Andrew Ramsay
Dei Viaggi Di Ciro
Libro Secondo
CiroCiro amava perdutamente Cassandane; ogni giorno per divertirla immaginava nuovi spettacoli, e nuovi piaceri ignoti alla Persia fino a quel tempo, introducendo alla corte di Ecbatana qualunque festa di moda. La militare disciplina, e gli affari dello stato erano totalmente da lui abbandonati, e con questo genere di vita si esponeva costantemente alla pericolosa conversazione de giovani satrapi che gli stavano dintorno. I Gimnosofisti incominciavano già a spargere in quel tempo per tutta la Persia la loro fatale dottrina fondata sopra questi due principj, che luomo è virtuoso senza merito, e vizioso senza colpa per una invincibile fatalità, già si era abbracciata prontamente da tutti una opinione che fomentava le loro passioni; e il mortale veleno si andava a poco a poco insinuando nel cuore di Ciro: Araspe stesso contribuiva a coltivare nellanimo di lui questi principj alla religione così dannosi nel loro ritiro.
CiroNe confini del golfo Persico erasi fondata, in questi ultimi tempi, una celebre scuola di Magi, che si opponevano a questi errori fatali. Ciro aveva sempre amato lo studio delle scienze sublimi; perciò approfittando Idaspe di questa sua inclinazione, cercò di svegliargli il desiderio di conoscere questi uomini saggi; e poiché essi non si allontanavano mai dalla loro solitudine, Ciro determinò di visitarli nel loro ritiro.
CiroCassandane, Idaspe, Araspe partirono accompagnati da molti nobili Persiani. Attraversata la pianura di Passagarde e la provincia dei Mardi, giunsero alle sponde dellArasse, e passato quindi un angusto calle, si trovarono in una spaziosa valle circondata di alte montagne, la sommità delle quali era coperta di querce, di abeti e di alti cedri. Quanto più Cassandane e Ciro sinoltravano nel cammino, tanto più si sentivano invitati da una dolce armonia ad entrare in un vicino boschetto, ove scorgendo parecchi uomini di varie età da una parte, e dirimpetto a loro una compagnia di donne occupate della musica, compresero essere quello il Liceo de Magi, e trovarono, non senza sorpresa quelli una società gioviale e cortese, in luogo di una unione di uomini malinconici e austeri.
CiroSolevano questi filosofi riguardare la musica come un dono celeste, atto a porre in calma le passioni, e perciò davano cominciamento e termine al giorno con qualche musicale concerto. Impiegato nella mattina un breve spazio di tempo in tale esercizio, guidavano i Magi, per mezzo di alcuni ameni sentieri, i loro discepoli al sacro monte, osservando per tutto il cammino un profondo silenzio; e offerendo i loro omaggi agli Dei più col cuore, che con la voce, si preparavano in tal guisa alla contemplazione della verità, procacciando allanimo una calma necessaria per la meditazione. Dedicavano allo studio il resto della giornata, tolta lora del pranzo, che era verso il tramontare del sole, né altro mangiavano che pane, frutta e una porzione dellofferta fatta agli Dei, terminando sempre con un concerto. Gli uomini non incominciano generalmente ad educare i proprii figliuoli, che dopo la loro nascita, ma i Magi la prevenivano, procurando di tenere le loro mogli, durante la gravidanza, tranquille ed allegre con ameni e semplici passatempi; affinché il feto, nel materno utero non ricevesse che utili impressioni.
CiroCiascun saggio aveva la sua particolare giurisdizione nellimpero della filosofia; mentre alcuni studiavano le qualità naturali delle piante, altri la trasformazione deglinsetti, questi la forma degli animali, quelli lordine delle stelle; ma loggetto principale di tutte le loro ricerche era quello di arrivare alla cognizione degli Dei e di se stessi; poiché, dicevano essi, che queste scienze non erano apprezzabili, se non in quanto che servono come di via per ascendere al grande Oromaze, e da lui discendere alluomo. Quantunque lamore della verità fosse il solo legame sociale fra questi filosofi, avevano però un capo che chiamavano Arcimago. Quegli che era allora decorato di questa dignità aveva nome Zardust, o Zoroastro, uomo superiore agli altri più per il sapere che per letà; poiché, toccando appena il cinquantesimo anno, non solo conosceva profondamente tutte le scienze de Caldei e degli Egizj, ma aveva ancora qualche fondata idea della religione degli Ebrei da lui veduti in Babilonia. Conoscendo però Zoroastro, che la corruttela erasi fra i Magi introdotta, si applicò intieramente per riordinare i loro costumi e la loro dottrina.
CiroAllorché Ciro e Cassandane entrarono nel bosco, lassemblea si alzò in piedi, inchinossi fino a terra alluso degli Orientali, e quindi si ritirò, lasciando solo Zoroastro, il quale condusse i due prìncipi sotto un pergolato di mirto, nel cui mezzo era collocata una statua rappresentante una donna, che aveva egli con le sue mani scolpita; e seduti tutti tre in quel luogo sopra un verde scanno, raccontò loro la vita, i costumi e le virtù dei Magi, fissando spesso nel favellare gli occhi suoi in quella statua, e bagnandoli di calde lagrime. Cassandane e Ciro rispettarono con un profondo silenzio per qualche tempo il suo dolore, ma la principessa non poté trattenersi alla fine di chiedergliene la cagione. Questa statua, rispose, è limmagine di Selima, che mi amò un tempo come ora voi amate Ciro: in questo luogo io passo i momenti più dolci e più amari della mia vita; e la memoria di Selima rinnova sovente le mie lagrime e il mio dolore, malgrado la saviezza che mi vuole sommesso al volere degli Dei, malgrado il piacere che trovo nella filosofia, e malgrado linsensibilità che provo per le umane grandezze, perché la vera virtù raffrena, o figli, le passioni, ma non distrugge i teneri sentimenti. Queste parole destarono in Cassandane e in Ciro il desiderio di conoscere la storia di Selima, che Zoroastro avrebbe volentieri taciuta; ma per non mancare alla riverenza dovuta a due soggetti sì grandi, asciugatosi le lagrime così prese a dire. Io nacqui principe, ed era il mio genitore sovrano nelle Indie di un piccolo territorio nominato il paese de Sofiti. Un giorno, smarrita nella caccia la strada, entro in un alto bosco, e vedo una giovinetta che ivi riposa. Colpito dalla sua bellezza, immobile resto, né oso avvicinarmi a lei, credendo che fosse uno di quegli spiriti aerei i quali dal trono di Oromaze partono talvolta, e discendono in terra per ricondurre le - anime allempireo; vedendosi ella sola con un uomo fugge, e cerca asilo in un tempio al bosco vicino. Non ebbi coraggio allor di seguirla; ma seppi dopo alcune ricerche, che Selima era il suo nome, che un vecchio Bramino abitante di quel tempio era suo padre; e chella essendosi dedicata al culto religioso del Fuoco vivea fra lEstali sacerdotesse, le quali possono rinunciare in qualunque tempo al celibato, e maritarsi; ma che sono, per un atto di religione (tale era fra glIndiani il vigore delle leggi), gettate nelle fiamme dal padre stesso, se, mentre sono dedicate al culto del Fuoco, offendono quella purità di costume che hanno giurato di conservare.
CiroIl mio genitore viveva, ed io non era in istato di poter rapire Selima; mentre se fossi stato anche re, i sovrani non hanno in quel luogo alcun diritto sopra le persone sacre alla religione. Queste medesime difficoltà accrebbero la mia passione, e somministrarono al mio intelletto nuovi pensieri; e senza consigliarmi colla ragione lasciai il paterno tetto, mi nascosi sotto vesti donnesche, mi presentai al tempio ove abitava il vecchio Bramino, e ingannandolo con una falsa storia, divengo sotto il nome di Amana una dellEstali. Il genitore dolente in questo tempo per la mia improvvisa partenza, comanda, ma inutilmente, che di me in ogni luogo si cerchi. Selima intanto, che non conosce il mio sesso, prende per me una particolare inclinazione ed amicizia; e senza lasciarla un momento, seco passo i giorni fra il lavoro, la lettura, il passeggio, e le sacre cerimonie; ed occupandomi talora a raccontarle delle favole interessanti e delle storie, le rappresento con queste i meravigliosi effetti dellamore e dellamicizia; e ciò con loggetto di disporla a poco a poco allultimo scoprimento de miei pensieri. Ma mentre le parlo, mi lascio talmente dalla mia vivacità trasportare, che dimentico talora me medesimo, ed ella sovente minterrompe, dicendomi: taluno in udirti crederebbe Amana per certo, che tu sentissi nel tuo animo tutto quello che con la voce esprimi. Così vissi con lei per molti mesi, senza chella mi potesse scoprire. Il mio cuore era puro, e sperando di meritare un giorno il suo amore, era persuaso che per seguirmi ella avrebbe abbandonato quel luogo. Attendeva lopportuno momento di scoprirle i miei sentimenti; ma questo felice momento, ahimè, mai non giunse.
CiroSolevano lEstali fra lanno andare più volte sopra unalta montagna per accendere il sacro Fuoco ed offerire de sagrifizj. Un giorno accompagnate dal vecchio Bramino, vi andiamo noi tutte; ma incominciato appena il sagrifizio, ci troviamo circondate da gente armata di arco e di frecce, che rapisce Selima e il di lei padre. Quantunque fossero a cavallo, io la inseguo fino a tanto, che fra le tortuose vie di un bosco li perdo di vista; e allora senza tornarmene al tempio, fuggo nascostamente dallEstali, cangio vesti e figura, abbandono le Indie, e dimenticando il padre, la patria, e qualunque dovere, trascorro tutta lAsia per cercar di Selima. Che non puote lamore in un cuor giovanile che si abbandona a questa passione! Un giorno, attraversando il paese de Licj, entro in una vasta foresta, mi arresto per ristorarmi dalleccessivo calore, ed entrato appena, veggo una compagnia di cacciatori, e di là a poco molte donne, fra le quali mi parve di ravvisare Selima, che vestita da cacciatrice, montata sopra un superbo destriere, e distinta per una corona di fiori dalle altre compagne, passa a me vicina, ma con tanta velocità, che assicurarmi non potendo se fosse dessa, volo alla città per saperlo.
CiroLe contrade della Licia erano governate in quel tempo dalle donne; e la mollezza, a cui si erano gli uomini abbandonati dopo una lunga pace, dato aveva origine a tal forma di governo. Ma nel tempo in cui abbandonati a questa vergognosa pigrizia, disprezzando le Licie donne e trattandole come schiave, avevano sostituito alle oneste passioni i più abbominevoli vizi, furono sorpresi da una nemica straniera nazione e resi incapaci di difendere la loro patria, fuggirono, e si nascosero nelle caverne. Le donne, assuefatte nella loro schiavitù alla fatica, presero le armi, scacciarono il nemico, simpadronirono del regno, e vi si stabilirono collautorità di una legge perpetua. I Licj si avvezzarono da quel tempo a tal forma di governo, trovandola la migliore e la più ragionevole. Un consiglio composto de più assennati, chiamati senatori, assistevano la regina co loro saggi consigli; e in tal guisa gli uomini proponevano le leggi, e la forza esecutrice restava nel potere delle donne.
CiroPoiché la madre di Selima (ecco quanto allora seppi) fu balzata dal trono da una sua congiunta, il di lei primo ministro fuggì con la giovine principessa nelle indie, dove vissero per molti anni, quegli in qualità di Bramino, questa dEstale; ed ella poi col mezzo di questo vecchio, il quale aveva tenuta una continua intelligenza cogli amici della reale famiglia, essendo stata ristabilita dopo la morte dellusurpatrice sul trono, governava in quel tempo la Licia con quella prudenza che nelle sventure si acquista; avendo però dimostrato sempre unavversione insuperabile pel matrimonio. Sentii allora dentro a me stesso un indicibile piacere a tai nuove, e ringraziando gli Dei di avermi condotto per un mezzo tanto meraviglioso vicino alloggetto adorato dal mio cuore, implorato il loro soccorso, giurai di non amare mai altra donna, quando essi fossero alla mia passione propizj.
CiroPensando con qual mezzo avrei potuto presentarmi alla regina, ho trovato il migliore quello di entrare nella truppa, divenni suo soldato, e mostrandomi instancabile nel mio dovere col cercare senza timore le imprese più pericolose, venni ben presto guardato con estimazione. Un giorno i Carj nostri nemici intimarono guerra, e posero in disordine le nostre truppe in una vasta pianura che non aveva per i fuggitivi altro scampo che uno passo assai stretto. Fattomi padrone di esso e minacciando di trapassare col mio dardo il petto a chiunque osasse tentarlo, ricomposi in tal guisa le truppe, e tornando ad assalire il nemico lo pongo in rotta, e con una compiuta vittoria ottengo lammirazione di tutta larmata che celebrando il mio valore mi chiama il liberator della patria. Quindi condotto dinanzi alla regina, che non poteva riconoscermi (poiché dopo il corso di sei anni le fatiche e gli affanni avevano cangiato le mie sembianze), ella mi domanda qual fosse la mia patria, il mio nome, la mia famiglia. Parvemi allora di scoprire dagli occhi suoi una interna commozione, che in essa nasceva nellesaminarmi con molta curiosità, e che invano sforzavasi di nascondere. Oh strana bizzarria dellamore! Benché per laddietro io lavessi creduta una Estale di nascita oscura, io voleva dividere seco la mia corona; ed ora col pensiero di volere obbligarla ad amarmi nel modo stesso con cui laveva io amata, occultandole lesser mio e la mia patria risposi, essere io nato da oscuri parenti in un villaggio della Battriana; il che inteso da lei senza replicarmi parola, si volse altrove.
CiroNon molto tempo dopo col consiglio de suoi senatori fu da lei destinato al comando di tutta larmata, il che mi procurò la libertà di avvicinarmele spesso. Si tratteneva meco con molto piacere, e sotto altri nomi io le rappresentava i miei sentimenti, trovando nella greca e nella egizia mitologia moltissimi argomenti per provarle che gli Dei sinnamorarono anchessi talvolta di donne mortali e che lamore uguaglia qualunque disuguaglianza. Un giorno (ben mel ricordo) mentre io le raccontava una storia di questa specie, ella molto commossa da me si parte, ed io rilevando così gli occulti suoi sentimenti, provai lindicibile piacere di vedermi amato nel modo stesso con cui io lamava. Il conversare frequente accresce intanto nel suo animo la fiducia verso di me, ed io richiamandole alla memoria le sventure delletà sua giovanile, la conduco insensibilmente a narrarmi la vita che aveva condotto fra lEstali, la sua amicizia per Amana, e il loro scambievole affetto. Fui sul punto di palesarle la mia finzione, ma la mia falsa delicatezza domandava di più da Selima, volendo chella facesse per amor mio, quanto aveva io fatto per lei e ne fui ben presto convinto; poiché un avvenimento straordinario mi provò del suo amore tutto il pregio e tutta la forza.
CiroNon era per le leggi della Licia permesso alla sovrana il maritarsi con persona straniera. Selima un giorno mi chiama dinanzi a se, e senza guardarmi in volto mi dice: i miei sudditi bramano di vedermi unita ad uno sposo; andate dunque, e dichiarate loro che a compiacerli sono pronta, quando mi lasci però la libertà della scelta. Tremo a tale comando, sapendo quanto erano i Licj severi custodi delle loro leggi, e combattuto dal timore e dalla speranza mincammino al consiglio per esporre ne sovrani voleri il desiderio della regina, alla quale dopo molte opinioni contrarie fu accordata la scelta libera dello sposo. Inteso il loro assenso, Selima mi ordina di radunare le truppe nella stessa pianura, in cui aveva io vinto i Carj: e mentre mi dispongo per ubbidire, comanda a tutti i corpi della nazione di unirsi nel luogo stesso; e là innalzato un magnifico trono, assisa la regina sopra di esso, cinta allintorno da suoi cortigiani, si presenta allassemblea, e così parla: da quel momento in cui mi chiamaste, o Licj, a regnare, io ho rispettato le vostre leggi, e vigile ognora per mantenervi liberi e felici, uscendo in campo io stessa alla testa dellarmata ottenni molte vittorie; ma è egli giusto, che se difesi la vostra libertà, abbia ad esserne io sola la schiava? È egli giusto, che se cercai la vostra felicità, io sia la sola infelice? Ne vi ha certo infelicità maggiore di quella, che fa violenza alle inclinazioni del cuore; né la grandezza, né limpero ad altro servono allora, che a farci sentire più vivamente la nostra schiavitù. Che io sia libera nello scegliermi uno sposo eccovi ciò che vi domando per me.
CiroLassemblea tutta applaudendo a suoi detti esclamò: voi siete libera, e per voi tace la legge. La regina allora mi comanda di avanzare alla testa delle truppe; e appressatomi appena al trono, ella si alza, e additandomi con la mano, quegli (disse) è il mio sposo; e segli è straniero i beneficj resi alla Licia ne lo dichiarano il padre; e se non è principe; i meriti suoi lo agguagliano ai re più grandi. Ciò detto, mi comanda di ascendere il trono, ed io prostrato a suoi piedi, co giuramenti soliti farsi in quel luogo, prometto di rinunciare alla mia patria per sempre, e di riguardare i Licj come miei figli; ma più di ogni altra cosa giuro di non amare altra donna giammai. Compiuta la cerimonia, scende la regina dal trono, e fra gli evviva popolari siamo con pomposo accompagnamento alla città ricondotti; e trovandomi finalmente solo con lei, tosto esclamo: ah Selima ! Tu dunque ti dimenticasti di Amana ! Tale fu la di lei sorpresa, ed il trasporto di piacere e di tenerezza nelludirmi a pronunciare queste parole, che impossibile cosa sarebbe il rappresentarlo. Ella attentamente mi considera, mi ravvisa e indovina il resto. Ambedue lungamente taciamo, ed io le paleso finalmente i miei natali, e i miei casi e quanto aveva per amore sofferto; e radunato di là a poco il consiglio, la regina fa noto chi io mi sia, e si spediscono tosto nelle Indie ambasciatori colla mia solenne rinuncia alla patria e a quella corona, di cui al mio fratello fu confermata la sovranità.
CiroPoco mi costava un tal sagrifizio, perché il possedere Selima rendeva perfetta la mia felicità, ma oh quanto ella fu breve! Trasportato dalla mia passione aveva rinunciato alla patria, abbandonato un padre di cui io era il solo conforto, e dimenticato ogni mio dovere. Lamor mio che compariva così delicato, così generoso alla vista degli uomini, non fu approvato dagli Dei, i quali me ne punirono col tormi Selima, che morì pochi giorni dopo il nostro matrimonio. Allora mi diedi in preda ad un dolore disperato; ma gli Dei che non vollero abbandonarmi, mi fecero rientrare in me stesso, e col mezzo di una profonda meditazione divenni saggio. Il mio intelletto si rischiarò, e compresi allora il mistero meraviglioso del procedere di Oromaze. Mi sono determinato a consacrare la mia vita allo studio delle scienze. Morta Selima io non poteva regnare nella Licia, né trattenendomi in un luogo, ove tutto mi ricordava ad ogni istante la mia sventura. Ritornai dunque nelle Indie, e vivendo fra i Bramini, mi sono proposto di comandare alle mie passioni ed a miei desiderj; comando assai più glorioso e più dolce, che il falso splendor di un impero. Ad onta però del mio ritiro e della lontananza, sospettò di me il mio fratello, quasi che fossi ambizioso di salire sul trono, e fui costretto ad allontanarmi nuovamente dalle Indie. Ebbi da tale esilio una nuova felicità. Visitando gli uomini saggi dellAsia, e conversando co filosofi di varie nazioni ne appresi le leggi e la religione, e restai sorpreso nel trovare ne grandi uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, le medesime idee della Divinità, e della morale. Finalmente qui venni alle sponde dellArasse, dove i Magi mi hanno scelto per loro capo.
CiroQui tacque Zoroastro, ma la di lui narrazione mosse talmente lanimo di Ciro e di Cassandane, che non poterono favellare. Dopo un breve silenzio, il filosofo parlò ad essi della felicità che gli amanti fedeli godono nellempireo, e terminò con questi augurj felici. Possano gli Dei per lunga serie di anni farvi gustare la felicità di un reciproco costante amore, e difendervi il cuore da quella fatale corruzione, che trova insipidi tutti gli onesti piaceri! Possiate voi, dopo avere provato nelletà giovanile i trasporti di una viva passione, godere in una età più matura tutti i diletti di quella unione che minora le pene, e dividendo i piaceri li accresce! Possiate con una lunga e tranquilla vecchiaia vedere nella vostra posterità moltiplicarsi sopra la terra gli eroi ! E possa finalmente il giorno stesso raccogliere le ceneri vostre, affinché luno di voi non provi una sventura pari alla mia di dover piagnere dellaltro la perdita! La speranza di vedere Selima nella sfera del fuoco, puro elemento dellamore, è il mio solo conforto. Le anime quaggiù imparano soltanto a conoscersi; e lassù poi si fa perfetta la loro unione. O Selima, Selima! Noi ci rivedremo un giorno, e la nostra fiamma sarà allora eterna; ma finché tu sarai da me divisa, io ben comprendo, che la tua felicità non può essere lassù compita. Quelli che si sono scambievolmente amati con puro affetto, si ameranno così per sempre, poiché il vero amore è immortale.
CiroIl racconto che fece Zoroastro, raffermò in Cassandane e in Ciro la loro scambievole tenerezza e il loro amore per la virtù; e prima di ritornarsene alla corte di Cambise restarono qualche tempo in quella solitudine col saggio filosofo, che insegnò a Ciro i principi di tutti i misteri delle scienze orientali. I Caldei, gli, Egizj e i Gimnosofisti conobbero molto bene la natura, ma lavvolsero dentro allegoriche favole; per questo lantichità, quantunque degna di venerazione, fu accusata di non conoscere la filosofia naturale. Zoroastro scoprì a Ciro gli arcani della natura, non solo per soddisfare alla sua curiosità, ma per fargli esaminare altresì le prove della infinita sapienza sparsa per luniverso e preservarlo dalla irreligione con questo mezzo.
CiroFattagli considerare la tessitura mirabile del corpo umano, gli fe conoscere, che una suprema intelligenza può sol produrre, ordinare, e preservare una macchina tanto composta, tanto ordinata e tanto maravigliosa. Lodò quindi le leggi Persiane, che saggiamente comandavano la sobrietà e lesercizio, e luno e laltra egualmente necessari ad impedire che debole divenga e perisca il corpo sì naturale, come politico. Spiegandogli la qualità delle piante, e la trasformazione deglinsetti, Zoroastro persuase Ciro, che le organiche forme delle prime non possono essere create dalle semplici leggi del moto, ma la loro prima produzione deriva dal grande Oromaze; e dandogli una idea dellarte maravigliosa, che si scopre nella formazione deglinsetti, volle che Ciro trovasse in essi nuove prove di una Sapienza infinita che tutto crea. Sollevò poscia la mente di lui a considerare i varii fenomeni che nascono nellaria; gli mostrò lorigine di tutte le irregolarità e intemperie degli elementi, che sembrano distruggere la natura in un tempo, e ravvivarla nellaltro; e lo convinse, che tutte queste vicende, le quali sembrano alle menti superficiali effetti di un accidentale concorso di cause disordinate, sono condotte con peso e misura da quella suprema Sapienza, che guarda la terra come un grano di arena, e il mare come una goccia di acqua.
CiroGli parlò finalmente circa alle stelle, alle loro rivoluzioni, al ruotar de pianeti intorno a quegli astri; e detestando la follia di coloro, che spiegare vorrebbero il principio delle cose con le sole leggi della materia e del moto; luniverso, conchiuse, é opera del grande Oromaze, egli lo conserva, e lo regge con leggi generali, ma queste leggi sono libere, assolute; tutto da lui deriva, e in lui tutto esiste, perché per lui vive ogni cosa, e in lui solo tutto ritorna; e se senza di lui la natura è un enigma che non può spiegarsi, col suo mezzo la mente delluomo non solo comprende ogni cosa, ma nel tempo stesso resta convinta della propria ignoranza, e degni angusti confini fra quali è rinchiusa.
CiroTrovava Ciro un estremo piacere nellapprendere queste dottrine, e pareagli di scoprire nuovi mondi. In qual luogo (dissegli) viss'io finora? Gli oggetti più semplici rinchiudono in sé tali meraviglie, che scappano alla mia vista, e tutto mi annunzia una sapienza con un potere infinito. Il grande Oromaze, sempre presente allopera sua, dà ai corpi figura e moto, agli spiriti senno e virtù, e contemplandoli tutti nella sua immensità li regge, non già con necessarie meccaniche leggi, ma con quelle che egli crea e cangia come meglio conviene alla sua giustizia e bontà.
CiroMentre Ciro si tratteneva così utilmente con Zoroastro, Cassandane si trovava intanto presente colle mogli de Magi alle solenni feste che celebravansi in onore della dea Mitra. Quantunque gli antichi Persiani adorassero un solo supremo Dio, essi riguardavano però il dio e la dea Mitra come due emanazioni della sua sostanza, o come le prime produzioni del suo potere. Ciascun giorno era perciò consacrato al grande Oromaze, di cui non doveano mai dimenticarsi; e le feste della dea Mitra erano celebrate solamente nel fine della primavera, e quelle del dio Mitra nellincominciare dellautunno; ma siccome in queste non intervenivano le donne, così in quelle, essendone gli uomini esclusi ne dieci giorni che duravano, le donne facevano le funzioni de sacerdoti.
CiroGli antichi Persiani non avevano né templi, né altari ma facevano i loro sagrifizj su colli, e su gli alti monti, non usandosi in essi libazioni, musica, o pane consacrato. A questo antico rito Zoroastro non fece altro cangiamento, che quello di stabilire la musica nel culto divino. Sul fare del giorno tutte le mogli dei Magi, coronate di mirto, e vestite con lunghe candide toghe, accompagnate a due a due salirono con passo lento il monte consacrato alla dea Mitra, essendo seguite da tutte le verginelle coperte di bianche vesti, che conducevano le vittime ornate con ghirlande di varii colori. Sopra la vetta del monte, che formava una vasta pianura, eravi un sacro bosco diviso in varii sentieri, che tutti si univano in un gran centro, chera stato ridotto in un delizioso giardino, nel cui mezzo scaturiva una fonte di acque, che prendendo tutte le differenti figure date ad essa dallarte, dopo molti giri scorrendo per il pendio del monte, e cadendo rapidamente dallalto al basso di balza in balza, si perdevano finalmente in un profondo fiume, che correva alle falde del sacro monte. Poiché la comitiva giunse al luogo del sagrifizio, due pecore bianche come la neve furono condotte alla fontana; e mentre la sacerdotessa offerì le vittime, le donne suonarono la lira, e le verginelle unendo la loro voce a quel suono cantarono il seguente inno sacro:
Ciro«Oromaze è la prima delle incorrotte nature, egli è eterno, non generato, ed a se stesso bastante; egli è lottimo degli ottimi, il più saggio di tutte le intelligenze, che contempla se stesso nel modello della sua propria sostanza; che con questo oggetto creò la dea Mitra, immagine vivente della sua bellezza, original madre, ed immortal vergine, che gli rappresentò limmagine di tutte le cose, trasmesse poi da lui al dio Mitra, onde formasse un mondo a queste immagini somigliante. Celebriamo la sapienza di Mitra noi tutte, e la veneriamo più con la purità de costumi e con la virtù, che col canto e con le preci». Nel tempo di questo cantico, la musica fu sospesa tre volte per dinotare con un profondo silenzio, che le nostre parole non sono sufficienti a rappresentare la grandezza della natura divina superiore a qualunque espressione. Terminato linno, la sacerdotessa accese co raggi del sole un fuoco di legna odorose, e mentre vi si consumò il cuore delle pecore, cantò sola ad alta voce: «Mitra altro non vuole che lanima delle vittime». Quindi preparato un pubblico banchetto sul margine della sacra fontana, ivi tutte sedendo mangiarono gli avanzi del sagrifizio; ed intanto dodici verginelle celebrarono col canto i piaceri dellamicizia, i pregi della virtù, la pace, linnocenza e la semplicità della vita campestre.
CiroTerminata questa festa, le madri e le verginelle si unirono tutte in un prato spazioso, cinto da grandi alberi, e là espressero con le danze, con le corse e con la musica le gesta degli eroi, la virtù delleroine ed i semplici piaceri dellantica età, innanzi che Arimane usurpasse limpero di Oromaze, e instillasse nellanimo de mortali la speranza ingannatrice, il falso piacere, la nimicizia malvagia, il credulo sospetto, e la barbara bizzarria di un amore profano. Dopo questi trattenimenti si sparsero tutte per il giardino, bagnandosi nelle acque per ristorarsi, e verso la sera scendendo dal monte, si unirono a Magi, che le condussero alla montagna del grande Oromaze per offrirvi il solito sagrifizio; e poiché solevano ne giorni festivi mangiare due volte, le vittime offerte servirono per la cena comune.
CiroIn questa guisa si trattenne Cassandane piacevolmente, mentre che Zoroastro spiegò a Ciro tutte le bellezze delluniverso per disporre la sua mente allo studio detta religione, più sublime di ogni altro. Il filosofo pertanto lo condusse insieme con Idaspe ed Araspe in una oscura e rimota foresta, ove il raccoglimento dellanimo non poteva essere distolto da veruno sensibile oggetto, e cosi disse: il fine de Magi nel loro ritiro si è quello di staccarsi dalla materia, dinnalzare il pensiero alla contemplazione delle cose celesti, e di cominciare una corrispondenza con puri spiriti, che conoscono tutti gli arcani della natura. Quando i mortali giungono a soggiogare le loro passioni, allora sono protetti dal grande Oromaze; e questa è la ragione per cui pochi sono que saggi che hanno goduto di tale prerogativa. Fate tacere i sensi, innalzate il pensiero sopra tutti gli oggetti invisibili, e udite tutto quello che i Gimnosofisti hanno appreso dal loro commercio co Genj. Qui tacque Zoroastro per qualche tempo, raccogliendosi in se stesso, e poi cosi continuò:
CiroNegli spazi dellempireo si spande un puro e divino fuoco che rende visibili non solo i corpi, ma gli spiriti ancora. Nel mezzo di questa immensità sta il grande Oromaze, primo principio di tutte le cose. Egli da per tutto si diffonde, ma quello è il luogo ove si mostra nella forma la più gloriosa. A lui vicino è il dio Mitra, ossia il secondo Spirito, sotto di lui sta Psiche, ossia la dea Mitra, allintorno del trono sono collocati nella sfera superiore glIngi, intelligenze le più sublimi, e nelle sfere inferiori vi sono infiniti Genj di tutte le differenti spezie.
CiroArimane, capo deglIngi, pretese di farsi eguale al dio Mitra, e con la sua facondia sedusse gli spiriti della sua sfera per disordinare larmonia universale, e la pace dellimpero celeste. Per quanto un Genio sia grande, la sua grandezza è però limitata; egli può andare soggetto allinganno, ma lamore della propria preminenza è la più delicata, e la più incomprensibile seduzione. Oromaze per impedire agli altri Genj di cadere in un simile delitto, e per punire questi spiriti audaci, ritirò ì suoi raggi, e la sfera di Arimane divenne un caos, e una perpetua notte, in cui prevalse solo la discordia, lodio, la confusione, lanarchia e la forza. Queste eteree sostanze sarebbonsi tormentate in eterno, se Oromaze, che non è crudele ne suoi castighi, né opera con uno spirito di vendetta indegno della sua natura, mosso a pietà delle loro miserie, non le avesse raddolcite, trasmettendo a Mitra il suo potere per dileguare il caos. Allora gli atomi confusi e discordi furono Separati, e gli elementi tolti alla confusione si riordinarono. Nel mezzo dellabisso si unì un globo di fuoco, chiamato da noi il sole, il cui splendore, paragonato col puro etere che illumina lempireo, diventa oscurità. Sette pianeti di una opaca sostanza raggiransi intorno a questo ardente globo, da cui ricevono la luce, e i sette Genj ministri e compagni delle colpe di Arimane, insieme con tutti gli spiriti inferiori della loro sfera, divennero abitatori di questi nuovi mondi, distinti da Greci co nomi di Saturno, di Giove, di Marte, di Venere, di Mercurio, della Luna e della Terra. Il pianeta di Saturno è abitato da Genj tetri, scioperati e maligni, che amano la solitudine e la oscurità, odiano la società, e vivono eternamente fra la noja e il disgusto; e quindi hanno origine i malvagi disegni, i perfidi tradimenti e le crudeli invenzioni. Nel pianeta di Giove dimorano li empj e intelligenti Genj, che disseminano mostruosi errori, e si sforzano di persuadere agli uomini, che luniverso non è regolato da una suprema eterna sapienza, e che il grande Oromaze non è un luminoso principio , ma solamente una cieca natura, che col Perpetuo suo moto produce la continua rivoluzione delle cose. Nel pianeta di Marte, vi sono i Genj nemici della Pace, che soffiano da per tutto col mantice della discordia, dellinumana vendetta, dellira implacabile, della stolta ambizione, del falso eroismo avido di conquistare quello che è incapace di governare, e delle furibonde quistioni, il più feroce di tutti i vizj ne suoi eccessi, poiché pretende di comandare allintelletto e di tiranneggiarlo, quando non può giungere a persuaderlo. Nel pianeta di venere si trovano gli impuri Genj che ne loro artifiziosi vezzi, e ne loro sfrenati desiderj non conoscono né gusto, né amicizia, né alcun nobile o tenero sentimento, e non hanno altro oggetto, che quello di soddisfare a tutti i piaceri che cagionano le maggiori miserie.
CiroNel pianeta di Mercurio stanno i Genj deboli dintelletto, che sempre incerti dubitano e credono senza ragione, i fantastici, e quelli che pensano liberamente; e poiché la credulità e la miscredenza derivano egualmente da una immaginazione disordinata, quindi ne nasce che alcuni hanno la vista così abbagliata, che veggono quello che non esiste, ed altri sono ciechi a tal segno che quello che esiste non veggono. Nel Pianeta della Luna dimorano finalmente i Genj fantastici e bizzarri, che vogliono e non vogliono la stessa cosa, che odiano in un tempo ciò che amano con trasporto in un altro, e che per un principio di falso amor proprio diffidano sempre di se medesimi e de loro migliori amici.
CiroTutti questi Genj, che furono volontariamente complici del delitto di Arimane, regolano la influenza degli astri e sono soggetti ai Magi, alla voce de quali devono ubbidire, e svelare ad essi tutti gli arcani della natura; ma di tutte le diverse spezie di questi Genj ne rimasero alcuni rei della colpa dArimane soltanto per debolezza, per inconsideratezza, e (se cosi può dirsi) per amicizia verso i loro compagni. Di questi Genj dintelletto più limitato, e meno colpevoli degli altri, avendo Oromaze pietà, li rinchiuse dentro a corpi mortali, ed essi, dimenticato il loro primo stato e la loro antica felicità, popolarono la terra; ed ecco la ragione per cui troviamo in essa tanti e così differenti caratteri. Il dio Mitra è occupato continuamente a sanarli, a purificarli, ad innalzarli; ed essi possono diventare capaci di godere un giorno lantica felicità, riunendosi dopo la morte nellempireo al loro principio; quelli poi che si immergono ne vizi, si perdono nelloscura materia, e passando successivamente ne corpi de più vili animali, prendono con una continua vicenda nuove forme, fino a tanto che sieno con le sofferte pene purificati delle loro colpe. Il cattivo principio sconvolgerà nel periodo di nove mille anni ogni cosa ma arriverà finalmente il tempo stabilito dal destino, in cui essendo Arimane totalmente distrutto, la terra prenderà nuova forma, sarà ristabilita larmonia universale, e gli uomini senza bisogni vivranno felici. Frattanto Oromaze sta in riposo, e Mitra combatte, e questo spazio di tempo, che sembra così lungo a mortali, non è per lui che un istante.
CiroRestò Ciro sorpreso nelludire queste sublimi cose, e indirizzando la parola ad Araspe, così disse: tutto quello che noi avevamo finora appreso intorno a ciò, confuso con tante favole assurde, ed involto in impenetrabili tenebre, ci fece considerare queste dottrine come pensieri indegni dellEssere eterno; ma ora mi avveggo che abbiamo preso gli abusi di questi principj pegli stessi principj, e che il disprezzo verso la religione dalla sola ignoranza deriva. Tutto dalla Divinità scaturisce, e tutto deve in lei ritornare. Io dunque sono un raggio di luce spiccato da quel principio nel quale ritornerò. Qual nuova e inesausta sorgente di piaceri mi avete voi ora additato, o Zoroastro! Le sventure potranno dora innanzi angustiarmi, ma non opprimermi, perché le miserie tutte della vita mi sembreranno un sogno passeggiero, e tutte le umane grandezze spariranno alla mia vista, né altro io vedrò di vero e di grande, se non che la via dimitare glimmortali per farmi degno di essere ammesso fra loro dopo la morte. Oh padre mio, additatemi voi quella strada, per cui gli eroi ascendono di nuovo allempireo. Quanto mi colma di Gioia (ripigliò Zoroastro) il vedervi gustare tali verità, delle quali avrete un giorno bisogno. I sovrani sono spesse volte circondati da uomini empj e malvagi, i quali disprezzano tutto ciò che potrebbe porre un freno alle loro passioni. Essi, o Ciro, faranno ogni sforzo per condurvi a dubitare delleterna Provvidenza; e le miserie e la confusione, che regnano quaggiù, saranno le armi con le quali tenteranno combatterla, perché non sanno che la terra tutta non è che una sola ruota di questa gran macchina; e quantunque la loro vista sia fra pochi oggetti ristretta, oltre ai quali non veggono cosa alcuna, pretendono tuttavia di potere contrastare e decidere sopra ogni cosa, e giudicano della natura e del creatore nel modo stesso, che un uomo nato in una profonda caverna col debole lume di una languida fiaccola potrebbe giudicare, senza averle prima vedute, di tutte le bellezze delluniverso e di tutti gli oggetti chegli ha dintorno. Larmonia universale sarà un giorno ristabilita, e voi siete, o Ciro, destinato al grado sublime dellimmortalità; ma la sola virtù può guidarvi, e la prima e la più grande delle virtù in un sovrano si è quella di formare la felicità de suoi sudditi.
CiroQuesti ragionamenti di Zoroastro fecero una forte impressione sulla mente di Ciro. Ritornò alla corte paterna; lasciò conoscere un cangiamento notabile nel suo discorso e nelle sue azioni; allontanò da sé i giovani Satrapi che amavano lempie massime, e chegli conobbe uomini dintelletto superfiziale, pieni dinconsiderazione, e poco capaci per trattare gli affari. Perciò applicossi egli stesso allo studio particolarmente delle leggi e della politica, essendo le altre scienze nella Persia coltivate assai poco, ma la dolente sventura sofferta nella morte di Cassandane, che perì nel fiore delletà, lo costrinse a partire dalla Persia e a viaggiare.
CiroNella morte di Cassandane, che gli lasciò due figliuole e due figli, tutto aveva egli perduto. Linclinazione, la ragione, il piacere e il dovere erano unicamente concorsi ad accrescere la sua passione; egli sentì tutta la grandezza di questa perdita, e ricusò qualunque conforto. Il cupo dolore, a cui Ciro erasi totalmente abbandonato, non fu da prima alleviato né dal pianto, né dai lamenti, ma questo insensibile dolore, finalmente fu interrotto da un torrente di lagrime. Mandane ed Araspe che non lo abbandonavano un solo momento, non trovarono allora altro mezzo per confortarlo che di piagnere con lui, poiché le persuasioni e il ragionamento non sono rimedio al dolore, né può lamicizia prestare nelle afflizioni altro aiuto, che quello di esserne a parte. Ciro dopo di essere stato per lungo tratto di tempo in questa dolorosa situazione, ritornò a visitare Zoroastro, che aveva per lo addietro provato una simile sventura; e quantunque la compagnia di questo granduomo avesse molto servito ad alleviare le angosce del suo animo, egli però non si rimise nello stato primiero che a poco a poco, dopo di avere viaggiato per alcuni anni.