Andrew Ramsay
Dei Viaggi Di Ciro
Libro Terzo
CiroEra limpero de Medi in pace pienissima, quando Cambise, non volendo mandare suo figlio una seconda volta alla corte di Ecbatana per non esporlo a pericoli, e desiderando dallaltra parte di farlo viaggiare, onde apprendesse con questo mezzo i costumi, le leggi e le religioni delle altre nazioni, chiamatolo un giorno a se dinanzi, così gli disse: poiché il grande Oromaze ti ha destinato alla conquista di tutta lAsia, duopo è che tu ti renda capace di felicitare quelle nazioni che dovranno essere soggiogate dal tuo valore. Visiterai per tanto lEgitto, sede e madre di tutte le scienze, quindi passerai in Grecia ove vi sono molti illustri repubblicani, e poi in Creta per apprendere le leggi di Minosse, e passando di nuovo per Babilonia, ritornerai un giorno alla patria adorno di tutte quelle scienze che sono necessarie per erudire i tuoi sudditi, e per compiere le grandi imprese alle quali il cielo ti ha destinato. Il tuo soggiorno in Persia non può che inasprire il tuo dolore, poiché qualunque oggetto qui ti risveglia la triste rimembranza della tua sventura. Va dunque, o figlio, va a vedere e ad osservare la natura in tutte le varie sue forme. Questangolo di terra, che noi chiamiamo patria, dà una idea troppo piccola e troppo imperfetta del mondo, onde poter formare un vero e retto giudizio del genere umano.
CiroCiro ubbidì ai comandi paterni, e non volendo essere conosciuto ne suoi viaggi, partì da lì a poco, seguito solamente da due schiavi fedeli, e accompagnato dallamico Araspe. Discesi per il fiume Agradato, andarono ad imbarcarsi sul golfo Persico, e di là giunti sollecitamente al porto di Gerra, continuarono verso la città di Macoraba il loro viaggio. Mentre Ciro contemplava le bellezze di quel paese, vide da lungi un uomo, che camminando a passo lento, pareva immerso in profondi pensieri così, cherasi già a lui avvicinato senza averlo ancora veduto, e che avrebbe continuato più a lungo la sua meditazione, segli non glielavesse interrotta, ricercandogli il cammino che conduceva a Badi, ove doveva imbarcarsi per passare in Egitto.
CiroAmenofi (era questo il suo nome) salutò cortesemente i due viaggiatori, e facendo loro osservare che per continuar il viaggio, il giorno era troppo avanzato, li pregò ad entrare nella sua abitazione campestre, e li condusse ad un piccolo colle poco di là discosto, ove egli stesso aveva costruito alcune grotte villerecce. Amenofi, presentando per cibo al suoi ospiti varie sorta di secche frutta, e per bevanda lacqua limpida di una vicina sorgente, li trattenne con piacevoli discorsi. Nel volto di lui traspirava una semplice e tranquilla gioia, era il suo parlare sensato e pieno di nobili sentimenti, ed aveva il tratto tanto gentile, quanto gli uomini educati alla corte de regi sogliono averlo. Poiché Ciro ebbe conosciuto tali qualità nel suo albergatore, desiderò ben presto di sapere la causa del suo ritiro; e per obbligarlo maggiormente ad una libera confidenza, gli manifestò prima chi egli si rosse, e per qual motivo viaggiasse. Udito comebbe Amenofi, essere quegli il principe di Persia, si sentì destare nellanimo una ragionevole speranza di poter giovare ad Aprio re di Egitto, e suo signore; e per soddisfare senza ritardo alla curiosità del principe, sperando di poter muovere il di lui animo con la narrazione della sua vita e delle sue sventure, prese a dire così.
CiroQuantunque la famiglia, da cui nacqui sia una delle più antiche dellEgitto, la discendenza mia però cadde per la vicenda delle umane cose nella maggior povertà. Il mio genitore visse in un luogo poco discosto da Diospoli, città dellEgitto superiore, ove coltivando colle mie mani un piccolo podere ereditato dal padre, mi avvezzò a gustare per tempo i veri piaceri nella semplicità della vita campestre, a trovare la mia felicità nello studio delle scienze, e ad dedicarmi con diletto nelle arti liberali, nella caccia e nellagricoltura. Il re Aprio, che soleva di tempo in tempo viaggiare per le varie provincie del suo regno, passando un giorno per una foresta vicina al luogo ove io viveva, mi vide mentre seduto sotto una palma stava attentamente leggendo i sacri libri di Ermete.
CiroLa età mia giovanile, contava poco più di tre lustri, e qualche cosa di non comune, che nel mio aspetto appariva, fecero sì, che il re mi guardasse attentamente, mi chiedesse il mio nome, il mio grado, e qual libro leggessi, e trovandosi contento delle mie risposte, ottenuto chebbe lassenso di mio padre, mi ordinasse di portarmi alla corte, ove avrebbe pensato alla mia educazione. Giunto colà, divenni a poco a poco il confidente di Aprio, linclinazione di lui si cangiò prestamente in una fiducia, che sembrava divenisse sempre maggiore a misura che io cresceva in età. Giovine, senza esperienza, con un animo grato e affettuoso, io credeva che Aprio fosse capace di sentir il dolce conforto dellamicizia.
CiroPoiché lebbi servito nelle guerre che intraprese contro i popoli di Sidone e di Cipro, divenni il suo solo favorito, cui confidava egli i più importanti segreti, ed onorava de primi impieghi. Io però non dimenticava mai loscuro stato, da cui il re mi aveva tolto, e ricordando la passata mia povertà, temeva della presente ricchezza. In tal guisa mi conservai moderato fra le grandezze, e andando a vedere di tempo in tempo mio padre, chera governatore dellEgitto superiore, visitava con piacere quel bosco, in cui mi aveva Aprio per la prima volta veduto. Mi sentii tentato più volte di abbandonare la corte, e fermarmi in quella solitudine amena, quasi presago di ciò che doveva accadermi poiché, da lì a non molto Aprio sospettò della mia fedeltà.
CiroDi questo sospetto fu autore Amasi, che mi era debitore del suo stato, uomo di umile condizione e di gran coraggio, dotato di tutti i talenti che dà la natura, e che si acquistano con lo studio; ma gli occulti suoi sentimenti derivavano da un cuore corrotto. Il mio cuore poco avvezzo al sospetto, era ben lontano dal dubitare di un uomo, che aveva io stesso colmato di benefizj, e che per tradirmi si copriva col velo di una profonda dissimulazione. Quantunque io detestassi laperta adulazione, non era però allonesta lode insensibile; per lo che conosciuta appena da Amasi questa mia debolezza, servendosi di essa per proprio vantaggio, finse meco una tale ingenuità e grandezza di animo, e un tale disinteresse, che giunse a piacermi, e guadagnò la mia confidenza a tal segno, che ottenne appresso di me il posto stesso che io aveva presso del re, al quale lo presentai come un soggetto capace di ben servirlo, ed egli ebbe non molto dopo la permissione di stare al suo fianco.
CiroEra il re fornito di somme qualità; ma per inclinazione portato ad un governo arbitrario, aveva scosso il giogo di tutte le leggi, né porgeva più lorecchio al consiglio de Trenta. Il mio ingenuo carattere e linteresse che aveva pel re, non potendo accordare con le regole di una esatta prudenza, mi portarono sovente a parlargli troppo liberamente. Nacque da ciò, chegli cominciò a poco a poco a privarmi della sua confidenza e a riporla in Amasi. Ben lungi dallesserne geloso, io godeva piuttosto al vedere lingrandimento di un uomo da me considerato, non solo come mio amico, ma come sostenitore ancora del pubblico bene; ed egli fingendo un vero interesse per me, mi diceva sovente: io non posso certamente gustare nel favore del principe piacere alcuno, se voi dovete esserne privo; al che io rispondeva: purché sia fatto il bene, poco importa che per qualunque si faccia.
CiroLe città principali dellEgitto superiore mi presentarono in quel tempo le loro doglianze per gli estraordinari sussidi che ad esse il re domandava; ed io procurai con lettere circolari di tranquillare que popoli. Giunsero queste lettere nelle mani di Amasi, e falsificando il mio carattere, altre ne spedì agli abitanti di Diospoli mia patria, con le quali gli rendeva certi in mio nome, che se non avessi potuto col consiglio, o colle preghiere ottenere cosa alcuna dal re, mi sarei posto io medesimo alla loro testa per costringerlo a trattarli più dolcemente. Quindi ne nacque, che questo popolo portato per genio naturale alla ribellione, credendomi lautore di queste lettere, simmaginò di esser meco in un secreto trattato; ed Amasi continuò intanto per molti mesi tale corrispondenza in mio nome, finché avuto in mano prove bastanti, si gettò a piedi del re, e mostrando le lettere falsificate, gli scoprì la supposta congiura.
CiroNel momento stesso io fui arrestato e rinchiuso in oscura prigione fino al tempo già stabilito, in cui doveva essere sentenziato pubblicamente. Venne Amasi a visitarmi, e fingendosi prima incerto di ciò che dovesse credere, perché conosceva la mia virtù, non pronunciò alcun giudizio, mostrandosi però timoroso delle prove evidenti dei mio delitto e dolente della mia sventura; ma avendo parlato meco alcun tempo, parve poi persuaso della mia innocenza, e mi promise di parlare al re, e di usare ogni diligenza, onde scoprire gli autori del tradimento. Quindi per compiere il suo malvagio disegno, si presentò al re, e con simulata premura di ottenere il mio perdono gli fece credere, che la gratitudine e la sola pietà verso di un uomo a cui tutto doveva, non già la persuasione della mia innocenza, lo facevano operare in tal guisa; e con questarte il tenne fermo nel giudicarmi colpevole, e comera per natura sospettoso, così divenne implacabile.
CiroSi sparse intanto la fatua del mio tradimento per tutto lEgitto, e gli abitanti delle province accorsero in folla a Sais per vedere la tragica festa che stavasi preparando; ma giunto il giorno fatale, molti miei amici comparvero alla testa di un popolo numeroso, e mi tolsero con la forza alla morte, avendo sul principio le truppe del re tentato invano di opporsi alla moltitudine che, dichiaratasi a mio favore, in numero e in forza ad ogni istante cresceva. Era allora in mio potere leccitare la stessa rivoluzione, che fu poscia suscitata da Amasi; ma di questa felice occasione non feci altro uso, che quello di giustificarmi con Aprio, e per ciò glinviai uno de miei liberatori per farlo certo, che il suo ingiusto procedere non mi farebbe dimenticare il mio dovere, e che il mio solo pensiero era di convincerlo della mia innocenza: il che inteso dal re, mi comandò di presentarmi dinanzi a lui nel suo stesso palazzo, ove io poteva andare senza timore e senza pericolo, poiché il popolo armato in mia difesa strignealo dintorno. Entrato colà, trovai Amasi col re, e questo perfido cortigiano seguitando a finger meco, corse lieto ad incontrarmi, e presentandomi al sovrano, quanto godo, egli disse, di scorgere, che dal procedere di Amenofi in voi non resta, o Sire, ragione alcuna per dubitare della sua fedeltà! Conosco abbastanza, Aprio freddamente rispose, chegli non aspira ad usurparmi il trono, ed io perdono al desiderio che aveva di costringere la mia autorità a compiacere a suoi concittadini: io sono innocente, dissi al re, del delitto di cui vengo creduto reo, e di cui ne ignoro lautore. Cercò allora Amasi di far cadere il sospetto sopra i migliori amici, e sopra i servi più fedeli del re; ed io scorgendo che Aprio diffidava ancora di me, per togliere qualunque altro pretesto di accusa, fatto prima separare il popolo, mi ritirai dalla corte, e ritornai allantico mio solitario soggiorno, nullaltro colá meco portando, che un cuore innocente ed un povero stato. Ma Aprio, pensando che io non fossi capace di passare daglimpieghi più sublimi ad una vita oscura e tranquilla, per impedire una nuova sollevazione, mandò a Diospoli alcune truppe con ordine che si spiassero i miei andamenti. Amasi avendo ottenuto frattanto un assoluto potere sullanimo del re, fece cadere il sospetto sopra i suoi amici più fidi, ed allontanò dal trono tutti quelli che potevano essere dimpedimento alla usurpazione che meditava, e che fece di là a poco, essendosegli presentata opportunità di dare esecuzione a suoi malvagi disegni.
CiroAvendo i Cirenei, cherano una colonia di Greci stabilita nellAsia, occupato la porzione maggiore delle terre de Libj, questi ultimi per avere un appoggio si sottomisero ad Aprio, che mandò in Libia una grande armata, per combattere contro i Cirenei; ma questa armata in cui eranvi molti di que malcontenti, che furono ad istigazione di Amasi allontanati dalla corte, essendo stata tagliata a pezzi, gli Egizi sospettarono che il re voglioso di un governo arbitrario gli avesse colà spediti per farli miseramente perire. Irritati perciò da tale sospetto, fecero una lega nellEgitto inferiore, e si sollevarono contro di Aprio, che spedì Amasi per tranquillarli e per richiamarli al loro dovere: ma quello appunto fu il tempo, in cui questo perfido ministro pose ad effetto i suoi empj divisamenti; poiché invece di calmare i sediziosi, glirritò maggiormente, si pose alla loro testa, e si fece proclamare re. La sollevazione allora divenne generale, ed Aprio costretto ad abbandonare la sua capitale, e a fuggire nellEgitto superiore, si ritirò a Diospoli, ove io ottenni, che quel popolo, dimenticando le ingiustizie da lui usate per lo passato, lo soccorresse, nella presente sventura, e avvicinandomi a lui liberamente per tutto il tempo che ivi dimorò, cercai cautamente di non memorargli que mali che mi avea fatto un tempo soffrire.
CiroAprio cadde ben presto in una profonda malinconia; egli non aveva forze bastanti per sostenere lavversa sorte. Procurai allora di porre in calma il suo animo; e per allontanarlo da que tristi pensieri, ne quali era immerso, gli leggeva sovente i libri di Ermete, e mi avvidi chera particolarmente da questo famoso passo colpito «che quando il gravido Osiride ama i prìncipi, versa nella coppa del destino una mescolanza di bene e di male, per cui non possono in alcun tempo dimenticare, che essi pure sono uomini». Io provai un indicibile piacere vedendo, chegli cominciava a gustare la vita, e che i miei consigli lo conducevano in mezzo alle sventure ad una interna tranquillità. Da quel momento pose in opra tutta la sua forza ed il suo coraggio per uscire dallo stato in cui era caduto, e avendo radunato i sudditi più fedeli, che le avevano seguito nel suo esilio, unendo a loro gli abitanti del paese, da me in suo favore disposti giunse a formare unarmata di quindicimila combattenti. Noi andammo con questi contro il nemico, ci battemmo vicino a Menfi, ma superati dal numero, fummo totalmente sconfitti. Aprio fuggì co miseri avanzi delle sue truppe nelle montagne dellEgitto superiore, ma io col numero maggiore fui preso, e senza essere conosciuto in unalta torre di Menfi posto prigione; e poiché Amasi ebbe presidiate le città tutte dellEgitto superiore, e dati gli ordini necessari per custodire i passi delle montagne, onde chiudere ad Aprio ogni via, e ridurlo a perire dalla fame, ritornò a Sais in trionfo.
CiroLusurpatore fu poco dopo coronato solennemente, assistito e protetto da Nabuccodonosor, re di Babilonia, a condizione però, che lEgitto sarebbe tributario di quel conquistatore. Erasi appena posto il popolo in calma, quando, portato dalla sua naturale incostanza incominciò a disprezzare il nuovo re per la bassa sua nascita, e a bisbigliare contro di lui. Questo astuto politico però usando felicemente delle sue arti, seppe acquietarlo, ed impedire qualunque sollevazione. Solevano i re di Egitto chiamare ne solenni banchetti i cortigiani ; ed i convitati lavavansi in tali occasioni le mani insieme col re in una conca di oro, riserbata solamente a questo uso. Amasi fece fare di essa un simulacro a Serapide, chespose alladorazione del popolo; e contento oltre modo di vedere con qual fervore la moltitudine accorresse da ogni parte a rendergli omaggio, uniti gli Egizj, parlò loro in tal guisa: Udite, o concittadini; questo simulacro che ora adorate, servi per lo passato ad usi più vili; e ciò vi convinca, che tutto dalla scelta vostra e dalla vostra opinione dipende. Ogni autorità nella sua origine risiede nel popolo, e se voi, arbitri assoluti della religione e della monarchia, create i vostri Numi ed i vostri sovrani, io col farvi conoscere i vostri diritti, vi libero da vani timori degli uni e degli altri. Gli uomini sono nati eguali; la sola vostra volontà è quella che li distingue, e qualora vi piace innalzare alcuno al grado più sublime, egli non deve goderne a lungo il possesso, se non perché voi lo volete e per quel tempo soltanto che voi giudicate opportuno. Voi dunque potete ripigliare quellautorità chio ebbi da voi, e darla ad altro soggetto, che vi renderà più felici di quel che io il possa. Mostratemi questuomo, ed io di buon grado discendo dal trono, e fra la moltitudine mi confondo.
CiroCon questo discorso, pieno di adulazione ed empietà, Amasi rassodò il suo potere, e pregato dal popolo a rimanere sul trono, mostrò di ritenere la corona per compiacerlo. Gli Egizj ora lo adorano, ed egli li regge con umanità e temperanza, come la buona politica lo richiede. La sua ambizione e paga, poiché vive in Sais con una pompa che abbaglia qualunque se gli avvicini ; ma quantunque ogni apparenza dimostri che nulla manca alla sua felicità, io sono certo, che il suo animo soffre internamente quelle pene che al di fuori non appariscono, Egli crede che tutti quelli che lo circondano siano simili a lui, e pensino di tradirlo nel modo stesso con cui ha egli tradito il suo signore. Un crudele rimorso gli lacera continuamente il cuore; lo sdegno del grande Osiride da per tutto lo insegne; né la grandezza del trono può farlo felice.
CiroE con quali mezzi, lo interruppe Ciro, poté Amasi acquistare sullanimo di Aprio un assoluto potere? Non era il re, ripigliò Amenofi, senza capacità, né senza virtù, ma soffrire non poteva di essere contrariato; niente gli era pertanto più caro delladulazione, mentre fingea di aborrirla. Amasi seppe trarre profitto da questa sua debolezza, poiché quando Aprio resisteva a quelle tiranniche massime che gli erano inspirate dal suo ministro, il perfido si acquistava la regia benevolenza collinsinuargli, che la moltitudine incapace di ragionamento devessere con arbitraria autorità governata, e che essendo i principi depositarj del potere divino possono, ad esempio de Numi, operare senza render conto della loro condotta.
CiroCommosso Ciro dalla storia di quel re sventurato, non poté trattenersi dal dire: a me pare, o Amenofi, che Aprio sia più degno di pietà che di biasimo; poiché qual sovrano mai può scoprire il tradimento, quando è con tant0arte nascosto? Dalla felicità del popolo, rispose Amenofi, dipende quella del sovrano; i loro interessi vanno necessariamente congiunti, qualunque tentativo si faccia per separarli, e chiunque cerca dinsinuare ai sovrani massime contrarie a questo principio, devessere qual nemico della patria considerato. Un re deve sempre temere coloro che a lui non si oppongono mai, né pronunciano altre verità, che quelle che possono essergli grate; egli deve approfittare della capacità de suoi ministri, ma non mai seguirne i consigli, può bensì affezionarsi agli uomini, ma non abbandonarvisi totalmente.
CiroOh quanto è infelice, esclamò Ciro, lo stato di un principe se, come diceste, non può che affezionarsi agli uomini, ma non abbandonarvisi mai! Egli non può gustare così in alcun tempo i piaceri dellamicizia. Oh quanto il mio è degno di compassione, se la grandezza sovrana si oppone alla maggiore di ogni felicità! Allorché un principe, replicò Amenofi, dotato di qualità distinte non si dimentica di esser uomo, egli può trovare degli amici che gli ricordino chegli é re; ma quando si tratta del pubblico bene, non deve mai lasciarsi sedurre da inclinazioni particolari; egli deve rassomigliare agli Dei, i quali non si lasciano predominare da veruna particolare passione.
CiroDopo queste considerazioni , Amenofi seguitò, a richiesta di Ciro, a raccontare nel seguente modo la storia sua: io restai per parecchi anni a Menfi in carcere dimenticato; ed era così strettamente tenuto nella mia prigionia, chio non vidi né parlai ad alcuno. Abbandonato in tal guisa, privo di ogni conforto, tutto provai il crudele tormento di quel nojoso ritiro. Io bramava ardentemente la morte, ma per rispetto verso gli Dei, e per intima persuasione, che i soli padroni di torci la vita sono coloro che ce lhanno data, non osai di tentare contro i miei giorni.
CiroMentre era un giorno immerso nelle meditazioni più tristi, odo uno strepito improvviso, come di alcuno che cercasse fra i1 muro della mia prigione farsi una via. Di fatti era questi un uomo che cercava uno scampo, e che in pochi giorni aveva fatto un pertugio abbastanza grande per entrare nella mia stanza. Il prigioniere, che quantunque fosse straniero, parlava assai bene lEgizia lingua, mi rese conto, che era nato in Tiro, che si chiamava Arobalo, che avea militato sotto di Aprio, e che nel giorno stesso in cui io aveva perduta la libertà, era rimasto egli pur prigioniero. Io non conobbi a miei giorni uomo di lui né più facile, né più franco, né più piacevole nel conversare. Noi ci raccontammo a vicenda i nostri casi e le nostre sventure, e la conversazione di questo straniero mi dilettò per modo, che dimenticai la perdita della mia libertà, e ben presto strinsi con lui intima amicizia. Fummo finalmente tolti dalla prigione, ma per essere condannati al lavoro delle miniere, non potendo sperare che dalla morte la libertà. Nelle nostre miserie lamicizia però ci sostenne, ed ella ce ne minorò il peso, mentre ci occupavamo con piacere nellesaminare le meraviglie nascoste fra le viscere della terra.
CiroLe miniere hanno una smisurata profondità, ed un immenso giro, e vengono popolate da una specie di repubblica i cui membri non veggono in alcun tempo la luce del giorno. Essi vivono subordinati ad un politico governo, e ad alcune leggi, ed hanno famiglie, abitazioni, strade, cavalli che risparmiano a loro una parte della fatica, e bestiami che li alimentano. Si trovano in que luoghi archi di una smisurata grandezza, che sono sostenuti da rocce di sali in forma di colonne tagliate. Di questi sali ve nha di bianchi, di azzurri, di verdi, di rossi e di1 tutti i colori, di maniera che appiccandovi dirimpetto a queste vaste colonne un gran numero di lampane, nesce una luce che abbaglia, simile a quella che viene da diamanti, da rubini, dagli smeraldi, da zaffiri, e dallunione di tutte le gemme. Ciò che più fa sorprendere, è un ruscello di fresca acqua che scorre fra quelle saline; essa serve per uso di bevanda a quegli abitanti; ed è utile pe lavori che mai non sono interrotti.
CiroDopo alcuni anni di dura e penosa fatica noi fummo scelti per capi e direttori degli schiavi. Io aveva letto i libri di Ermete; conosceva tutta la sua dottrina, che tratta de misteri della natura. Mi applicai dunque con lamico Arobalo ad osservare tali meraviglie col mezzo delle sperienze, e partendo dagli effetti conosciuti per giugnere ai più nascosti, e rimontar quindi alle prime cause, dopo aver esaminato, composto e ricomposto tutte le qualità de corpi che si trovano in quelle sotterranee regioni, alla fine scopersi, che vi sono nelluniverso due principi, attivo luno, laltro passivo, un fuoco elementare, uniforme, generale, e infinitamente sottile; ed una primitiva vergine terra, dura e solida, chè lessenza di tutti i corpi.
CiroInnanzi che Tifone spezzasse luovo del mondo, e vintroducesse il cattivo principio, la materia eterea penetrando in tutte le parti della vergine terra, col comprimerne una porzione, unì strettamente i solidi fra loro, e colla fluttuazione dellaltra generò i fluidi. I primi servirono di condotti per i quali scorreano i secondi, onde mantenere la generale e regolata circolazione delluniverso in tutte le sue parti; e le acque rinchiuse nel centro della terra traspiravano non solo fra i di lei pori, e somministravano quella umidezza chè alla vegetazione necessaria, ma scaturivano in fonti, i varii ruscelli de quali insieme unendosi, divenuti grandi e piccoli fiumi col loro corso abbellivano la natura. Vedevasi in quel tempo linterna disposizione de corpi, poiché era il tutto luminoso e trasparente, e la terra ricevendo e rimandando i raggi della luce, generava la piacevole varietà de colori, senza che vi fosse cosa che abbagliasse la vista, o che la offuscasse.
CiroMa dopo la caduta degli spiriti, e la ribellion di Tifone, questo bellordine restò disfatto; poiché essendosi ritirato il principio attivo, che teneva unite insieme tutte le parti del nostro globo, le acque uscite con forza de loro abissi inondarono la superficie della terra , la massa comune tutta si sciolse, ed ogni cosa divenne un oscuro caos, ed una generale confusione.La dea Iside contemplando la distruzione dellopra sua, determinò di rifarla, senza rimetterla però nella prima sua perfezione. Ella dispose il disegno del nuovo mondo, molto differente dal primo, ma tale quale si conveniva agli spiriti tralignati che doveano abitarlo. Ella parlò; la natura ubbidì alla sua voce, e il disordinato caos prese una forma, tale però che in essa si vide una mescolanza di arte e di caso apparente, di luce e di tenebre e di confusione. La terra divenne opaca, irregolare e difforme, a somiglianza delle intelligenze che labitano. I diamanti, i rubini, gli smeraldi, e le altre gemme sono gli avanzi della primitiva terra, chera tutta di tali materie composta. Alcuni pretendono che il caos sia arrivato molto tempo innanzi al diluvio, che il primo avvenisse dopo la caduta de Genj, e sia stato il secondo una punizione delle colpe degli uomini; ma comunque si voglia noi abbiamo da per tutto prove convincenti della dissoluzione generale di tutta la massa; e nelle interne viscere della terra, nelle miniere, e sopra le più alte montagne si trovano pesci, uccelli, ed ogni spezie di animali, che galleggiavano sullacqua, e che furono dopo quella inondazione petrificati.
CiroI fluidi ed i solidi tutti procedono adesso dallunione irregolare dellattivo e passivo principio, e spetta ai filosofi il trovare le leggi generali di questa unione. Le particelle del puro fuoco elementare si possono considerare come punti invisibili; e quelle della terra come linee, come superficie, o come atomi. Allorquando la materia eterea sinsinua fra queste particelle, che sono lunghe ed acute, ne compone i sali; sella poi congiugne e comprime molte superficie, senza restarne fra quelle assorbita, ne forma i cristalli; e se nelle cavità degli opachi corpicelli imprigionata ne resta, genera le spugne di fuoco, o i principj di zolfi; e da qui hanno origine i primi elementi di tutti i solidi. Quando poi le particelle terrestri galleggiano nella materia eterea, strofinandosi luna con laltra, queste invisibili sfere diventano allora il principio di tutti i fluidi; e se sono opache e gravi, in piccole pallottole si cangiano di mercurio; se lucide e trasparenti, in gocciole di acqua si convertono; e se acquistano elasticità dal continuato flusso e riflusso della materia eterea diventano balle di aria.
CiroDal congiungimento di questi tre solidi e di questi tre fluidi hanno origine tutti gli altri corpi. La mescolanza del zolfo col mercurio è la base de metalli, e la maggiore o minore lor purità dipende dalla quantità delle terrestri particelle che concorrono a comporli. Le gemme si formano dalla mescolanza de metalli col cristallo, i rubini con quella delloro, i diamanti con quella del mercurio, con quella del rame gli smeraldi, e le particelle della terra più grosse e più irregolari, assodate che sieno dallacqua divengono pietre ordinarie ed opache. I zolfi poi, i sali, il mercurio e la terra, uniti senza regola e senza misura in una massa comune, producono i minerali, i mezzi metalli, e tutte le qualità de fossili; mentre le parti più sottili e più volatili, mischiate che sieno con laria e collacqua, si cangiano in ogni genere di fluidi e di vapori.
CiroNoi ci trattenevamo spesso piacevolmente imitando queste operazioni della natura. Occupando in tal guisa il tempo fra i trattenimenti dellarte e della natura, cominciavamo a sentire con minor pena la dura nostra condizione, allorché il cielo per un non atteso e terribile mezzo ci rese la libertà.
CiroI fuochi sotterranei spezzano talvolta le loro prigioni con tale violenza, che la natura stessa par che ne tremi fino da suoi fondamenti: simili al tuono appunto, che scoppiando fra le nuvole vomita fiamme, e col suo romore laria ne assorda. Andavamo spesso soggetti a queste scosse terribili, quando, raddoppiatesi un giorno con un muggito della terra, che pareva un certo indizio di morte, questi impetuosi fuochi ci aprirono in una spaziosa caverna un passaggio, e ciò che pareva minacciarci la morte, ci diede la libertà. Camminammo per lungo spazio al debole lume delle nostre lampane prima di trovare il giorno, che rivedemmo alla fine, avendoci la sotterranea strada messo in un antico tempio, che da bassi rilievi scolpiti sopra laltare conoscemmo essere sacro ad Osiride. Prostrati adorammo la Divinità di quel luogo, e mancando di vittime per lofferta e di ogni altra cosa per le libazioni, in luogo di sagrifizio, giurammo solennemente di sempre seguir e amar la virtù.
CiroQuesto tempio era situato presso del golfo Arabico, ove cimbarcammo sopra un vascello, che veleggiava per Muza, e là sbarcati, dopo aver attraversato una gran parte dellArabia Felice giungemmo da ultimo in questa solitudine. Pare che gli Dei abbiano nascosto le più belle situazioni della terra a coloro, che non conoscono quanto sia da apprezzare una vita tranquilla. In questi boschi ed in queste foreste trovammo gli abitanti dindole dolce ed affabile, e pieni di giustizia e di verità. Arobalo insegnò loro il modo di tirar di arco, e di lanciare il dardo per distruggere le bestie selvagge, che predavano il loro gregge, ed io gli ammaestrai nella religione di Ermete, e nella scienza di guarire le malattie col mezzo de semplici: il che ci acquistò ben presto tal fama, che fummo riguardati come Divinità da questi popoli, nella naturale giocondità, nellingenua semplicità, e nellaffettuosa riconoscenza de quali, tutto giorno ammiravamo le disposizioni della bella natura. Ringraziammo però gli Dei di averci fatto conoscere linganno dei piaceri fallaci; ma, oh Dio! quanto le cose di quaggiù sono incostanti, e quanto è debole lo spirito umano! Arobalo, quellamico così virtuoso, così tenero, così magnanimo, quello che seppe sofferire con tanta fermezza la sua prigionia e la sua schiavitù, non poté uniformarsi ad una vita semplice e regolata. Nato con una inclinazione guerriera andava alle imprese straordinarie, e più filosofo per riflessione, che per natura, confessandomi che non poteva sopportare più a lungo la noja della solitudine, lasciommi, ne più lo vidi.
CiroIo rimasi un essere isolato sopra la terra; perseguitato dal mio re, tradito da un falso amico. Abbandonato da Arobalo, ovunque mi volga, non trovo intorno a me stesso che un vuoto spaventevole. Veggo collesperienza che lamicizia, il maggiore di tutti i beni, difficilmente si trova; che le passioni, le debolezze, e mille contrarietà la raffreddano e la interrompono; e che gli uomini amano troppo se stessi, perché possano amar bene gli altri. Io li conosco al presente, e quantunque non possa apprezzarli, però non gli odio; ed anzi senza speranza alcuna di ricompensa desidero, e farei loro del bene. Mentre Amenofi così parlava, vedeansi sulla faccia del principe gli effetti di tutti i varii sentimenti, che al racconto di questi casi destavansi nel suo animo. Poiché lEgizio terminò il racconto delle sue sventure, Ciro gli domandò, se della sorte di Aprio avesse contezza alcuna. Io so, rispose Amenofi, che il re vive ancora, che dopo aver per lungo tempo errato fra le montagne, egli unì unarmata di Carj e di Ionii, e che questi popoli si stabilirono col suo assenso per tutto il corso del suo regno nellEgitto superiore, e lo resero Signore della città di Diospoli.
CiroIo ammiro, disse allora Ciro allEgizio, lintrepidezza e la costanza con cui tolleraste i colpi dellavversa fortuna; ma approvare non posso la vostra determinazione di restarvene in questo ozio. Non è lecito alluomo il goderne, finché può utilmente adoprarsi per la sua patria: egli non è nato a se solo, ma alla società; e se nellEgitto, che abbisogna ancora del vostro aiuto, vi offrono gli Dei una nuova occasione di esserle utile, perché dimorate più a lungo in questa solitudine? Un sinistro accidente e la nemica fortuna può abbattere la virtù di unanima volgare, ma quella di un eroe non mai: itene dunque in soccorso di Aprio, e liberatelo da un usurpator che lo opprime. Amenofi, per animare maggiormente Ciro a pro del suo re, si mostrò allora poco inclinato a ritornare in Egitto, e prima di cedere alle persuasioni del principe, si fece a lungo pregare.
CiroPrima di partire dallArabia, Ciro spedì messi a Nabuccodonosor re di Babilonia, e suo zio (che tal era, poiché con Amestri sorella di Mandane crasi ammogliato), onde muoverlo in soccorso di Aprio; e fatte quindi con Amenofi le necessarie disposizioni per la buona riuscita de loro disegni, partirono insieme, e attraversato sollecitamente il paese de Sabei, giunsero alle sponde del golfo Arabico, e simbarcarono per lEgitto. Restò Ciro sorpreso di trovare in questi luoghi una nuova spezie di bellezza che non aveva nellArabia veduto poiché là tutto era effetto della semplice natura, e quivi larte avea perfezionato ogni cosa.
CiroNellEgitto piove di rado, ma il Nilo con le regolari sue inondazioni supplisce alla mancanza delle piogge e delle nevi, delle quali abbondano gli altri paesi. Le acque di questo fiume, divise in infiniti canali, davano una comunicazione alle città fra di loro, univano il gran mare col mare Rosso, e quindi facevano al di dentro e al di fuori del regno fiorire il commercio. Le città dellEgitto erano numerose, vaste, molto popolate, ornate di magnifici templi, e di superbi palagi, che innalzavano la fronte a guisa disole nel mezzo dellacqua, e dominavano la fertile pianura, che si presentava alla vista in un aspetto grato e ridente. Là vi erano molti villaggi ne siti li più ameni, piramidi che servivano di sepolcro agli uomini illustri, ed obelischi che rappresentavano la storia delle loro azioni. Lagricoltura finalmente, le arti meccaniche ed il commercio, che sono i principali cardini dello stato, fiorivano da per tutto, e davano indizio, che un popolo ricco ed attivo era regolato da un governo dolce, fermo e prudente.
CiroNon poté Ciro, se non di paesaggio, osservare queste belle opere dellarte, poiché doveva sollecitamente giugnere a Diospoli per unirsi colla regia armata. Si commosse Aprio alla vista del generoso suo difensore, lo abbraccia affettuosamente, e riguardando nel tempo stesso Amenofi, gli disse: il mio esempio vinsegni, o Ciro, a conoscere gli uomini, e ad amar quelli che avranno virtù e fermezza di dirvi la verità a costo ancor di spiacervi. larrivo del giovine eroe ravvivò intanto in Aprio la speranza, e la presenza di Amenofi accrebbe la sua armata al numero di trenta mila combattenti. Li due sovrani partiti da Diospoli con Amenofi e con Araspe mossero contro lusurpatore, e si fermarono a vista della sua armata, chera accampata presso Menfi in una posizione vantaggiosa. Aprio, molto addestrato nellarte militare e perfetto conoscitore del paese, occupò i posti più utili; e pose il suo campo dirimpetto a quello di Amasi. Lusurpatore non sospettando, che in sì breve spazio di tempo avesse il re di Egitto potuto radunare un esercitò sì numeroso, era partito da Sais con soli ventimila combattenti. Aprio avendo conosciuto, che le forze del nemico erano in numero di gran lunga inferiori alle sue, si determinò di assalirlo nel loro campo. Il giorno seguente per tanto Ciro ed Araspe usciti alla testa di dieci mila Carii sforzarono i posti avanzati, cherano custoditi dalle truppe di Amasi, si avvicinarono alle linee, e raggiunti poco dopo da Amenofi e da Aprio stesso, superarono le trinciere, ed assalirono vigorosamente gli Egizj. La battaglia fu sanguinosa, e la vittoria restò per lungo tempo indecisa, quando Ciro bramoso di terminarla con qualche azion segnalata, raccolto il fiore della cavalleria, corre per tutto il campo in cerca di Amasi, che volando di fila in fila animava alcuni de suoi, e impediva ad altri la fuga. Poiché Ciro lo ebbe raggiunto, gli scaglia contro il suo dardo, e gridando, questo, o tiranno, è il momento di por fine a tuoi delitti, gli trapassa la corazza ed il petto. Amasi vedendosi uscire dalla ferita il sangue in gran copia, furibondo come un cinghiale, che sia da cacciatori ferito, si avventa contro di Ciro, ed innalzando la spada sguainata sopra il suo capo, prendi, giovine temerario, gli grida, il guiderdone alla tua audacia dovuto; ma nel momento che volea farne vendetta, si trovò chiuso fra uno squadrone di Egizi, cherano in difesa di Amasi accorsi. Giro allora, qual giovane leone a cui sia rapita la preda, si apre il passo nel mezzo dello stuolo nemico, e lasciando ovunque i segni funesti del suo valore, si difende per molto tempo da tanti, che vinto finalmente lo avrebbero, se Amenofi in suo soccorso non arrivava. Allora rinnovossi la pugna. Amasi quantunque ferito non abbandonò mai il campo, e rianimando col suo esempio lillanguidito coraggio de suoi, diede tali prove di valore e di militare condotta, che ne restò lo stesso Ciro meravigliato. La notte pose fine allazione, Aprio restò padrone del campo; ma Amasi si ritirò in buona ordinanza colle sue truppe, e ripassato il Nilo simpadronì delle vicine montagne, e trovandosi in quella angusta e difficile situazione sicuro, determinossi a dimorare colà, finché risanato dalle sue ferite potesse rinforzare, larmata.
CiroAprio trasse allora profitto dalla stoltezza del suo nemico, e in pochi giorni prese Menfi di assalto; ma Amasi avendo intanto radunato con incredibile celerità unarmata di cinquantamila soldati, comparve in campo di nuovo, diede una seconda battaglia, sconfisse le truppe di Aprio, cheransi indebolite di molto, e fece prigioniero lo stesso re. Ciro, Araspe e Amenofi, temendo di essere dal vittorioso esercito tolti in mezzo, si ritirarono a Menfi col nerbo miglior dellarmata, e quelli che non vollero seguitarli, parte furono messi a fil di spada, e parte fatti prigioni.
CiroAmasi temendo dellautorità e della stima che il giovine principe aver poteva presso il re di Babilonia, spedì a quella corte alcuni suoi messi, e pago di tenere per allora assediata Menfi, ritornò a Sais con la parte maggior dellarmata, ove seco condusse il re prigioniero. Aprio f u per alcuni giorni onorevolmente trattato e Amasi per conoscere bene le disposizioni del popolo, propose di rimetterlo sul trono; ma nel tempo stesso determinò di torgli segretamente la vita. Gli Egizj allora si mostrarono tutti vogliosi della morte del re, che abbandonato da Amasi alle lor brame, fu strozzato nel suo stesso palazzo, e nel giorno medesimo di tutti i reali avanzi di quella sventurata famiglia fu fatto strage. Ciro venne a sapere nel tempo stesso e il funesto fine di Aprio, e dalle lettere di Nabuccodonosor la di lui volontà. Gli faceva sapere con quelle, che abbandonar ei dovesse Aprio al suo destino, mentre con altre spedite ad Amasi glimponeva di sottoporsi a comandi del principe di Persia. Conosciuta, chebbe Ciro la volontà del re di Babilonia, non poté trattenersi dal dire: io dubito che gli Dei vorranno punire un giorno severamente in Nabuccodonosor la sua insaziabile cupidigia di dominare, e che faranno prima di tutto vendetta sopra di lui dellingiusta protezione chegli dona a un tiranno.
CiroLusurpatore, inteso il comando del re di Babilonia, ordinò alle sue truppe di ritirarsi tosto da Menfi, e partito egli stesso da Sais, si avvicinò a quella città con tutta la corte per visitare il principe di Persia, che ricusando di vederlo, glinviò questo scritto. Le colpe di Aprio sono punite da delitti di Amasi ; così i giusti numi si beffano de mortali ; giugnerà per te pure il giorno tremendo; intanto Amenofi, che a te spedisco, ti spiegherà la mia volontà. Se qualche sentimento, se unombra sola di virtù ti restasse, la sua sola presenza ti opprimerebbe assai più di quello che fare lo potessero que rimproveri chio sdegno di farti.
CiroAmenofi accompagnato da alcuni Carii andò ad incontrare Amasi, e trovatolo poche miglia da Menfi lontano in mezzo a principali Egizj (era questa unadunanza composta di vecchi cortigiani che avevano tradito Aprio per ambizione, e di giovani nobili che lo aveano co piaceri corrotto), se gli avvicinò con nobile e modesta fermezza, e gli presentò lo scritto di Ciro. Non aveva ancora lusurpatore terminato di leggerlo che si sentì da mille opposti affetti turbato. La rimembranza de suoi delitti lo fecero restare confuso; pallido e muto divenne ad un punto, e in vano tentò di chiamare in suo aiuto la sua naturale arditezza. Il vizio, quando anche trionfi, non può sostenere laspetto della virtù, quantunque vinta ed oppressa. Conobbe Amenofi la confusione, lincertezza del di lui animo, e sì gli disse: determinata volontà ella é di Ciro, che tutti i prigionieri di guerra abbiano la libertà, e che sia ad essi e alle truppe che sono in Menfi, permesso di ritornare nellEgitto superiore, per colà vivere tranquillamente. O Amasi, quindi soggiunse, io non ti chiedo per me cosa alcuna. Ben comprendo che non potrebbe il tuo animo sopportare adesso la ricordanza del mio primo affetto e la tua ingratitudine. Possa tu un giorno conoscere il pregio della virtù! Possa tu pentirti di averla abbandonata! E possa allontanarti da te lira del cielo che ti minaccia! Ritirossi ciò detto, lasciando Amasi in mezzo alla sua confusione, al suo rossore, ed andò subito a Menfi. Lusurpatore, dati gli ordini opportuni, perché fossero eseguiti i comandi di Ciro, ritornossene a Baia, dove visse sempre sepolto in una profonda tristezza.
CiroPosto fine in tal modo alla guerra, Ciro si dedicò interamente allo studio della storia, della politica, e della legislazione dellantico Egitto, e per tutto quel tempo che si trattenne in Menfi, conversò ogni giorno unitamente ad Amenofi e ad Araspe co sacerdoti di quella città. Col mezzo di questi studi egli apprese, che gli Egizj aveano composto la loro storia di una infinita serie di secoli, e che le favole sparse ne loro annali intorno i regni di Ammone, di Osiride, dIside, e di Oro non erano che allegorici fatti, che spiegavano il primo stato degli spiriti prima del gran cangiamento accaduto per la ribellion di Tifone. Credevano essi, che dopo lorigine del male il loro paese fosse il meno difformato, e il primo abitato. Il loro primo re si nominò Menete, ed incominciando dal suo regno, si divide la loro storia in tre età: la prima, che giugne fino al tempo de re pastori, comprende lo spazio di ottocento anni; la seconda, che da re pastori giugne fino a Sesostri, ne contiene cinquecento; la terza, che da Sesostri giugne fino ad Amasi, e conta più di sette secoli.
CiroEra diviso lEgitto nella prima età in molti principati, ognuno de quali riconosceva un sovrano. Allora non si attendeva allesterno commercio, ma allagricoltura, e alla vita pastorale. I pastori furono eroi, ed i re erano filosofi. Visse in que tempi il primo Ermete, che penetrò, gli arcani tutti della natura e della religione, e questa fu letà in cui fiorirono le scienze occulte. I Greci (dicono gli Egizj) credono che il mondo fosse nella sua infanzia ignorante; ma essi pensano in cotal guisa solo perché sono sempre fanciulli, né conoscono il principio del mondo, né la sua antichità, né le rivoluzioni in esso avvenute. Gli uomini che vissero ai tempi di Mercurio, si ricordavano ancora del regno di Osiride, e aveano molte tradizioni che noi abbiamo perduto. Le arti dimitazione, la poesia, la musica, la pittura, e tutto ciò chè parto della immaginazione, non sono che scherzi dello spirito, in confronto delle scienze sublimi conosciute dagli uomini de primi tempi. La natura allora ubbidiva alla voce de saggi che potevano dar moto a tutti i suoi occulti principj, e produrre, quando il valevano, gli effetti più prodigiosi. I Genj aerei erano al loro volere soggetti, e conversavano frequentemente cogli spiriti eterei, e talvolta ancora colle pure intelligenze che soggiornano nellempireo. Noi perdemmo (diceano i sacerdoti a Ciro) queste sublimi cognizioni, né ci restano di esse che poche memorie sopra de nostri antichi obelischi, che chiamare possiamo, non già gli annali della nostra storia civile, come credono glignoranti, ma i monumenti della nostra religione, de nostri misteri, e delle nostre tradizioni sopra la natura e sopra gli Dei.
CiroLa seconda età fu quella de re pastori, che vennero dallArabia, e inondarono lEgitto con unarmata di duecentomila uomini. Lignoranza, e la barbarie di questi rozzi Arabi fece andare in disprezzo e in dimenticanza le occulte scienze sublimi. Quello fu il tempo, in cui il genio degli Egizj si cangiò totalmente; si diedero allo studio dellarchitettura, della guerra e di frivole arti. Quello parimente tu il tempo in cui sintrodusse in Egitto lidolatria, e in cui la scultura, la pittura e le poesia oscurarono tutte le semplici idee, trasformandole in immagini visibili, che colpirono il volgo, senza che egli ne conoscesse lallegorico senso. Non molto tempo dopo questa invasione degli Arabi, molti Egizj non potendo soffrire un giogo straniero, abbandonarono il loro paese, e si sparsero per tutto il mondo a stabilirvi alcune colonie. Da questi discendono tutti i grandi uomini, famosi nelle altre nazioni, come il Belo de Babilonesi, il Cecrope degli Ateniesi, il Cadmo de Beozj, e quindi le nazioni tutte delluniverso sono debitrici allEgitto delle loro leggi, delle loro scienze e della loro religione. Così i sacerdoti parlavano a Ciro. In questi età visse il secondo Ermete chiamato Trismegisto, che fu il ristoratore della religione antica, e che compilò le leggi e le scienze del primo Mercurio, riducendole a quarantadue volumi detti il Tesoro de rimedi dellanima, perché sono opportuni per togliere lo spirito alla sua ignoranza, chè lorigine di tutti i mali.
CiroLa terza età fu quella delle conquiste e del lusso. In quel tempo le arti si perfezionarono ogni di più, si moltiplicarono le città, le piramidi e gli edifizj, il padre di Sesostri volle che tutti i fanciulli, nati nel giorno stesso chebbe vita il giovine principe, fossero portati alla corte, e che si avesse per la loro educazione lo stesso pensiero, che si dava a quella del suo figliuolo. Dopo la morte del re, Sesostri formò una poderosa armata, e vi destinò uffiziali tutti que giovani cherano stati con lui educati, fra quali se ne contavano circa duemila atti ad inspirare col loro esempio a tutta larmata il coraggio, le militari virtù e la brama più viva di servire ad un principe, chessi rispettavano come sovrano, ed amavano come fratello. Sesostri formò il gran disegno di conquistare tutto il mondo, penetrò nelle Indie più oltre che non fecero Ercole e Bacco sottomise gli Sciti al suo impero, e lascio sparsi nella Tracia e nellAsia minore i monumenti delle sue vittorie, sopra i quali stanno scolpite le superbe inscrizioni di Sesostri re de re, e signore de signori. Dopo nove anni di lontananza, e dopo di aver dilatato le sue conquiste dal Gange fino al Danubio e dalle rive del Tanai sino allestremità dellAfrica, Sesostri, carico delle spoglie delle conquistate nazioni, tornò in Egitto sopra un carro trionfale strascinato dai re soggiogati. Il suo governo fu tutto militare e dispotico; egli scemò lautorità de pontefici, e trasferì ne capi dellarmata tutto il potere; ma dopo la sua morte nacque una discordia fra capi, che durò lo spazio di tre generazioni, e sotto Anisi il Cieco, Sabacone Etiope, approfittando di queste dissensioni, invase lEgitto. Questo Principe religioso ristabilì lautorità del sacerdozio, e dopo di avere pacificamente regnato per lo spazio di cinquantanni, ritornò alla patria per ubbidire agli oracoli de suoi Dei. Il regno abbandonato cadde allora in potere di Setone pontefice di Vulcano, che distrusse larte militare, né si curò punto di loro che la professavano. Così lEgitto passò da un governo dispotico ad uno superstizioso; e se il primo aveva indebolito il coraggio di questa nazione, il secondo terminò di abbatterlo. Da quel tempo in poi questo impero non si sostenne che con milizie straniere, e cadde a poco a poco nellanarchia. Dodici monarchi eletti dal popolo si divisero il regno, ma uno di essi, nominato Psammetico, soggiogò tutti gli altri. LEgitto allora si riebbe un poco, e per cinque o sei regni si mantenne con un moderato potere; quellantica monarchia finalmente divenne tributaria di Nabuccodonosor re di Babilonia. Le conquiste di Sesostri furono lorigine di tanti mali; e quindi Ciro apprese, che i principi troppo avidi di conquiste sono nemici della loro posterità.
CiroLe antiche leggi dellEgitto fino sotto il regno di Sesostri avevano perduto in gran parte il loro primo vigore, e a tempi di Ciro più non ne restava che la rimembranza. Questo principe però raccolse, per quanto ha potuto, tutte le cognizioni dagli uomini illustri, e da più vecchi saggi che allora vivevano.
CiroIl regno fu ereditario, ma erano i re alle leggi soggetti. Consideravano gli Egizj come una colpevole usurpazione de diritti del grande Osiride, e come una stolta arroganza, se alcuno avesse preteso, che la sua volontà servir dovesse di legge. Il re si alzava sullo spuntare del giorno, ed in quellora se gli presentavano tutti gli affari sopra i quali doveva in quel giorno pronunciare il suo giudizio; ma prima di farlo, portavasi al tempio per impetrare co sagrifizj lassistenza de Numi; e là colle vittime preparate sul[altare, e col seguito di tutta la corte assisteva alla seguente preghiera:
CiroGrande Osiride, occhio del mondo, e luce degli spiriti, accorda al nostro sovrano, chè tua immagine, tutte le virtù che sono proprie di un re, affinché egli sia pio verso gli Dei, umano cogli uomini, temperato, giusto, magnanimo, generoso, nemico della menzogna, domatore delle proprie passioni, clemente punitore delle colpe, e liberale rimuneratore della virtù. Quindi il pontefice richiamava alla memoria, e manifestava tutte le colpe, che nel giorno innanzi erano state commesse dal re contro le leggi, e si caricavano di maledizioni que malvagi ministri, che co loro perversi consigli ve lo avevano indotto, o che gli avevano mascherata la verità. Terminata la preghiera e il sagrifizio, si riscontravano colla lettura i fatti de grandi eroi e de re famosi, affinché seguendo lesempio loro, il sovrano si facesse mantenitore di quelle leggi, colle quali i suoi predecessori avevano fatto felici i popoli, e perpetuata la loro memoria.
CiroUnaltra legge contemplava il governo e la subordinazione delle condizioni. Le terre erano divise in tre parti; la prima costituiva il dominio reale, la seconda apparteneva ai pontefici, la terza ai militari. il popolo era ripartito in agricoltori, in pastori e in artisti. Il padre trasmetteva al figlio le sue cognizioni, non era permesso a chi che fosse di abbandonare 1impiego paterno, e con questo mezzo si conservavano le arti, ed erano portate alla maggior perfezione. Affinché alcuno non sentisse vergogna dellumiltà del suo stato, si onoravano le arti meccaniche; ed era nellEgitto considerato come stolto, qualunque disprezzasse un uomo, il quale con un penoso mestiere serviva alla patria. In tal modo si manteneva la dipendenza delle condizioni senza che i nobili fossero dalla plebe invidiati, senza che questa fosse da nobili disprezzata.
CiroLa terza legge regolava la giurisprudenza. Trenta giudici tratti dalle principali città componevano il consiglio supremo, che amministrava la giustizia per tutto il regno. Il sovrano assegnava loro rendite sufficienti, affinché potessero, senza esser distolti dagli affari domestici, dedicarsi interamente a creare, e a far osservare le buone leggi. Questo consiglio non poteva essere ingannato, né sedotto ad approvare una ingiusta sentenza, poiché non era ne litigi permesso ad alcuno il servirsi di quella falsa eloquenza, che offusca lintelletto, e che muove gli affetti e la verità de fatti doveva essere esposta con una precisione chiara, fondata e nuda di tutti gli ornamenti di un falso ragionamento. Il principe del senato portava un gemmato collare di oro, da cui pendeva una piccola immagine senza occhi, che si chiamava la Verità, e chegli applicava alla fronte, ed al cuore di quello in favore del quale parlava la legge: tale era il rito di giudicare. LEgitto aveva in oltre una forma di giustizia non conosciuta dalle altre nazioni. Subito che un uomo era morto, era portato in giudizio, e si ascoltava innanzi al tribunale il pubblico accusatore. Se le azioni del defunto erano state contrarie alle leggi, si diffamava la sua memoria, ed era negata al suo corpo la sepoltura; ma se non era imputato di colpa alcuna, si seppelliva allora con onorevole pompa, e si recitava il suo elogio senza far parola né della sua famiglia, né, della sua condizione. Prima però di portarlo al sepolcro, si levavano dal corpo le viscere, e si riponevano in unurna, che il pontefice teneva alzata verso dei sole, pronunziando nel tempo stesso in nome del defunto questa preghiera: Grande Osiride, vita di tutti gli esseri, ricevi il mio spirito, e riuniscilo a quello degli immortali! Nel corso de miei giorni io procurai dimitare la tua verità e la tua bontà, non commisi alcuna colpa contro i doveri sociali, venerai gli Dei de miei antenati, rispettai i miei genitori, e se incorsi in qualche fallo per umana debolezza, o per una inclinazione ai piaceri, queste sole vili spoglie del mio corpo mortale ne rianno la colpa. Terminate queste parole, il pontefice gettata lurna nel fiumi, ed il resto del corpo imbalsamato si metteva nelle piramidi. Tali erano le opinioni degli antichi Egizj i quali, pieni di speranza dellimmortalità, credevano che le umane debolezze restassero purgate dalla separazione del nostro corpo, e che i delitti commessi contro gli Dei, e contro la società fossero i soli, che impedissero allo spirito di riunirsi allorigine sua.
CiroTutte queste nozioni fecero nascere in Ciro il desiderio di essere meglio instruito dellantica religione Egizia, e a tale oggetto andossene a Tebe, indirizzato da Zoroastro a Sonchis pontefice di quella città. Sonchis condusse il principe di Persia in una sala spaziosa, dove trecento statue di sommi sacerdoti Egizj erano in bellordine disposte. Una serie così lunga di pontefici destò in Ciro una idea sublime dellantichità di quella religione, e una voglia ardente di saperne i principi. Perché io possa farvi conoscere, gli disse Sonchis, lorigine del nostro culto, de nostri simboli e de nostri misteri, conviene che voi diate ascolto alla storia, chio sono per narrarvi, di Ermete Trismegisto, che ne fu il fondatore. Sifoas, o Ermete, secondo di questo nome, era della stirpe de nostri primi re. Sua madre, trovandosi gravida di lui, andò in Libia per la via di mare, onde offrire un sagrifizio a Giove Ammone; ma mentre costeggiava lAfrica, si suscitò unimprovvisa tempesta, che fe perire la nave presso unisola deserta. La madre di Ermete protetta da Numi si salvò, gettata da unonda sopra quellisola, dove condusse una solitaria vita fino a tanto che partorendo perdette la vita. Il bambino restò esposto alle ingiurie delle stagioni, e al furore delle fiere; ma il cielo, che il destinava a cose sublimi, in mezzo a tanti disastri lo preservò. Una giovine capra accorse alle sue grida, e allattollo per tutta linfanzia. Ne suoi primi anni insieme collamorosa nutrice si pasceva della tenera erbetta; ma trovò da poi che i datteri e le selvatiche frutta erano per lui un cibo più convenevole; e col primo lume della ragione comprese che la sua figura non era somigliante a quella degli animali, che aveva più intendimento e più sagacia di loro, e quindi conjetturò chera di una differente natura. La capra, che lo aveva nudrito, morì di vecchiezza. Ermete non potendo comprendere la causa, per cui restasse ella per tanto tempo fredda e senza moto, la esaminò per molti giorni, e facendo un confronto di tutto ciò che scorgeva in lei, con quello che in se stesso sentiva, si avvide chegli aveva una palpitazione e un principio di moto, che più in lei non vi era. Disse egli allora fra sé: la capra non può aver dato a se stessa questo principio di vita, perché lo ha perduto, né può darselo di nuovo.
CiroDotato dalla natura di singolare penetrazione, dopo di aver cercato a lungo la causa di tal cangiamento, osservò che le piante e gli alberi davano segni di morire e di vivere ogni anno, secondo la maggiore o minor distanza del sole: per lo che credendo che questastro fosse il principio di tutte le cose, espose il cadavere, ai raggi del sole; ma questo invece di tornare in vita, si putrefece, sinaridì, si disciolse in pezzi, e non rimase di esso altro che le ossa. Scoperto allora il suo inganno, conobbe che non è il sole, il quale dia la vita agli animali; e quindi esaminò, se qualche altro astro potesse esserne la causa: ma avendo osservato, che le stelle non aveano né tanto calore, né tanta luce, come ne ha il sole, e che anzi col mancare del giorno pareva che la natura tutta languisse, giudicò, che gli astri non fossero il primo principio della vita.
CiroEssendosi coi crescere delletà perfezionato il suo intelletto, egli più profondamente meditò, ed avendo osservato, che i corpi inanimati non si movevano da per se soli, che gli animali non poteano rinnovare il moto a se stessi, qualora perduto lo avessero, e che il sole non ridonava la vita a corpi estinti; da tutte queste osservazioni conchiuse, che vi era nella natura un primo motore più possente del sole e degli astri, che dava a tutti i corpi moto e vigore.
CiroMeditando poi sopra di se medesimo trovò, che vi era in lui qualche cosa che aveva sentimento e pensiero. Gli spiriti dissipati, i quali si perdono dietro a inutili ricerche, e spendono il tempo fra vani piaceri, non rientrano mai in se stessi, e le sublimi loro facoltà restano istupidite, e nella materia a così dire sepolte. Ermete, che non era né da false opinioni ingannato, né dalle passioni corrotto, intese la tranquilla voce della sapienza, che ci chiama continuamente in noi medesimi, ubbidì a quellinvito divino senza conoscerlo, e giunse a scoprire colla purità del cuore quale verità, che gli altri non giungono a conoscere che collacutezza del ragionare. Dopo di aver per molti anni considerato tutte le operazioni del suo spirito, Ermete senza conoscere, o immaginare, che alcuna differenza vi fosse fra lanima e il corpo, finalmente decise, chegli non era la prima causa del pensiero, come non lo era del moto, e che traendo sì luna che laltra origine dallo stesso principio, il primo Motore doveva avere unintelligenza eguale al suo potere.
CiroAppena ebbe Trismegisto scorto un barlume di queste verità, chebbro di gioia così disse fra sé: poiché il primo Motore di tutte le cose ha tale potere e tanta intelligenza, egli deve avere ancora una bontà infinita, pronta sempre a prestare aiuto a coloro che ne abbisognano, come appunto pronto io sono, e cerco di soccorrere gli animali col mio potere, colla mia intelligenza e colla mia bontà, qualità che non possono in me procedere che da lui.
CiroIl desiderio della felicità destò in Ermete una viva brama di vedere questo primo Motore, di conoscerlo e di parlare con lui. Se io potessi (egli diceva) fargli intendere i miei pensieri e i miei desideri, mi renderebbe senza dubbio più felice che non sono; ma le sue speranze e la sua contentezza furono ben tosto da forti dubbi turbati. Ahimè, diceva, se il primo Motore è così buono e così benefico, come io mel figuro, perché non si lascia da me vedere? E perché son io abbandonato in questa trista solitudine, dove nulla trovo che a me rassomigli, nulla che sembri ragionevole come io lo sono, nulla che possa soccorrermi? Fra questi dubbi taceva la sua debole ragione, ma il cuore non tacque: Vita di tutti gli esseri, esclamò egli, a me ti mostra! Fammi conoscere chi tu sia, e chi son io, e vieni a soccorrermi nella solitaria e misera situazione in cui mi trovo.
CiroIl grande Osiride che ama un puro cuore e ascolta i suoi desiderj, comandò ad Ermete primo, cioè Mercurio, di vestire umane spoglie, e di andare ad istruirlo. Un giorno, mentre il giovine Trismegisto erasi addormentato a piedi di un albero, venne Ermete, e se gli pose accanto. Trismegisto si sveglia, resta fortemente sorpreso nel vedere una figura somigliante alla sua, e pronunziando alcuni suoni confusi, e non articolati, palesa tutti i movimenti del suo animo con quellagitazione, con quella veemenza, e con que naturali e semplici cenni, che dalla natura sono agli uomini suggeriti per esprimere ciò che sentono vivamente. Mercurio ammaestrò in breve questo selvaggio filosofo dellEgizio idioma, quindi gli fece conoscere chi egli si fosse, ciò che doveva divenire un giorno, e lo instruì in tutte quelle scienze chegli stesso insegnò poscia agli Egizj. Allora Trismegisto cominciò a ravvisare distintamente le molte prove di una intelligenza e di un potere infinito sparso per tutta la natura, e comprese da ciò, quanto sia debole lumana ragione, allorché senza guida è abbandonata a se stessa. Tali considerazioni però nel tempo stesso che fecero stupire Trismegisto della sua prima ignoranza generarono in lui nuovi dubbi, ed un giorno, mentre che Mercurio gli rappresentava la meta sublime delluomo, la dignità della sua natura, e limmortalità che lo attende, così disse: il grande Osiride destina alluomo una felicità così perfetta, perché, in luogo di farlo nascere in una tale ignoranza, non si mostra a lui per dissipare le tenebre che lo circondano? Ah se co lumi vostri non mi aveste fatto conoscere il principio di tutte le cose, io avrei inutilmente tentato di trovarlo, quale in questi giorni mel dipingeste! Trismegisto qui tacque, e Mercurio gli spiegò allora in questi sensi tutti gli arcani dellEgizia religione:
CiroIl primo stato delluomo, dissegli, fu molto al presente dissimile; allora le parti tutte delluniverso trovavansi al di fuori in una perfetta armonia, tutta era al di dentro soggetto al volere immutabile della ragione, ognuno portava scolpita la sua legge nel proprio cuore, e tutte le nazioni della terra non componevano che una repubblica di saggi. Gli uomini, non conoscendo per anche né la discordia, né lambizione, né il fasto, vivevano con una semplice uguaglianza in una pace perfetta; e quantunque la volontà, le inclinazioni e la capacità di ciascheduno fossero differenti, tutte però tendevano allamore della virtù, e alla conoscenza del vero, ed i soli sollazzi, i soli studi de primi uomini erano quelli di considerare le bellezze della natura, e le perfezioni del suo autore. Allora limmaginazione non presentava che semplici e giuste idee, le passioni soggette alla ragione non turbavano lanimo, e lamore del piacere era sempre allamor del dovere conforme.Il dio Osiride, la dea Iside, ed Oro loro figlio conversavano sovente cogli uomini, e li ammaestravano in tutti i misteri della sapienza. Questa vita terrestre, per quanto felice ella fosse non era che linfanzia della nostra esistenza, nella quale le anime si disponevano ad un successivo sviluppo dintelligenza e di felicità; poiché dopo una breve vita sopra la terra, gli uomini senza morire prendevano nuova forma e figura, e volavano alle stelle, ove con altri sensi e con altri lumi scoprivano nuove verità, gustavano nuovi piaceri: di là erano poi trasportati in un altro mondo, quindi in un terzo, ed in tal guisa giravano pegli spazi immensi, con una metamorfosi perpetua.
CiroDopo un intero secolo, o, come vogliono alcuni, dopo molti secoli di uno stato così felice, sopravvenne finalmente una funesta rivoluzione negli spiriti e nei corpi. Tifone, capo de Genj, e i suoi seguaci avevano dimorato un tempo nel nostro felice soggiorno; quando dimenticati dellessere loro, a segno di tentare con un folle orgoglio di salire fino al cielo, furono nel centro della terra precipitati e sepolti. Dopo qualche tempo uscirono essi da loro abissi, traforando luovo del mondo, vi sparsero il cattivo principio e corruppero col loro commercio lo spirito, il cuore ed il costume degli abitanti. Lanima del grande Osiride abbandonò allora il suo corpo, chè la natura; questa divenne un cadavere, e Tifone lo mise in pezzi, ne separò le membra, e ne macchiò la bellezza.
CiroIl corpo andò da quel giorno soggetto alle infermità e alla morte; e lo spirito restò in preda degli errori e delle passioni. Luomo non vede al presente colla sua immaginazione altro che chimere; la sua ragione non fa che opporsi alle sue inclinazioni senza poterle correggere; i suoi piaceri sono per la maggior parte falsi e ingannevoli; e tutte le sue pene, sebbene alcuna volta immaginarie, sono mali reali. Il suo cuore è una sorgente feconda dinquiete brame, di frivoli timori, di vane speranze, e di sregolati piaceri che a vicenda il tormentano; e una folla di stravaganti idee e dimpetuose passioni suscita in lui uninterna guerra, gli somministra sempre nuove armi da combattere contro se stesso, e lo rende lidolatra ad un punto e il nemico della sua stessa natura. Ciò che ciascuno sente dentro di se medesimo, non è che una viva immagine di quello che accade nella società degli uomini. Tre differenti imperi sorsero quindi nel mondo, e tutti i caratteri si divisero. Luno è limpero dellopinione, laltro è quello dellambizione, ed il terzo è quello de piaceri: al primo presiede lerrore, il secondo è dalla forza signoreggiato, nellultimo regna linerzia: ecco lo stato attuale dellumana natura. La dea Iside corre per tutta la terra, e va in traccia delle anime disperse e ingannate per ricondurle allempireo, mentre il dio Oro combatte perpetuamente il cattivo principio. Dicesi, chegli un giorno ristabilirà il regno di Osiride, e che il mostruoso Tifone sarà per sempre scacciato dal mondo; ma fino a tanto che questo non avviene, il Principio buono può bensì raddolcire le umane miserie, ma non interamente sanarle. Voi, soggiunse Mercurio, che discendete dallantica schiatta de re di Egitto, siete destinato dal grande Osiride a dare colle vostre savie leggi nuova e miglior forma a quel regno; né ad altro oggetto vi preservò, se non perché possiate rendere un giorno felici gli uomini: ben presto voi vedrete la patria. Ciò detto si alza improvvisamente da terra, il suo corpo si fa trasparente, e a poco a poco svanisce, come la stella del mattino, che fugge al comparire dellaurora. Aveva egli una berretta sul capo, le ali a piedi, un caduceo nelle mani, e londeggiante sua vesta rappresentava tutti que geroglifici, de quali poscia si servi Trismegisto per ispiegare i misteri della religione e della natura.
CiroMeride, il primo che regnava allora in Egitto, avvertito dagli Dei con un sogno di ciò che nella deserta isola succedeva, mandò a cercare in quel luogo il selvaggio filosofo, e trovando la di lui storia al divino sogno conforme, lo adottò in figlio. Morto questo principe, Trismegisto regnò in Egitto, e con le sagge sue leggi il rese per lungo tempo felice, e lasciò scritti molti libri, che contenevano la storia della religione, della filosofia e del governo Egizio. Il primo Ermete aveva trovato larte di esprimere qualunque suono colla variata combinazione di poche lettere; invenzione quanto più semplice, maravigliosa altrettanto, e per esser comune non ammirata bastevolmente. Oltre questo metodo di scrivere, un altro ve nera destinato alle divine cose, e da pochi inteso. Il secondo Ermete rappresentò le virtù, le passioni dellanima, le opere, e gli attributi degli Dei con le figure degli animali, deglinsetti, delle piante, delle stelle e con altri diversi misteriosi caratteri; e di qui viene che ne nostri antichi tempi, sopra i nostri obelischi troviamo le sfingi, i serpenti, gli uccelli e i coccodrilli, i quali non sono però, come stoltamente immaginarono i Greci, gli oggetti del nostro culto. Trismegisto occultò sotto allegorici geroglifici i misteri della religione, e non espose agli occhi del volgo che le bellezze della sua morale. Tale fu in tutti i tempi ed in tutti i luoghi lo stile de saggi e de legislatori famosi. Questi uomini sublimi sapeano che gli spiriti corrotti non possono gustare le divine verità, finché il cuore non è dalle passioni purificato, e perciò stesero un velo sopra la religione; velo che si squarcia e sparisce, quando gli occhi dellintelletto possono resistere a quello splendore.
CiroDa questa storia di Ermete comprese Ciro che lOsiride, lOro, ed il Tifone degli Egizj erano lOromaze, il Mitra, e lArimane de Persiani, e che la mitologia di queste due nazioni aveva gli stessi principj; con questa sola differenza, che le idee degli orientali erano più semplici, più chiare e più nude di sensibili immagini di quelle degli Egizj, che con allegorie, con oscurità e con maggiori finzioni le avevano avviluppate.
CiroSonchis dopo di aver ragionato in tal modo con Ciro, lo condusse al tempio per fargli conoscere tutte le cerimonie e i misteri del culto Egizio. Ciò non era stato per laddietro accordato ad alcuno straniero. Questo tempio consacrato alla dea Iside, rappresentava con la sua figura ovale luovo del mondo, e sopra la porta maggiore vi era la seguente inscrizione: ALLA DEA CHÈ UNA, E CHÈ TUTTO. Un obelisco di porfido, su cui erano scolpiti molti geroglifici rappresentanti i misteri dellegizia religione, serviva per uso di altare. Uscivano dallalto del tempio tre nuvole oscure, che in una punta si univano, e nel basso sorgeva da un profondo pantano un albero sopra i cui rami, che si alzavano fino alle nuvole, posava un falcone. Dalla parte di questo albero stava un globo alato da cui usciva un serpente, e nel fondo del tempio vedevasi un coccodrillo senza lingua in atto di profondersi nelle acque, mentre nel tempo stesso camminava una sfinge sopra la superficie. La statua della Dea coperta con un velo, sopra cui erano rappresentate le figure de corpi celesti e terrestri, stava da una parte dellaltare, e dalla parte opposta vi era quella di Arpocrate, che teneva una mano sulla bocca, e con laltra indicava la Dea.
CiroPrima che si desse principio al sagrifizio, il pontefice vestito cogli abiti sacerdotali spiegò a Ciro il significato di questi simboli. Noi adoriamo solamente, egli disse, il grande Ammone, cioè il Dio che non si conosce; e lo consideriamo, o come è in se stesso, o come nella natura si manifesta. Nel primo caso noi lo chiamiamo Eitone, Emefo, Vita, Luce ed Amore: essendo le azioni, i pensieri e gli affetti suoi concentrati tutti in se stesso, egli resta nella sua unità incomprensibile a mortali e noi, contemplandolo in questo modo, lo adoriamo soltanto con un profondo silenzio, lo chiamiamo col nome tre volte ripetuto dIncomprensibile Oscurità, e lo rappresentiamo con quelle nuvole, che nellalto tu vedi dellobelisco.
CiroQuando poi lo consideriamo, come si manifesta eziandio nelle infinite opere della natura, con una bontà che si diffonde dovunque con una sapienza che comprende in se stessa la idea di tutte le cose, e con un potere che crea, anima, conserva e regge tutti gli esseri, noi chiamiamo allora queste tre figure della divinità, Osiride, Iside ed Oro, e con diversi simboli le rappresentiamo. Il falcone che ha la vista più acuta ed il volo più rapido di tutti gli uccelli, esprime lattività e la intelligenza divina, e questo uccello che posa su la cima dellalbero, denota che la natura eterna è infinitamente al di sopra della materia. Il globo significa che lunità indivisibile non ha né principio, né fine; il serpente mostra la suprema sapienza, e le ali esprimono quello spirito attivo che anima tutte le cose. Il coccodrillo senza lingua che si profonda nellacqua, rappresenta il grande Osiride, che nascosto negli abissi della natura, opera con un profondo silenzio; e quella sfinge mezzo uomo e mezzo leone, che cammina sopra la superficie delle acque, indica degli altri due principj la sapienza e la forza. La dea Iside che scorgi coperta di un velo con quella inscrizione sopra il suo piedestallo: io sono tutto ciò chè, che fu e che sarà, né mortale alcuno può levare il velo che mi copre, dichiara che la natura tutta è come un velo che copre la Divinità, nella cui pura, nuda e luminosa essenza non può alcuno fissare lo sguardo.La positura del Dio Arpocrate finalmente cinsegna che non dobbiamo mai favellare della essenza incomprensibile dIside ma soltanto delle palesi opere sue. Gli Egizj di tutte le altre contrade, dimentichi del primitivo e sublime significato di que sacri simboli, adorano questi figurati animali, e pagano un censo per il loro alimento; ma i Tebani ricusano di farlo, adorano una sola divinità increata ed eterna, e non conoscono numi mortali.
CiroCiro, poiché conobbe il senso di questi geroglifici, bramò di vedere legizie cerimonie, e si diede al sagrifizio incominciamento. Mentre si offerivano le vittime e il loro sangue sgorgava a piedi dellaltare, si udì una musica soave; quando il pontefice, alzatosi improvvisamente, gridò ad alta voce: adoriamo Il grande Ammone, il Dio non conosciuto, lIncomprensibile Oscurità. Egli per tre volte replicò queste parole, e per tre volte il popolo cadde proteso a terra: la musica cessò, e tacque ciascuno temendo dinterrompere il silenzio universale. Quindi tutte le voci unite degli strumenti intonarono questinno:Celebriamo le lodi dellimmortale Iside madre della natura, principio di tutte le cose, sostanza di tutte le divine virtù, sembianza uniforme di tutti gli Dei. Ella con una sola occhiata dà lume agli astri, e comanda a dolci zefiri di ricreare la terra; ella governa le orribili regioni di averno, ella ama i mortali, e ne loro affanni si mostra madre affettuosa; ella dissipa i nembi della fortuna, e reprime i nocevoli influssi degli astri. Innanzi a lei sincurvano le celesti Divinità; le ubbidiscono le infernali potenze, e tutto luniverso, sotto differenti nomi e con diversi riti, ladora. Poiché terminò il sacro cantico, quaranta sacerdoti accompagnati a due a due girarono intorno al tempio, cantando inni in onor degli Dei. Ciro fu ricondotto al palazzo del pontefice, che il teneva alla sua destra, ed aveva alla sinistra Amenofi, circondati da una turba immensa che li seguiva con rispettoso silenzio.
CiroPassati alcuni giorni in compagnia del pontefice, Ciro si dispose a partire per la Grecia, tanto allora rinomata in tutto lOriente per la bontà delle sue leggi, per il valore de suoi, capitani, e per la sapienza de suoi filosofi. Tentò indarno che Amenofi lo accompagnasse. Volle questi ritornare allamata sua solitudine. In atto di separarsi da Ciro: Va, gli disse, va a renderti degno che su di te gli oracoli si compiano; ma in mezzo alla tua felicità ti rammenta spesso di Aprio, che trionfatore e pieno di gloria cadde in un istante dal trono, e divenne giuoco della fortuna. Disse e partì e Ciro lasciò lEgitto senza vedere Amasi, di cui detestava il carattere e le usurpazioni.
Frontespizio del libretto dellIsis di Lully e Quineault,
rappresentata per la prima volta il 5 gennaio 1677 nel
castello di Saint Germain en Laye, dove qualche
anno dopo Ramsay avrebbe svolto la sua
attività di precettore dei rampolli
degli Stuart in esilio.