s’incamminò con suo figliuolo Ciassare e con Ciro alla volta dell’inimico. Giunto alle frontiere, pose il suo campo sopra un luogo eminente, da dove poteva vedere la pianura rovinata dai distaccamenti di Merodaco; e dato ordine a due principali uffiziali di spiar gli andamenti dell’inimico, Ciro desiderò di accompagnarli per riconoscere la situazione, i posti vantaggiosi e le forze dell’Assiria armata; il che eseguito ritornossene al campo, e diede una breve notizia di ciò che aveva osservato.

CiroIl dì seguente Merodaco levò il campo, e avvicinossi a quello, de’ Medi. Astiage radunò intanto un militare consiglio per proporre le sue deliberazioni. Li comandanti generali intimoriti dal numero degl’inimici, proposero di ritirarsi, o sospendere qualunque operazione fino all’arrivo di nuove truppe; non piacque l’opinione a Ciro desideroso di attaccar l’inimico; taceva però rispettando l’imperatore, e tanti esperimentati generali, quando Astiage gli comandò di parlare. Alzatosi allora in mezzo dell’assemblea con un aspetto nobile e modesto: Sì, disse, Merodaco è ora in cammino, ma non può avvicinarsi a noi senza passare per mezzo ad un bosco e ad una palude: avanziamo l’armata, attacchiamolo in questo sito, in cui né può distendere le sue truppe, né può circondarci. Io intanto mi porterò con cinquecento giovani Medi fra l’angusta valle ed il bosco ad occupare quel posto da me esattamente riconosciuto, e trascurato fin’ora dall’inimico.
CiroCiò detto tacque. Ammirò ognuno il suo militare talento in una età così giovanile, e Astiage comandò che fosse subito il di lui consiglio eseguito. Ciassare andò alla volta dell’inimico, e Ciro intanto accompagnato da Idaspe partì dal campo con un corpo di volontarj, e occupò nascostamente un angolo del bosco. Ciassare attaccò gli Assirj nel sito più angusto, e mentre per sostenerlo Astiage avanzò, Ciro uscì dal bosco, piombò sopra il nemico per fianco, ed i Medi incoraggiati dalla sua voce lo secondarono con valore. Fattosi dello scudo difesa, penetrò fra i battaglioni serrati, portando la per tutto la strage e il terrore. Gli Assirj, poiché si videro da ogni parte assaliti, perderono allora il coraggio, e disordinatamente fuggirono. Terminata appena la battaglia, l’umanità e la generosità ripresero sull’animo di Ciro il loro impero; s’intenerì al vedere il campo coperto di morti, e, prendendo la stessa cura degli Assirj come de’ Medi feriti, ordinò che fossero medicati. Sono uomini, disse; come lo siamo noi, né sono più nostri nemici, dacché sono vinti. L’imperatore cercò d’impedire in appresso tali scorrerie, e ritornò in Ecbatana.
CiroPoco dopo Mandane, dovendo partir dalla Media per rivedere Cambise, voleva ricondur seco il figliuolo, ma Astiage vi si oppose. Perché privar mi volete, diss’egli, del piacere di veder Ciro? Egli imparerà qui la militar disciplina, che nella Persia non è ancor conosciuta. Deh! Per quell’amore che sempre vi dimostrai, non mi negate questo contento. Cedette con molta ripugnanza Mandane alle brame paterne, col timore però di lasciare il figliuolo in una corte ch’era la sede di tutti i piaceri. Figlio mio, dissella trovandosi sola con lui, Astiage seco ti brama; ma io non posso senza pena lasciarti; poiché temo che i tuoi innocenti costumi siano corrotti da stolte passioni. 1 primi passi che tu movessi verso il vizio ti sembrerebbero semplici trattenimenti, un uso di convenzione, ed una libertà che troveresti necessaria tu stesso per renderti grato. La virtù si giudica a poco a poco troppo severa, nemica del piacere e della società e alla natura stessa contraria. Tu potresti guardarla come un fantasma politico o un popolar pregiudizio, da cui devono gli uomini liberarsi, quando possano secretamente soddisfare le loro passioni. Preoccupata la mente e corrotto il cuore, è facile il commettere qualunque colpa.
CiroResti meco Idaspe, rispose; egli mi salverà da’ pericoli. Io lo amo, e l’amicizia gli ha aperto da gran tempo il mio cuore; egli è il mio consigliere, il confidente delle mie debolezze. Era Idaspe un bravo uffiziale, che avea servito per molti anni sotto di Astiage nelle guerre contro gli Sciti, e contro il re di Lidia; uomo che in sé riuniva le austere virtù degli antichi Persiani e il gentil tratto dei Medi, gran politico e gran filosofo, soggetto di molta capacità e disinteressato, che aveva ottenuto i primi posti dello stato senza cercarli, e con moderazione gli esercitava. Persuasa Mandane delle virtù e della capacità d’Idaspe da una parte, e del profitto dall’altra che Ciro poteva trarre in quella corte, obbedì con minor pena al padre, e poco dopo partì. Ciro l’accompagnò per alcune leghe, e Mandane nel dividersi da lui abbracciollo con tenerezza dicendo: ricordati. o figlio, che la tua sola virtù può farmi felice. Il giovine principe, struggendosi in lagrime senza poter pronunziare parola, si separò per la prima volta da lei, e ritornò in Ecbatana.
CiroLe naturali virtù di Ciro, e più di tutto l’amore il conservarono puro in quella corte. A que’ giorni eravi in Ecbatana Cassandane, giovine principessa, parente di Ciro, e figliuola di Farnaspe, discendente dalla stirpe degli Achemenidi. Essendo moribonda la di lei madre, Farnaspe uno de’ primari satrapi della Persia, la mandò alla corte di Astiage, perché fosse educata colà sotto gli occhi di Arianna regina de’ Medi. Avea Cassandane acquistato tutte le gentilezze di quella corte, non i difetti: in lei gareggiavano lo spirito e la bellezza, una immaginazione vivace un saggio discernimento, e mente soda, e maniere gentili, e fini tratti di spirito, e virtù di ogni genere, il cui pregio era accresciuto dalla più rara modestia. La vide Ciro, la stimò, la amò, ma seppe cautamente nascondere i suoi sentimenti.
CiroLa parentela diede a Ciro frequenti occasioni di vederla e parlarle, e con la conversazione di lei egli crebbe insensibilmente in gentilezza. La beltà e la virtù della principessa svegliarono a poco a poco nel di lui animo tutti i sentimenti di una fervida passione.
CiroCiro trovava nella società di Cassandane tutti i piaceri dell’amicizia più pura, ma timoroso per naturale modestia e per l’età giovanile, non osava palesarle il suo amore. La bellezza di Cassandane gli diede in Ciassare un rivale. Era Ciassare quasi della età stessa di Ciro, ma di carattere ben diverso. Valoroso e vivace, d’indole però impetuosa ed altera, faceva conoscere la sua inclinazione per tutti i vizj tanto comuni alla gioventù. Cassandane non poteva amare che la virtù, e il suo cuore aveva già scelto. Ciassare non conosceva nell’amare moderazione, la sua nascita accresceva la sua naturale superbia, ed i costumi dei Medi lo autorizzavano, cosicché fu poco cauto nel palesare alla principessa la sua passione. Conobbe subito la di lei indifferenza, cerconne la causa, né tardò a scoprirla. Cassandane in tutte le pubbliche feste si mostrava franca ed allegra con Ciassare, ed era più guardinga con Ciro.
CiroIl principe di Persia non ancora conoscitore de’ secreti dell’amore interpretò il contegno di Cassandane in un modo diverso affatto da quello del suo rivale, e si credette, che abbagliata dallo splendore di una corona, si compiacesse dell’amor di Ciassare. Quindi sentì a vicenda la incertezza e la speranza, le pene e i piaceri di una viva passione, e la sua agitazione fu tale, che non poté restar a lungo nascosta. La scoprì Idaspe e gli disse: conosco che siete da qualche tempo pensieroso ed astratto, e credo comprenderne la causa. Voi amate, o Ciro; ma sappiate che per vincer l’amore non vi è altro mezzo, che sottometterlo sul nascer suo. Ignorate ancora a quali pericoli la sua frode conduca; sul principio alletta con le sue dolcezze, e sul fine avvelena. Da prima si considera un omaggio dovuto al merito, un sentimento degno di un cuore sensibile e grande; ma a poco a poco perde l’animo la sua forza, la mente il dritto sentiero, il veleno si accresce, e una inclinazione innocente tutto ad un tratto diventa pazzia e furore. Restò Ciro vivamente commosso da queste parole, le ascoltò con agitazione, si smarrì in volto più volte, ma non ardì rispondergli; e Idaspe che sapeva per esperienza quanto maggior forza della ragione abbia l’esempio, gli raccontò la storia di Zarina e di Striangèo, nella quale abbiamo una prova delle funeste conseguenze di una violenta passione, e della possibilità nel tempo stesso di superarla.
CiroSotto il regno di Ciassare, figliuolo di Fraate, si accese, diss’egli, una sanguinosa guerra fra ì Sacci ed i Medi. Le truppe di Ciassare erano comandate da Striangèo, suo figliastro, principe il più valoroso e il più perfetto che fosse in Oriente. Retèa, figliuola dell’imperatore, principessa bella, spiritosa e d’indole amabile, era sua moglie, e cosa alcuna non avea fin’allora scemato o turbato il loro reciproco affetto. Zarina, regina de’ Sacci, principessa che alle qualità amabili del suo sesso riuniva le più eroiche virtù, e che educata alla corte de’ Medi aveva dalla sua infanzia contratta una stretta amicizia con Retèa, si pose alla testa della sua armata. Si è combattuto per due interi anni con eguale vantaggio; quindi si fecero varie tregue per trattare di pace, e in queste sospensioni di armi Zarina e Striangèo più volte abboccaronsi insieme. Si destò per questa principessa in Striangèo un estimazione particolare, quindi l’amore; e fu l’amore che il consigliò a propor nuove tregue, in luogo di porre alla guerra quel fine che lo avrebbe da Zarina per sempre diviso.
CiroL’imperatore finalmente comandò che si desse una definitiva battaglia. Nel bollore di questa i due comandanti s’incontrarono, quantunque l’innamorato Striangèo cercasse di evitare Zarina; ma ella che aveva libero il cuore, né tratteneala ragione alcuna, lo attaccò e l’obbligò a di fendersi, gridando: si risparmi il sangue de’ nostri sudditi, e sia da noi soli dato un fine alla guerra. L’amore e la gloria animavano a vicenda il giovine eroe, il quale temendo egualmente di vincere e di esser vinto, espose più volte a pericolo la stessa sua vita per difender Zarina, finché trovò la via di ottener la vittoria, poiché scagliato con maestra mano un dardo, che appena vibrato avrebbe voluto ritrarre, ferì il cavallo della regina che cadde con esso. Allora Striangèo corse subito a sollevarla, né volle della sua vittoria altro frutto, che la sola compiacenza di salvare un’amante, offerendole una pace vantaggiosa, preservandole i propri stati, e giurando in nome dell’imperatore una perpetua alleanza in faccia delle due armate. Chiestale poi la grazia di poterla accompagnare alla sua capitale, ella vi acconsentì, ma con oggetto assai diverso dal suo; poiché Zarina non pensava che a dimostrargli la sua riconoscenza, mentre Striangèo cercava una opportunità di palesarle la sua passione. Montati sopra lo stesso carro, furono con pomposo accompagnamento a Rossanace condotti, e Striangèo trovò un facile pretesto per prolungare il suo soggiorno colà; perché dovendo l’imperatore confermare gl’impegni del suo generale, il principe con arte vi pose molte difficoltà, che render poteano necessaria la sua presenza in quel luogo, e approfittò intanto della prolungazione di questo trattato per far conoscere alla regina quanto il di lei cuore lo interessava; ma volendo assicurarsi prima della di lei amicizia, tenne per un tempo nascosti i suoi sentimenti. Zarina cangiò a poco a poco senza avvedersene la gratitudine e la estimazione in amore; soffrì che Striangèo le manifestasse i suoi sentimenti; gustò le secrete dolcezze di una nascente passione, che troppo tardi conobbe. Arrossì allora della sua debolezza, cercò di vincerla, e a tale oggetto affrettò la partenza di Striangèo, che, non potendo distaccarsi più da Rossanace, non più signore di se medesimo, lagnandosi e sospirando, dichiarò a Zarina il suo amore con l’espressioni più tenere o le più forti.
CiroLa regina senza occultargli la situazion del suo animo gli disse: io vi devo la corona e la vita; il mio amore è alla mia gratitudine, eguale, ed il mio cuore non è meno penetrato del vostro; ma morirò prima di tradire la mia virtù, e permettere che la mia gloria ne resti macchiata. Pensate, caro Striangèo, che Retèa è vostra moglie, ch’io la amo, e che l’onore e l’amicizia vogliono da me il sagrifizio di una passione, che formerebbe la sua infelicità e la mia infamia. Ritirossi ciò detto, e Striangèo confuso, e disperato andò a chiudersi nel suo appartamento, ove sentì in se stesso tutti gli opposti sentimenti di un’anima grande, sopraffatta, combattuta e vinta da una tiranna passione. Avrebbe voluto imitare la virtù di Zarina; ma l’amore estingueva fin dal suo nascere questo nobile desiderio. Contrastato da mille affetti, abbandonato dalla ragione, determinando di uccidersi, scrive prima le seguenti note a Zarina: io salvai la vostra vita, e voi della mia mi private; io muoio vittima del mio amore e della vostra virtù, e incapace egualmente di vincer l’uno e d’imitare l’altra, vedo nella morte sola il fine dei mio delitto e de’ miei tormenti; addio per sempre. Ricevuta appena questa lettera, la regina vola al di lui appartamento, e trovatolo con il petto trapassato da un pugnale, e tutto immerso nel sangue, cade svenuta. Riavutasi poi, trattiene con le sue lagrime la di lui anima già vicina a partirsene, e Striangèo, aperti gli occhi moribondi, la vede, comprende la sua angoscia, e condiscende di essere medicato della ferita, che fu per più giorni giudicata mortale.
CiroInteso Retèa questo tragico avvenimento, volò subito a Rossanace, le narrò Zarina tutte le passate vicende senza occultarle né la di lui debolezza, né la sua resistenza. Retèa amava ancora Striangèo, compiangendo e scusando come involontaria la di lui debolezza. Egli finalmente risanò della ferita, ma non dell’amore, e Zarina sollecitò invano la di lui partenza da questo luogo fatale. Tutto Retèa comprese e cadde in una profonda tristezza. Il dolore di non esser più amata dal solo oggetto ch’ella adorava, la pietà verso di uno sposo in preda alla disperazione, la riverenza verso di una rivale, che odiar non poteva, le fecero soffrire i più fieri contrasti, e quanto più volea occultar la sua pena, tanto più ne era oppressa. Finalmente non potendo sostenere più oltre il peso di tanti affanni, si ammalò gravemente; e trovandosi sola un giorno con Zarina e Striangèo, le uscirono queste parole: "io sono al termine della mia vita, ma muoio contenta, poiché dalla mia morte sorgerà la vostra felicità.
CiroZarina ritirossi a tai detti tutta bagnata di pianto e Striangèo vivamente commosso fissò gli occhi sopra Retèa, e vedendola pallida, languente, e vicina a morire di doglia e di amore con lo sguardo in lui fiso, conobbe egli allora la sua situazione, qual chi si desta da un profondo sonno, o esce da un delirio di mente, che non lascia veder le cose nel naturale suo aspetto. Finora avea veduto Retèa ciascun giorno, senza comprendere lo stato crudele a cui la aveva ridotta; ma questo momento risvegliò il suo amore e la sua virtù: e confessando la sua colpa, gettossi a suoi piedi, la abbracciò più volte, e replicò questi sensi interrotti da lagrime e da singulti: vivi (ei disse) mia cara Retèa, vivi, affinché possa aver il contento di riparare il mio fallo: tutti ora conosco i pregi del tuo cuore. Tali parole la richiamarono alla vita, e ritornata a poco a poco la sua bellezza nello stato primiero, partirono per Ecbatana entrambi, ove vissero dappoi in un’unione perfetta.
CiroComprendete, continuò Idaspe, da ciò a quali estremi l’amore può ridurre gli eroi più grandi, e conoscete altresì qual forza adoperar debba un animo fermo e coraggioso nel domare le più violenti passioni, quando abbia un vero desiderio di sottometterle. Se in questa corte vi fosse un’altra Zarina, non temerei punto per voi, ma una tale virtù sarebbe guardata a’ dì nostri come un sentimento da romanzo, o come una selvaggia insensibilità. Troppo si sono ne’ Medi cangiati i costumi, e Cassandane è il solo oggetto che io conosca degno del vostro affetto. Voi pronunciaste, lo interruppe Ciro esclamando, il nome dell’oggetto caro al cuor mio: sì, Cassandane mi ha reso insensibile per qualunque altra donna, che sedurre potesse la mia virtù; io la amo, ma non ne sono amato. Tacque ciò detto, ed esaminò attentamente Idaspe per conoscere se applaudiva alla sua scelta.
CiroIdaspe contento di avere scoperto con tale innocente artifizio la passione di Ciro, volle tentare ogni mezzo per sanarlo; ma volendo operare con dolcezza ed affetto, dissimulò il suo pensiero, e abbracciandolo con lieto aspetto gli disse: la bellezza in Cassandane è il minore de’ suoi pregi; il suo cuore è buono, il suo intelletto è sublime, ma non posso approvare la vostra passione, poiché Cambise dispone diversamente di voi, destinandovi in isposa la figlia di Creso, uno de’ più possenti sovrani dell’Oriente. Con questo matrimonio comincerete a verificare gli Oracoli. La Persia è una provincia tributaria, e non è tale da poter divenire il centro di un vasto impero, e la sede di tutte le imprese famose alle quali il cielo vi destina, e voi non potete senza delitto né opporvi al loro volere, né disporre del vostro cuore per altro oggetto, che per quello a cui Cambise vi destinò: rammentate la storia di Striangèo e i suoi folli amori. Cadde Ciro a tai detti nella sua prima malinconia; ma per amicizia verso d’Idaspe nascose le sue pene, senza occultargli i suoi sentimenti. Se il grande Oromaze, diss’egli con voce modesta, mi destina alla figliuola di Creso, io tenterò di vincere la mia passione; ma potete voi confrontare il mio amore per Cassandane con quello di Striangèo per Zarina ? Il suo era colpevole, replicò Idaspe, né può essere il vostro innocente, quando non è da Cambise approvato. Non disse di più. Conoscendo, che per sanarlo da questa passione non vi era altro mezzo, che allontanarlo da chi ne era la causa, ne avvertì Cambise, il quale ben presto lo richiamò in Persia.
CiroCiro inteso il paterno volere, provò un dolore proporzionato alla forza della sua passione, e Cassandane non potendo vedere con occhio indifferente una separazione che lasciavala esposta all’importuno Ciassare, se ne afflisse; ma l’amore stesso la obbligò a nascondere la sua inclinazione per non accrescere l’infelicità di Ciro, che con ansietà andava in traccia di lei mentre ella cautamente fuggivalo. Finalmente le fece domandare il permesso di vederla per darle l’ultimo addio. Giunto a questo fatale momento non fu capace di occultare i suoi sentimenti, e palesò in un punto la sua passione e il suo estremo dolore. Cassandane ne pianse, e non poté fare a meno di pronunziare queste parole: perché, oh Numi, dato mi avete un cuore sensibile, se mi è vietato di amare? Disse, e si ritirò. Ciro non ebbe ardire di seguirla; il contento di vedersi amato da Cassandane, e il timore di perderla gli destarono allora nell’animo un contrasto di affetti che lo angustiarono sommamente; né avrebbe potuto sostenere la crudele separazione, se non lo avesse confortato il lusinghevole pensiero di poter al suo ritorno in Persia con l’assistenza di Mandane persuadere Cambise.
CiroMolti nobili giovanetti lo accompagnarono fino alle frontiere della Media. Giunto ai confini, prima di separarsi dai Medi fece loro de’ ricchi presenti, distinguendo il merito, i servigi, la nascita e il grado di ciascheduno. Nel restante del viaggio mostrò una faccia più serena e un animo più tranquillo, effetto tutto della speranza in lui nata di poter interessare Mandane ne’ suo’ amori. In Persia fu celebrato il suo ritorno con pubbliche feste, dopo le quali uscì dal paterno palazzo per ritirarsi in quello destinato all’educazione della nobile gioventù, ove restò fino ai diciott’anni.
CiroCambise, alcuni giorni dopo il di lui ritorno, lo fece venire a sé, e mostrandosi ignaro del di lui amore per Cassandane, gli comunicò, la determinazione presa di maritarlo con Candaule, figliuola del re di Lidia, alla quale dichiarazione egli non rispose, che con un rispettoso silenzio ed un profondo sospiro; ma appena lasciato il re, volò all’appartamento della regina per aprirgli il suo cuore. Mi furono legge, egli disse, i consigli vostri alla corte di Ecbatana; fui insensibile a tutti gli allettamenti che lusingano e seducono il senso; ma nulla, a me, tutto alla figliuola di Farnaspe io devo. Io la amo, e questo amore mi preservò da tutte le giovanili pazzie; né crediate che la mia passione sia un’inclinazione capricciosa; non amai che Cassandane, non posso amar che lei sola; soffrirete che la mia vita sia ad un politico fine sacrificata? Si vuole che il mio matrimonio con la figliuola di Creso abbia ad essere il primo passo necessario per estendere il mio impero; gli Dei dunque non possono farmi un conquistatore senza rendermi infelice? Conoscendo Mandane che la passione di Ciro era ancora troppo forte per soffrire alcuna contrarietà, e lusingandosi che il tempo e la lontananza la renderebbe insensibilmente più debole, cercò di animarlo per allora con la speranza.
CiroCassandane viveva tranquilla in Ecbatana, trattando sempre Ciassare con una fredda indifferenza. Dopo la partenza di Ciro il di lei spirito cosi gioviale e vivace, si era cangiato in un tristo silenzio, e pareva che andasse a poco a poco mancando insieme con tutte le sue naturali attrattive. In questo tempo essendosi Farnaspe ammalato gravemente alla corte di Persia, desiderò di vedere la figlia, che partì precipitosamente da Ecbatana per adempire gli ultimi doveri verso suo padre. Ciassare nel vederla partire sì sentì dominato dal dolore, dal dispetto, dalla gelosia, dall’odio contro il rivale, da tutte quelle passioni finalmente che nascono da un amor disperato; e fatto a sé venire il giovinetto Araspe figlio di Arpago gli comandò d’inseguire segretamente Cassandane per altra strada, di sorprenderla e di condurla in un solita rio luogo all’estremità del mar Caspio.
CiroAraspe, benché educato in mezzo ai piaceri di quella corte, aveva però nell’animo sentimenti nobili e generosi, e detestava apertamente qualunque infame azione. Ricevuto ch’ebbe un comando sì iniquo, lo palesò ad Arpago suo padre, che amava Ciro. Arpago, dopo essersi segnalato in guerra per molti anni, viveva alla corte di Ecbatana senza esserne da quei costumi corrotto. Io prevedo, disse ad Araspe, tutte le sventure che la virtù ci prepara; ma guardiamoci o figlio, di ottenere col mezzo di un delitto la grazia sovrana. Vanne, vola, all’innocenza soccorri. Araspe tosto partì, raggiunse la Principessa poco lungi da Aspadana, le palesò il comando di Ciassare, e si offerì di accompagnarla in Persia. Cassandane, sensibile all’atto generoso del giovine Medo, ne pianse di piacere, e affrettossi di giugnere ai confini della Persia. Farnaspe, morì prima del suo arrivo; e Cassandane, pianta la morte del padre, vide finalmente Ciro, e gli narrò la generosa azione di Araspo, che da quel momento strinse con lui una perpetua amicizia. Ciassare vendicossi di Araspe nella maniera la più crudele; fatto assassinare il secondo figliuolo di Arpago, e tagliatolo in pezzi, lo presentò in un convito allo sventurato padre. La notizia di tanta crudeltà eccitò lo sdegno di tutta la Media; ma Astiage, cieco per troppo affetto, non volle né conoscere, né punire il delitto del figlio. Arpago addoloratissimo si ritirò dalla corte, e occultamente andò in Persia, dove Cambise lo compensò largamente di tutti gli onori nella Media perduti.
CiroCassandane viveva tranquilla in corte, sperando che Cambise cangiasse pensiero; si era già guadagnato il favore di Mandane, i cui sentimenti, rispetto al matrimonio di suo figlio, s’erano con la morte di Farnaspe cangiati. La madre di Cassandane era figliuola del re di Armenia, e questa giovine principessa poteva un giorno essere l’erede di quella corona; il matrimonio di Ciro con la figliuola di Creso avrebbe destato contro di lui il geloso timore dei principi dell’Oriente, e la Lidia era troppo dalla Persia distante per sperarne un pronto soccorso gli stessi oracoli finalmente parevano a questa unione contrarj, perché predicevano che la Lidia essere doveva la prima conquista di Ciro. Queste ragioni determinarono Mandane a non opporsi più all’inclinazione di suo figlio, ma non osò scoprire per allora il suo pensiero a Cambise troppo ancora persuaso del matrimonio con la figliuola di Creso.
CiroMeditava Creso da gran tempo di estendere i suoi stati nell’Asia. Erano suoi socii, o stipendiati, gli Egizj, i Traci, i Greci, e molte altre nazioni stabilite nell’Asia minore. Mirava con occhio geloso le conquiste di Nabuccodonosorre, e cercava ogni mezzo per impedirne il progresso; considerava in Ciro l’erede del Medo impero, morto Ciassare senza prole; vedeva ne’ Persiani una nazione guerriera, e nella loro posizione una opportunità per molestare i Babilonesi, se mai movessero guerra ai Lidj. Tali considerazioni invogliarono Creso di conoscere cogli occhi propri le forze dei re di Media e di Babilonia, ed i vantaggi delle due alleanze, e più astuto ed ambizioso, che saggio e prudente, abbandonò i suoi stati non molto lontani dalla Media in quei tempi, e si trasportò con la corte nel centro dell’Asia. Volendo nascondere i suoi disegni, promosse molte difficoltà sul matrimonio di sua figliuola con Ciro, proponendo di abboccarsi egli stesso con Cambise ai confini della Persia; e Susa, città neutrale governata allora da Fraate, principe tributario dei Babilonesi e padre di Abradate, che si distinse tanto da poi in vantaggio di Ciro, fu il luogo assegnato per il congresso. Creso condusse seco la regina e la figlia, e avvertì Cambise della sua partenza per Susa, il quale tosto intraprese lo stesso viaggio. Allora Ciro si abbandonò alla disperazione, Cassandane temette meno della di lui costanza, che dell’ambizione di Cambise; ma Mandane, ferma nel suo pensiero, la desiderò seco alla corte di Susa. Vi si oppose da prima Cambise, ma temendo che una violenta separazione accrescesse in Ciro l’affetto, cesse a’ consigli della regina, sperando, che un nuovo oggetto, e il capriccio e l’incostanza in lui porterebbero un cambiamento.

Rilievo dal Palazzo di Susa, fregio con gli Arcieri
Rilievo dal Palazzo di Susa, Fregio con gli Arcieri,
arte achemenide, V sec. a.C., Parigi, Louvre.

CiroArrivate in Susa le due corti, i primi giorni si passarono in liete feste. Creso faceva mostra di una pomposa magnificenza, e Cambise metteva la sua gloria nella scienza e nella virtù militare de’ suoi sudditi. Il numeroso concorso di due nazioni tanto differenti ne’ costumi produsse un’ammirabile varietà in tutti gli spettacoli, e si vide nel guerriero e nel cortigiano una perfetta dissomiglianza. Cominciarono intanto i trattati; e mentre i due re cercavano con le arti della politica di coglierne tutto il vantaggio, l’amore pose in opra il suo ingegno per renderli infruttuosi.
CiroApparve appena in Susa la figliuola di Creso, che ne restò ognuno colpito, ed i Persiani concordemente esclamarono: questa è la sola principessa degna di Ciro, questa è la sola che può farlo felice. Candaule in fatti apparve uniforme al genio di quella nazione. Nel suo nobile e vivace aspetto lasciava vedere una maestosa dolcezza; erano suoi diletti la caccia ed ogni altro virile esercizio; il suo spirito e le sue grazie erano di gran lunga superiori a quelle di tutte le dame di Lidia, di Susa e di Persia. La bellezza stessa di Cassandane aveva perduto il suo impero, né regnava più che sul cuore di Ciro. Nelle pubbliche adunanze però si contenne in modo ch’ella non si avvide della di lui indifferenza; ma quando trovavasi da solo a sola stavasi pensieroso. Candaule che ne ignorava la causa, lo richiamava talvolta da’ suoi profondi con qualche scherzo vivace, a cui, rispondendo di rado, si mostrava incerto e confuso. La principessa giudicandolo di poco senno, cominciò a pentirsi di essere in Susa. I trattati intanto progredirono, ma Ciro, disprezzando egualmente lo sdegno paterno ed i consigli d’Idaspe, tentò ogni mezzo per ritardarli. Pentito quindi del suo resistere al volere paterno, chiese tempo, promise di vincere se stesso, e lo sperò; ma vide Cassandane e ricadde. Pregò, pianse; le sue lagrime parlarono presso Mandane, le sue ragioni presso Cambise, cogli Oracoli giustificò la sua passione, e decise, che chiamandolo i Numi alla conquista della Lidia, si opponevano tacitamente ai paterni disegni; tutto tentò, e le sue brame secondate furono dall’amore.
CiroCandaule aveva conosciuto Cassandane in Ecbatana, l’amava teneramente, ma non sapeva di essere la sua rivale; e Cassandane non sentiva né dispetto, né gelosia degli omaggi fitti alla bellezza della sua amica, ma non poteva persuadersi di dover Perdere il cuore di Ciro. Crescendo in lei ogni giorno l’agitazione, lo spavento, annoiata da’ passatempi della corte, alla quale compariva di rado, determinò di ritirarsi in un luogo solitario ne’ confini della Persia, ove i principi suoi antenati solevano soggiornare.
CiroCandaule seppe appena il ritiro della sua amica, che volò a ritrovarla. Cassandane era appunto sotto di un pergolato, quando la principessa di Lidia con l’idea di sorprenderla, si pose di soppiatto dietro gli alberi, la osservò attentamente, la vide prostrata dinanzi alle statue di Piramo e Tisbe, e avvicinandosi senza essere veduta, la udì lagnarsi delle sue sventure in tal modo: 0 voi che foste vittime un tempo di un casto amore, se qui or siete presenti, udite il mio lamento, testimonio sincero della mia passione, e rendete propizio il Dio dell’amore a due sventurati amanti, che la nemica fortuna rende simili a voi: fate che sieno per sempre uniti, o toglietemi una vita che serve solo di ostacolo alla felicità di Candaule, e alla grandezza di Ciro. La principessa di Lidia non poté più trattenersi, entrò nel pergolato e le due amiche si abbracciarono, e restarono lungo tratto di tempo immobili e mute. Candaule capace di un’amicizia nobile e ferma, fu la prima a parlare. Ah, Cassandane, disse ella, perché celarmi i tuoi sentimenti e il tuo tormento! Lungi qualunque timore; consolati, amica, io non lo amo, e terminerò ben presto le tue sventure senza offesa di Cambise e di Creso. Ciò detto, si giurarono un’eterna amicizia, passarono insieme molte ore, e Candaule ritornò a Susa.
CiroCiro tutto seppe, e da questo momento, non temendo più di offendere né Cassandane, né l’amor suo, divenne l’amico della principessa di Lidia. Convennero unicamente de’ modi, onde interrompere il trattato, e Ciro ripigliò il suo carattere docile, sincero e giocondo. Cambise si rallegrò di un tal cangiamento, e non conoscendone la causa, sollecitò per le nozze; ma Creso scorgendo un maggiore vantaggio nell’alleanza del re di Babilonia, che in quella del re di Persia, cangiò allora pensiero, e mentre cercava rilevare secretamente le intenzioni di Nabuccodonosorre, promosse molte difficoltà da Cambise non prevedute. Candaule, che aveva conosciuto Merodaco il principe Assirio alla corte di Lidia, vedeva in lui uno sposo, che le conveniva meglio di Ciro, cercò di coltivare questo pensiero nella mente del padre; e poiché Mandane conobbe i sentimenti di Candaule, restò maggiormente convinta, che gli Oracoli si opponevano al matrimonio proposto; cercò quindi di rendere Cambise indifferente all’esito di quel trattato, e Ciro ne trasse tutto il vantaggio per romperlo. Le conferenze si dilazionarono, né si determinò cosa alcuna. Creso intanto, avvertito che il re di Babilonia acconsentiva alla proposta alleanza, partì improvvisamente da Susa senza renderne alcuna ragione, e Cambise dissimulando il giusto suo sdegno ritornò alla sua capitale.
CiroCassandane venne poco tempo dopo alla corte, e Ciro pregò fervidamente Mandane, perché parlasse in suo favore a Cambise; ma egli voleva trattare nuovamente con Creso. Quando la regina gli fece considerare, che Cassandane, nipote per parte materna del re di Armenia, principe di età avanzata, poteva, morto l’unico suo figliuolo, essere l’erede di quella corona, che gli Oracoli stessi si mostravano contrarj al matrimonio di Ciro con la figliuola di Creso nella predizione già fatta, che la Lidia doveva essere la sua prima conquista. Lasciamo, diss’ella, lasciamo il pensiero agli Dei di condurre a fine i loro voleri senza prescriverne noi mezzi, perché ciò che sovente crediamo un ostacolo, è appunto la via di cui si servono per effettuarli. Arrivò intanto l’avviso che la figlia di Creso era promessa in moglie al figlio del re di Babilonia, e che questi sovrani si erano uniti in istretta alleanza. Tali nuove ebbero tutta la forza per rimovere Cambise dal suo pensiero, e la morte del principe di Armenia, per cui Cassandane diventava la erede presuntiva di quella corona, lo determinò finalmente a secondare le brame di Ciro.
CiroGli sponsali furono celebrati secondo gli usi del luogo e del tempo. Ciro e Cassandane furono condotti sopra la sommità di un’alta montagna consacrata al grande Oromaze. Furono accese alcune legna odorifere, il grande sacerdote legò insieme la lunga veste de’ due sposi in segno della loro unione, e quindi presi l’un l’altro per mano e circondati dall’Estali, danzarono intorno al sacro fuoco, celebrando col canto, a norma dell’antica religione de’ Persiani, l’amore di Oromaze per Mitra di lui figliuola, innanzi al principio del tempo; il quadro ch’ella gli presentò contenente l’immagine di tutte le cose; la produzione d’infiniti mondi somiglianti a tali immagini; l’origine del Genio puro destinato ad abitar questi mondi; la ribellione di Arimane contro il Dio Mitra; l’origine del Caos, e come fu poi tutto con ordine disposto; la caduta degli spiriti ne’ corpi mortali; le fatiche di Mitra per iscacciarli dall’empireo e finalmente la totale distruzione del principio cattivo, che sparge ovunque odio, discordia e tutte le passioni infernali.
CiroLa felicità di Ciro divenne sempre maggiore, e nulla poté mai scemare nella più minima parte la scambievole tenerezza di questi felicissimi amanti.

 


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