Andrew Ramsay
Dei Viaggi Di Ciro
Libro Quinto
CiroPoiché Ciro uscì colla maggior possibile celerità da Corinto, luogo pieno di tragici avvenimenti, attraversata la Beozia entrò nellAttica, e giunse sollecitamente in Atene, dove Pisistrato allora regnava. Tutto in essa poté sorprendere Ciro: gli edifizj, i templi, le splendide dovizie e più di ogni altra cosa il reale palazzo, il cui esterno adornava un basso rilievo rappresentante le fatiche di Ercole, le imprese di Teseo, la nascita di Pallade, la morte di Codro, e la cui interna galleria era fornita di pitture, di statue di bronzo e di marmo, e di tutto ciò che può dilettare e trattenere lo sguardo.
CiroPisistrato accolse il principe di Persia con dimostrazioni di giubilo, e lo fece sedere al suo fianco. I principali senatori e molti giovani Ateniesi si assisero allintorno sopra ricchi tappeti, ed un sontuoso banchetto fu intanto imbandito, in cui lattica cortesia, che regnava nella conversazione di Pisistrato, fu di maggiore delizia, che le squisite vivande e i delicati vini nelle auree tazze di fino intaglio versati. Il re di Atene durante il pranzo fece a Ciro una lunga narrazione di tutte le rivoluzioni accadute sotto il suo regno, del suo esilio, delle sue sventure e del suo ristabilimento sul trono, dopo esserne stato per due volte scacciato. Egli mise con arte sotto laspetto il più odioso tutti i disordini, che nascono da un popolare governo, per ispirarne negli astanti tutto lorrore; e gli storici racconti, e i vivaci tratti dingegno, con che il suo parlare condiva, dilettarono lassemblea. I senatori e la gioventù nellascoltarlo parevano dimenticarsi la naturale avversione che avevano per il governo monarchico; e Ciro apprese da questo esempio quale impero acquistar possano i principi, che hanno in se delle amabili qualità, sul cuore anche di quelli che sono i maggiori nemici della loro possanza.
CiroCiro nel giorno seguente manifestò a Pisistrato il vivo suo desiderio di conoscer Solone, la cui fama si era già sparsa per tutta lAsia. Questo filosofo, che dopo i suoi viaggi aveva da principio ricusato di ritornare in Atene, ove Pisistrato si era fatto dichiarare sovrano, ma che aveva in seguito notizia della saviezza e moderazione con cui la governava, erasi seco lui riconciliato, teneva il suo soggiorno sopra il colle di Marte, nel qual luogo, vicino al sepolcro delle Amazzoni, si adunava il famoso consiglio dellAreopago. Pisistrato volle condurre egli stesso il principe di Persia, e presentarlo al legislatore Ateniese, il quale, quantunque vecchio, conservava il suo primo vivace carattere. Solone abbracciò Ciro con quellaffettuosa amorevolezza, chè tanto naturale negli uomini di età, allorché trovano de giovani bramosi di apprendere la sapienza; e Pisistrato sapendo, che il principe di Persia era andato a visitare quel saggio per istruirsi pienamente nella legislazione Ateniese, ritirandosi li lasciò soli.
CiroSolone per conversare in un luogo più dilettevole e con maggior libertà, condusse il principe di Persia sulla sommità del colle, e là presso una sacra quercia entrambi si assisero. Da una parte si vedevano le fertili pianure e le scoscese montagne dellAttica. Il Saronico golfo insensibilmente allargandosi presentava da unaltra parte allo sguardo molte isole, che parevano galleggiare sulle onde; si scoprivano in maggiore distanza le alte spiagge dellArgolide, che sembravano perdersi fra le nuvole. Nel basso era la città di Atene fabbricata sul pendio di un prolungato colle, e i numerosi edifizj, che gli uni sopra gli altri si ergevano, colla loro diversa architettura contrassegnavano le differenti età della repubblica; poiché vi si trovava in essi e lantica semplicità degli eroici tempi, e la nascente grandezza del secolo di Solone. Da una parte vi erano magnifici templi, sacri boschetti, pomposi palazzi, ameni giardini, e molti superbi edifizj di una regolata architettura. Stavano dallaltra eminenti torri, alte muraglie, e piccole fabbriche irregolari, avanzi del guerriero e rustico carattere de tempi passati. Il fiume Ilisso serpeggiando fra le campagne, e scorrendo vicino la città, a tante bellezze dellarte aggiugneva quelle della natura. Fu questo il luogo, in cui Solone, interrogato da Ciro intorno allo stato della Grecia, e particolarmente a quello di Atene, così favellò:
CiroTutti i Greci riconoscono la loro origine da Eleno figlio di Deucalione, i cui discendenti diedero il nome loro agli Eoli, a Dori e a Ioni, tre differenti nazioni della Grecia; le quali fabbricarono molte città. Da queste uscirono Ercole, Teseo, Minosse, e tutti que primi eroi, a quali furono accordati i divini onori per dinotare che la virtù non può essere che nel cielo degnamente ricompensata. Gli Egizj furono i primi, che inspirarono a Greci una inclinazione per le scienze e per le arti, e che iniziandoli ne loro misteri, diedero loro le sue leggi e i suoi Numi. La Grecia fattasi colta in tal guisa, prese a poco a poco una forma, e si divise in molte repubbliche, le quali dal supremo consiglio degli Amfizioni, composto de deputati delle principali città, furono unite tutte per lo stesso oggetto di mantenere fra loro la concordia e la libertà. Una tale condotta servì per un tempo di freno alla smoderata licenza, e inspirò ne Greci lamore di una libertà soggetta alle leggi; ma questi santi principi non ebbero lunga durata.
CiroLe repubbliche di Sparta e di Atene, sono di gran lunga superiori alle altre tutte, che esistono nella Grecia. Lingegno, la eleganza, la politezza, e tutte le sociali virtù formano il carattere degli Ateniesi; la fortezza, la temperanza, le militari virtù, e la ragione spoglia di ogni ornamento, costituiscono quello degli Spartani. I primi amano le scienze e i piaceri, e il loro carattere inclina alla voluttà; i secondi conducono una vita stentata ed austera, e tutti i loro desideri sono diretti al dominio. Dalle differenti inclinazioni di questi popoli ebbero origine le varie forme e le rivoluzioni de loro governi. Licurgo, allorché volle dare una nuova forma allo stato Spartano, secondando la durezza naturale del suo carattere, e la selvaggia ferocia de suoi concittadini, credette che le conquiste e il dominio soltanto potessero produrre la felicità de Lacedemoni, e sopra questi principi dettò le sue leggi: a me non era possibile limitarlo.
CiroNel suo principio ebbe Atene de sovrani, che portavano il nome soltanto di re; laddove in Isparta regnavano con un assoluto potere. Gli Ateniesi tanto diversi di carattere da Lacedemoni aborrirono sempre la monarchia, e tutta lautorità de loro re, quasi dirò circoscritta nel comando delle armate, non aveva alcun vigore in tempo di pace. Dieci sovrani contiamo da Cecrope fino a Teseo, e sette da Teseo fino a Codro, che si sagrificò per la comune salvezza. Medone e Nileo di lui figliuoli si contrastarono la monarchia; e gli Ateniesi, prevalendosi di questa occasione, ne abolirono tutto il potere, e dichiararono il solo Giove re di Atene; spezioso pretesto per sostenere una ribellione, e liberarsi dal giogo di qualunque ben fondata autorità: Abolita in cotal guisa la regia dignità, furono ad essa sostituiti i governatori perpetui col nome di Arconti; ma sembrando odiosa anche questa immagine della sovranità, per toglierne fino lombra, furono stabiliti gli Arconti decennali. In seguito, la inquieta e volubile nazione neppure paga di ciò, volle che gli Arconti durassero un anno solo, onde più spesso disporre di quella suprema autorità, che aveva a suoi magistrati suo malgrado accordato. Un potere così limitato non poteva frenare un popolo portato per naturale carattere alle turbolenze; e quindi sorsero ogni dì nuovi partiti e secrete trame, e volle ognuno col libro delle leggi alla mano disputare della loro interpretazione. LAreopago, consiglio istituito da Cecrope, tanto venerato per tutta la Grecia, e così celebre per la probità de suoi giudizi, che, per quanto vien detto, vi si uniformarono soventi volte gli stessi numi aveva più autorità di sorte alcuna; e il popolo, che se ne era impadronito, giudicava senza appellazione di tutti gli affari; ma le sue decisioni non erano di lunga durata perché lincostanza e l capriccio sono il fermo carattere della moltitudine. Tutto serviva di pretesto in quel tempo per accrescere larroganza, per irritare limprudenza, e per mettere le armi in mano a un popolo furibondo chera corrotto da una sfrenata licenza. Così restò Atene per lungo tempo incapace di poter dilatare il suo impero, troppo felice di aver saputo evitare la sua estrema rovina nel mezzo di tante discordie che la squarciavano. In tale stato erano le cose della mia patria, allorché io mi accinsi a rimediare a suoi mali.
CiroNe miei verdi anni io mi era abbandonato alla incontinenza, alla intemperanza e a tutte quelle passioni alle quali per ordinario è soggetta la gioventù. Lamore chebbi fino dalla mia più tenera età per le scienze, favore particolare che dagli Dei riconosco, mi risanò dagli sregolati appetiti. Nello studio della morale e della politica, a cui mi era particolarmente dedicato, trovai un tale allettamento, che ben presto mi sentii disgustato di condurre una vita così disordinata; ed essendosi colle serie riflessioni dissipata in me la ebbrezza delle passioni, rivolsi tutti i miei pensieri alla infelice situazione della mia patria per trovarne il rimedio, e comunicai l mio disegno a Pisistrato, chera parimente dalle giovanili pazzie rinvenuto. Voi vedete, gli dissi, le disgrazie dalle quali siamo tutto di minacciati, e come qui regna, in luogo della vera libertà, una sfrenata licenza. Voi discendete da Cecrope, ed io da Codro; e questo titolo a noi più che agli altri dà un giusto diritto al trono; ma gli Dei ci guardino dallaspirarvi. Procuriamo dunque di renderci utili alla patria, senza tentare di dominarla.
CiroUna opportuna occasione mi rese facile il porre in opera i miei disegni. Gli Ateniesi mi elessero per condottiero di unimpresa militare contro ai Megaresi, che si erano impadroniti dellisola di Salamina. lo vi sbarrai con cinquecento soldati, espugnai la città e ne scacciai il nemico; ma questi ostinato ancora nel sostenere i suoi supposti diritti, volle che gli Spartani fossero giudici delle nostre pretese. Io trattai le ragioni di Atene, nebbi vittoria; e i miei concittadino, presso a quali tali fatti mi avevano procurato un nome, mi sollecitarono allora ad accettare la regal dignità, che fu da me ricusata; e pago del nome di Arconte cercai di rimediare a pubblici mali.
Da un eccessivo poter popolare trassero questi la prima origine. Lautorità monarchica temperata dallautorità di un senato, fu la prima forma di qualunque saggio governo. Io avrei desiderato di stabilirla in Atene ad imitazion di Licurgo; ma troppo conoscendo il naturale carattere de miei concittadini, previdi, che quando anche si fossero lasciati spogliare della sovrana autorità, avrebbero voluto ben presto ripigliarla a forza aperta. Bastommi dunque di porre un freno allo smoderato potere del popolo, che ho diviso in quattro classi. Scelsi da ciascuna cento uomini, che aggiunsi al consiglio dellAreopago; feci conoscere a principali, che del potere sovrano non bisogna servirsi, se non per reprimere le umane passioni; rappresentai al popolo tutte le sventure da lui sofferte per essersi a suoi impeti abbandonato e disposi così gli uni ad un temperato comando, e gli altri ad una pronta ubbidienza.
CiroQuindi proposi che dovessero punirsi severamente coloro, le massime de quali tendevano a provare, che gli uomini sono nati eguali, che il solo merito deve determinare le condizioni, e che lo spirito è il merito maggiore che si possa trovare nelluomo. Feci comprendere agli Ateniesi le fatali conseguenze di questi erronei principi, dando loro a conoscere che la naturale uguaglianza, di cui essi parlano, è un ente chimerico fondato sulle poetiche favole de compagni di Cadmo e de figli di Deucalione; che gli uomini non sono in alcun tempo usciti dalla terra in uno stato di perfetta virilità; che ladottare per principi gli scherzi della fantasia era un mancar di buon senno; che dopo il secolo dOro lordine della generazione aveva stabilito fra gli uomini una dipendenza ed una ineguaglianza necessaria; e che la paterna autorità finalmente era stato il primo modello di qualunque governo. Quindi dichiarai con una legge incapaci de pubblici impieghi tutti quelli che non avessero dato altri saggi del loro sapere, se non che facendo mostra de bizzarri scherzi di una vivace immaginazione, di un parlare elegante, e di una varia capacità di ragionare sopra ogni materia senza conoscerne alcuna con fondamento.
CiroCiro interruppe a questo passo Solone. Parmi, disse, che il merito dovrebbe più che ogni altra cosa, distinguere gli uomini. Il merito, replicò Solone, è senza dubbio la distinzione essenziale negli uomini, ed è quello che dovrebbe assegnare a ciascuno il suo posto: ma lignoranza, e le passioni cimpediscono sovente di riconoscerlo, e lamor proprio accieca gli uomini a tal segno, che ognuno a sé medesimo lo attribuisce. Sarebbero perpetui le discordie e linganno, se non vi fosse un metodo più sicuro e più semplice, fuori di quello del solo merito, per istabilire i posti e le dignità. Queste dignità, e questi posti sono regolati da voti dei cittadini nelle piccole repubbliche e nelle monarchie dalla nascita. Egli è un male, io nol nego, laccordare le dignità a coloro i quali non hanno un vero merito per conseguirle; ma questo è un male di necessità, e questa necessità costituisce la differenza fra il diritto naturale e il diritto civile; e quantunque luno sia sempre alla più perfetta giustizia conforme, laltro, benché sovente ingiusto negli effetti che ne risultano, è però necessario per prevenire il disordine e la confusione.
CiroSotto il regno di Saturno le cose di quaggiù si regolavano diversamente. In quellaurea età Dio solo era luniversale sovrano, e il padre comune di tutte le cose; egli stesso aveva in cura il sostentamento e il governo degli uomini; egli era il loro pastore e il loro custode; e non essendo stabilito alcun governo civile, ognuno seguiva la legge chesiste in natura, e non la legge che fu creata dagli uomini. Ma sotto il regno di Giove, essendosi il Padrone delluniverso ritirato in un luogo inaccessibile, ed avendo abbandonato le redini del governo, il mondo, scosso fino da suoi fondamenti da un movimento contrario al suo principio e al suo fine, perdé allora la sua bellezza e il suo splendore; il bene ed il male si confusero insieme; lignoranza e le passioni crearono le leggi civili e i magistrati; e quantunque sieno quelle sovente imperfette, e non sempre questi i migliori, noi siamo tuttavia tenuti ad ubbidire alle une, ed a rispettare gli altri, senza di che una perpetua anarchia sarebbe la dominatrice del mondo. Gli uomini sono fratelli, ed ha ciascuno in natura un eguale diritto; poiché essendo essi tutti figliuoli di uno stesso padre, non deve alcuno sopra laltro signoreggiare; ma se le leggi non avessero assegnato fra loro le condizioni, e le proprietà, la cupidigia e lambizione del più potente avrebbe tutto colla forza usurpato; e quantunque non sieno queste leggi stabilite sempre sopra ciò chè in se stesso il meglio, esse sono però fondate sopra ciò chè meno dannoso alla società. Tale fu lorigine di quasi tutti i governi politici; e fino a tanto che non ritorni Astrea sulla terra, tempo in cui il solo merito stabilirà la condizione degli uomini, noi dobbiamo contentarsi di una distribuzione, che sovente non è la più giusta. Per altro le dignità ed i posti non sono che lombra della vera grandezza, e lomaggio esteriore che loro si rende non è che lombra di quella stima chè dovuta alla sola virtù.
CiroDa vostri detti, disse Ciro, comprendo, che quelli, i quali vivono in una oscura condizione devono contentarsi di meritare la tacita stima, che gli uomini prestano alle loro semplici e modeste virtù; e devono i grandi persuadersi, che quando non abbiano un merito reale, non verrà loro accordato che un omaggio esteriore. Così gli uni non si avviliranno per essere di una condizione inferiore; né gli altri andranno della loro grandezza fastosi; e gli uomini conoscendo che i sovrani sono necessari, e non dimenticando i sovrani di essere uomini resterà ciascuno nel posto chè loro dovuto, né lordine sociale verrà turbato. La bellezza di questi principj, continuò Ciro, mi fa impaziente di apprendere le altre leggi da voi stabilite.
CiroLa seconda causa de nostri mali, proseguì Solone, era leccessiva ricchezza di alcuni, e lestrema povertà degli altri. Tale sproporzionata disuguaglianza in un popolare governo è sorgente di perpetue discordie; né io poteva, per porre un rimedio a tanto male, stabilire, sullesemplo dello Spartano legislatore, la comunanza de beni, poiché gli Ateniesi non avrebbero tollerato questa legge, portati come sono per naturale inclinazione al lusso e ai piaceri. A fine però di minorare questo disordine, annullai tutti i debiti, cominciando dal rinunciare io stesso alle somme che mi erano dovute; e rendendo la libertà a miei schiavi, vietai a qualunque lobbligare per debito di denaro la sua persona. Il massimo de miei piaceri fu quello di prestare a miserabili un qualche soccorso. Volendo, chesso fosse il piacere di tutti, ho stabilito in Atene, che i cittadini di una medesima repubblica dovessero, come membra del corpo stesso, aiutarsi a vicenda ne loro bisogni.
CiroLa terza causa delle nostre sventure derivava dalle molteplici leggi, le quali sono un contrassegno evidente della corruttela dello stato, come lo è dellinfermità del corpo la diversità de rimedj. Ma né pure in questo caso io poteva imitar Licurgo; poiché in una repubblica nella quale tutti i beni sono in comune, ed eguali tutte le parti che la compongono, diventano inutili molte leggi, che si rendono necessarie in que governi, ne quali manca luguaglianza delle proprietà e delle condizioni. Perciò mi contentai di cancellare tutte quelle leggi, le quali servivano ad esercitare il talento raffinato de sofisti, e lartifiziosa scienza dei giureconsulti. Così posi fine alle cavillazioni, mostro inventato dalla malizia degli uomini per ingannare la giustizia, e fissando un determinato tempo per consumare i litigi, severe ed ignominiose pene imposi a que magistrati che il prescritto termine oltrepassassero. Finalmente annullai le leggi troppo rigorose di Dracone, le quali punivano colla morte tanto le colpe leggere, come i delitti più enormi; e volli che a delitti fossero proporzionate le pene.
CiroLa quarta causa de nostri guai era il pessimo metodo con cui si educava la gioventù. Non si pensava a coltivare ne giovani, che le superficiali qualità di uno spirito pronto, di una brillante immaginazione e di una effeminata eleganza, e non si educava intanto per tempo il loro cuore colla grandezza de nobili sentimenti, e la loro ragione colla base delle vere virtù ed ecco la causa per cui gli Ateniesi apprezzavano gli uomini e le cose, secondo lapparenza e non secondo la realtà, ed erano da essi considerate con estimazione le ciance, nel tempo che riguardavano, come cose troppo astratte, gli affari importanti. Per rimediare a tali abusi, imposi allAreopago di vigilare alleducazione della gioventù, e non comportando che allevata fosse nellignoranza, come lo erano gli Spartani, né contento che si dedicasse solamente, come per laddietro avea fatto, allo studio delleloquenza, della poesia e di quelle scienze, che sono ornamenti della sola immaginazione, volli, che si applicasse a, tutte quelle dottrine, le quali rinforzano la ragione, avvezzano lintelletto alla riflessione, e al discernimento, e portano alla conoscenza della proporzione de numeri, del calcolo de movimenti celesti, della struttura delluniverso, e della scienza sublime di rimontare alle prime cause, di scendere agli effetti per conoscere quindi tutte le verità che le une dalle altre dipendono. Tali scienze speculative servono però per esercitare e perfezionare Soltanto la mente nella prima età poiché gli Ateniesi in una età più matura studiano le leggi, la storia e la politica, e col mezzo di questi studi apprendono le rivoluzioni deglimperi, lorigine de loro stabilimenti, la causa della loro caduta, e tutto ciò finalmente che può far conoscere luomo, tanto esaminato separatamente dagli altri, quanto nella sociale unione, considerato.
CiroLa quinta causa finalmente de nostri mali proveniva da una sregolata inclinazione ai piaceri. Sapendo che gli Ateniesi erano per genio naturale portati ai divertimenti e agli spettacoli pubblici, vidi chio non poteva domare questindocili spiriti repubblicani, se non col vincerli ed ammaestrarli col mezzo de piaceri. Feci perciò rappresentare in questi pubblici trattenimenti le fatali conseguenze delle loro discordie e di tutti i vizj. Uniti in tal modo nel luogo stesso, passavano le ore intere ad ascoltare i precetti di una, sublime morale. Tali furono le mie leggi e le mie istituzioni.
CiroComprendo perfettamente, disse Ciro, che voi studiaste la natura molto meglio che non fece Licurgo; ma parmi dallaltro canto, che siate stato troppo indulgente collumana fragilità poiché il voler unire gli uomini collallettamento de piaceri in una repubblica, che fu sempre dedita alla voluttà, mi sembra un esporli a gravi pericoli. Io non poteva, rispose Solone, cangiare il carattere de miei concittadini; so che le mie leggi non sono le più perfette, ma sono le migliori chio poteva dar loro, e le sole alle quali essi potevano sottoporsi. Licurgo trovò negli Spartani un carattere disposto a tutte leroiche virtù; io trovai negli Ateniesi uninclinazione a tutti que vizj che rendono gli uomini effeminati. Con tutto ciò oso dire che volendo le leggi Spartane al sommo grado portarle, trasformano le virtù in vizi, e che le mie al contrario tendono a rendere i vizi stessi utili alla società. Questo è quanto la politica può fare, la quale non potendo cangiare il cuore delluomo, può solo dalle passioni di lui trarre il profitto migliore.
CiroIo credeva, continuò a dire Solone, di avere prevenuto, o sanato la maggior parte de nostri mali con queste leggi, ma linquietudine dun popolo avvezzo alla licenza, mi portò tutto o giorno nuove molestie. Alcuni biasimarono i miei provvedimenti, altri finsero di non intendere, gli uni volevano ampliarli, ristrignerli gli altri. Allora io compresi che le più sante leggi mancano di effetto, se manca una stabile esecutiva autorità. Venni pertanto a ritrovare Pisistrato, e cosi gli parlai: Voi conoscete tutti i tentativi che furono da me usati per sanare i mali dello stato, ma inutili diventano i miei rimedi, se manca il medico per applicarli. Questo popolo è così contrario a qualsivoglia giogo, chegli teme limpero stesso della ragione, detesta lautorità delle leggi, e vuole ognuno riformarle a sua voglia. Io penso di allontanarmi per il corso di dieci anni dalla mia patria, e fuggire in tal modo il pericolo a cui tutto giorno mi veggo esposto di guastare la purezza delle mie leggi colla necessità di moltiplicarle. Nel tempo della mia lontananza voi tutto tentate, perché vi si adattino gli Ateniesi, né permettete che vi sia fatto alcun cambiamento. Io ricusai la dignità regale, perché un saggio legislatore deve operare senza oggetto alcuno dinteresse, ma voi, o Pisistrato, regnar potete; le vostre militari virtù vi rendono degno del comando e il nostro umano carattere vi terrà lontano dallabusarne. Fate che gli Ateniesi sieno sottomessi alle leggi, senza renderli schiavi; reprimete la loro licenza, senza privarli della libertà; e guardandovi dal prendere il nome di re, contentatevi con quello di Arconte di averne il potere. Presa tale risoluzione parto di Atene, e vado viaggiando in Egitto e in Asia. Quantunque gli Ateniesi detestassero il sovrano potere, Pisistrato nel tempo della mia lontananza montò sul trono; la sua sagacità e il suo valore ve lo innalzarono; il suo dolce carattere, e la sua moderazione ve lo mantengono. Egli si distingue da suoi concittadini nel prestare principalmente una esatta ubbidienza alle leggi e nel condurre una vita semplice e senza fasto. Gli Ateniesi in oltre lo rispettano come un discendente di Cecrope, e anche perché egli non ripigliò lautorità de suoi antenati che pel vantaggio della patria. Io vivo in questa solitudine senza prender parte negli affari dello Stato, a me basta il presiedere allAreopago, e lo spiegare il senso delle mie leggi, ove nasca sopra di esse qualche quistione. Il principe di Persia comprese chiaramente da ciò che disse Solone, che i disordini di un popolare governo, e il potere dispotico in mano della moltitudine sono sopra ogni altra autorità insopportabili.
CiroIstruito in tal modo delle leggi di Solone e del governo di Atene, si applicò quindi a voler conoscere le forze militari di quella nazione, le quali consistevano specialmente nelle armate marittime. Pisistrato per tanto lo condusse a Falera città marittima, posta alle foci dellIlisso, ove le navi Ateniesi solevano ricoverarsi; poiché non vi era per anco il famoso porto Pireo, che fu in appresso da Temistocle fabbricato. Accompagnati da Araspe e da molti Ateniesi, discesero per il fiume in un naviglio a tale oggetto costruito; e mentre una musica molto grata allorecchio, regolava il movimento de remiganti, il re di Atene pregato dal principe di Persia di dargli una più esatta notizia delle passate sue azioni e delle varie rivoluzioni che avvennero sotto il suo regno, così favellò:
CiroVi è noto, dissegli, che due fazioni, delle quali Licurgo e Megacle erano i capi, laceravano lo Stato, allora quando volli montare sul trono. Solone pose fine colle sagge sue leggi alle nostre discordie, e partì di là a poco per lAsia. Nel tempo della sua lontananza io procurai di cattivarmi la benevolenza del popolo, e avendo ottenuto con arte e con sagacità che fossero accordate guardie alla mia persona, mi resi con queste padrone della fortezza, e fui proclamato re. Per conciliarmi sempre più laffetto popolare, non curando lalleanza di alcun principe della Grecia, presi in moglie Fia figliuola di un cieco Ateniese della tribù di Peane. Lamore fu daccordo colla politica in questo matrimonio; poiché oltre una rara bellezza, possedeva Fia tutte le qualità che sono degne del trono, e tutte le virtù che distinguono unanima grande. Nella prima mia gioventù io laveva amata, ma lambizione col tempo da questa passion mi distrasse.
CiroDopo alcuni anni di un governo pacifico gli Ateniesi diedero nuove prove della loro naturale incostanza. Licurgo, sotto pretesto chio consumassi il pubblico erario per mantenere inutili armate, suscitò contro di me il popolo e la nobiltà, e, disseminando con arte, che nellaccrescere le forze navali io non aveva altro oggetto che di farmi signore della Grecia, e di togliere ad Atene la sua libertà, tramò una congiura contro della mia vita, mettendo a parte de suoi disegni Megacle, che, detestando sì fatto tradimento, me ne avverti. Usai molta cautela per non cadere vittima della gelosia di Licurgo; ma non mancarono mezzi al traditore per sollevare il popolo, il cui furore si avanzò a segno di appiccare il fuoco di notte tempo al mio stesso palazzo. A vista di spettacolo così orrendo, io corro alle stanze di Fia; ma le avevano già incenerite le fiamme, ed avendo appena io stesso tempo bastante per fuggire con Ippia mio figliuolo dallincendio, col favor della notte parto da Atene, e mi salvo nellisola di Salamina, ove per due anni vissi nascosto. Quantunque fosse grande la mia ambizione, la morte della mia sposa, chio credeva senza dubbio fra le fiamme perita, mi afflisse più che non la perdita della corona.
CiroLodio che Megacle covava contro Licurgo, nel tempo del mio esilio vie più si riaccese, e la città fu posta nellultima confusione. Io feci sapere a Megacle, qual fosse il mio destino, e il luogo del mio ritiro; ed egli, offerendomi in moglie la sua figliuola, mi propose di ritornare in Atene. Per impegnare maggiormente gli Ateniesi a favorire i nostri disegni, ebbimo ricorso alla religione, e i sacerdoti di Minerva, furono da noi co doni corrotti. Io parto da Salamina, e Megacle accompagnato da molti senatori e seguito da una folla di popolo mi raggiugne, e. si unisce meco nel tempio alcune leghe distante da Atene. Fatto ivi solenne sagrifizio, ed esaminate le viscere della vittima, avendo il gran sacerdote a nome della Dea dichiarato, che la città non sarebbe felice, se prima non fossi rimesso sul trono, solennemente io fui coronato. Per meglio imporre alla moltitudine, Megacle scelse fra le giovani sacerdotesse quella che più delle altre aveva il portamento maestoso, ed armatala come la figlia di Giove, collEgide spaventevole sul petto, con una lancia lucente in mano e colla faccia velata sedendo al mio fianco, sopra un carro trionfale fummo condotti alla città, preceduti dal suono delle trombe e dagli araldi, che ad alta voce gridavano: Ateniesi, accogliete Pisistrato, che Minerva vi riconduce col mezzo della sua sacerdotessa, degnandosi di onorarlo sopra qualunque mortale. Le porte della città immantinente si aprirono, e subito ci siamo avviati alla fortezza, ove celebrar si dovevano i miei sponsali. La sacerdotessa discesa dal carro mi prende per mano, e mi guida in un remoto appartamento, del palazzo. Appena siamo soli, ella si leva il velo, e Fia ravviso. Giudicate de miei trasporti, poiché vidi paghi nel giorno stesso, e la mia ambizione e il mio amore. Ella mi narrò brevemente in qual modo si era dalle fiamme salvata, e come si era ritirata nel tempio di Minerva dopo la fama sparsa della mia morte.
CiroMegacle vedendo attraversati dal ritorno della regina i suoi disegni, e sospettando chio lo avessi unitamente a Fia con vane lusinghe ingannato, pensò di balzarmi unaltra volta dal trono. Perciò fece correre in Atene una voce, chio aveva sedotto il pontefice, e che per ingannare il popolo mi era della religione abusato; formatasi quindi contro di me una nuova congiura, fui nella rocca assediato. Fia vedendo lestreme miserie alle quali io era ridotto, e temendo che potessi cader vittima del furore di un popolo superstizioso e irritato, si determinò di abbandonarmi, e di sacrificare alla patria la propria felicità. Un esempio di tale eroismo mi riempie lanimo di meraviglia, mi oppresse di dolore, e accrebbe a mille doppj la mia tenerezza. Megacle intanto, intesa la fuga di Fia, mi offre la pace a condizione chio abbia a ripudiar la regina, e prendere la di lui figlia in isposa; io però volli più tosto perdere il trono, che mancare al mio dovere e al mio amore. Lassedio si rinnovò con più furore di prima; e dopo una lunga resistenza, costretto a cedere finalmente allavversa sorte, abbandonai lAttica,, e mi salvai nellEubea.
CiroAndai lungamente vagando per quelle contrade, finche scoperto e perseguitato da Megacle, fui costretto a ritirarmi nellisola di Nasso. Entrato un giorno nel tempio di Minerva, onde porgere i miei omaggi alla protettrice di Atene, nel finire la mia preghiera scopro unurna sopra laltare, e vi leggo, avvicinandomi, questa inscrizione: «Qui riposano le ceneri di Fia, che si sacrificò per amore verso Pisistrato e verso la patria». A tale dolente spettacolo si rinnovò il mio dolore, né potendo staccarmi da quel luogo funesto, andava soventemente nel tempio a piagnere le mie sventure, non avendo altro conforto in quella solitudine, in cui soffersi la fame, la sete, le ingiurie delle stagioni e ogni miseria. Mentrera un giorno abbandonato ai più tristi pensieri, non so se visione fosse, o sogno divino, mi parve che il tempio crollasse, e credei fra laperta volta di quello di vedere Minerva stessa nellaria, quale uscì un tempo dal capo di Giove, e di udirla pronunciare in minaccevole tono queste parole: «Così vengono dagli Dei puniti coloro, i quali si abusano della religione per farla servire a loro ambiziosi disegni». A tali detti un sacro orrore mi prende, la presenza della Dea mi confonde, e la serie tutta de miei delitti mi si affaccia alla mente. Resto per molto tempo immobile e fuori de sensi; e ritornato quindi in me stesso, trovo in quel punto cambiato il mio cuore, riconosco la vera origine delle mie sventure, rinuncio a una falsa politica, che mette in opera lartificio, linganno e la vile simulazione, e mi propongo di calcare per lavvenire un nobile e dritto sentiero, e di rendere possibilmente felici gli Ateniesi, se i Numi meco placati mi avessero concesso di risalire sul trono. Essi si placarono di fatto, io fui liberato dallesilio. Ippia mio figlio mi procurò il soccorso di molte città della Grecia; io passai nellAttica ad unirmi con lui; ed avendo colle forze de collegati presa Maratona, mi avanzai verso Atene. Gli Ateniesi uscirono dalla città per combattermi, ma fatti certi col mezzo di alquanti giovanetti spediti a cavallo, che il mio pensiero era di ristabilire le leggi di Solone, non mai quello di far violenza alla lor libertà; ed avendo questa mia moderata protesta allontanato dal loro animo qualunque timore, fui accolto con acclamazioni di gioia, e rimontai per la terza volta sul trono. Il mio regno fu da quel giorno sempre tranquillo, ma essendo avvertito che Megacle abbia chiesto una flotta a Corinti, presso i quali si è ricovrato, io mi tengo sempre sulle armi per oppormi allinvasione con cui mi minaccia.
CiroMentre Pisistrato tratteneva Ciro con questi racconti, giunsero al porto di Falera. Era questo porto di una figura semicircolare, attraversato da grosse catene, che servivano di barriera a navigli, e difesa da molte torri situate di distanza in distanza. Smontati i due principi unitamente ad Araspe andarono al tempio di Venere, fabbricato sulla sommità del monte Collio, e di là scoprirono un armata navale, che gonfie vele si avanzava verso Falera. Poiché Pisistrato conobbe dallinsegna essere quella la flotta de Corinti, discese al porto, ed avendo comandato a suoi di salpare, uscì ad incontrare il nemico. Le due flotte si avvicinano, e mentre si dispongono in ordine di battaglia, il vento cangia improvvisamente in vantaggio degli Ateniesi. Un infinito numero di alberi formava da una parte tre linee di una immensa lunghezza, ed una triplice armata di navi Ateniesi, altrettanti dallaltra ne presentava. La milizia vestita di armi pesanti occupava il bordo; i frombolieri, e gli arcieri erano parte sulla prora, e parte sulla poppa schierati. La tromba guerriera dà il segno intanto di cominciare la pugna. Le galee da principio si ritirano, poscia si avanzano, e, le une contro le altre vanno impetuosamente ad urtarsi; e quindi co loro rostri ferrati, queste la poppa, quelle la prora, altre i due fianchi investendo, si traforano e si fracassano; mentre i legni assaliti tentano di rompere co loro remi limpeto degli assalitori. Così le due flotte luna collaltra confuse vengono alle mani, e corpo a corpo combattono; e intanto che gli Ateniesi dalluno allaltro bordo si lanciano, i Corinti gettano de ponti per passare su legni nemici.
CiroCiro da per tutto teneva dietro a Pisistrato, e non avendo esperienza alcuna in questa sorta di combattimento, suppliva col suo coraggio. Trasportato dal suo ardore marziale, volendo lanciarsi, in uno dei legni nemici, cadde in mare. Molte saette gli vengono nel punto stesso scoccate contro dallinimico, ma egli immergendosi nellacqua, si salva a nuoto sul bordo di un naviglio Ateniese, che Pisistrato gli avea mandato in soccorso. Vergognandosi della sua poca destrezza, deciso di morire o di riparare il suo fallo, comanda ai remiganti di accostarsi alla nave su cui era Megacle, lo investe, e con uno strale infocato lo incendia. Il ribelle Ateniese tenta indarno uno scampo, e tra le fiamme perisce. Il coraggio di Ciro servì di esempio, e di sprone a Pisistrato e a suoi capitani. Il vento rinforza, e soffia impetuosamente; le fiamme sono confuse co flutti; i Corinti cercano di salvarsi fra le onde; e si vede il mare in un istante coperto di uomini che nuotano fra i timoni e fra i remi; né questo tristo spettacolo cessò fino a tanto che la flotta de Corinti non fu interamente parte dispersa dal vento e parte dalle fiamme distrutta. Ciro dopo il combattimento pose ogni sua cura per salvare la vita a coloro cherano sul punto di perderla; e tornato poscia nel porto, si trattenne a Falera alcuni giorni per esaminare la struttura delle navi e per imparare i nomi e luso di cadauna di quelle parti che servono alla loro costruzione.
CiroPoiché Pisistrato ebbe dato gli ordini necessarj per racconciare la flotta, montato sopra di un carro, ritornò con Ciro in Atene per la via che lungo il margine dal fiume Ilisso conduceva alla città. Egli parlò nel viaggio al principe di Persia delle forze navali degli Ateniesi e del piano da lui immaginato per accrescerle; de profitti che potrebbero cavarsi per la difesa della Grecia contro le straniere invasioni; e finalmente dellutilità del commercio col mezzo delle flotte. Gli Ateniesi, dissegli, hanno rivolto i loro pensieri a farsi ricchi più tosto che grandi; e da ciò ebbe origine il lusso, la licenza e le civili discordie che regnano fra di noi. La brama di farsi doviziosi è il solo legame che uniti li tiene, pronti a rinunziare allamor della patria, qualunque volta il ben generale ai loro particolari interessi si opponga. Io procurai di rimediare a questi mali col mantenere i nostri navigli per uso del commercio in tempo di pace, e col farli servire in tempo di guerra alla difesa della patria.
CiroEssendo Ciro ritornato in Atene, fu da Pisistrato e da Solone condotto a teatrali divertimenti. In que tempi non si sapeva ancora che cosa fossero i teatri magnifici, le pompose decorazioni, né gli esatti precetti che furono da poi prescritti. La tragedia non era giunta a quella perfezione, a cui fu portata da Sofocle; ma riuniva tutte quelle viste politiche, per le quali era stata istituita. I poeti Greci dipingevano per ordinario ne loro teatrali componimenti la tirannia dei re per mantenere più fermo nellanimo degli Ateniesi lodio che incitavano alla monarchia. Pisistrato volle che fosse rappresentata la liberazione di Andromeda; e il poeta seppe spargere nella sua tragedia molte lodi con tale industria, che non solo a Perseo, ma a Ciro altresì discendente di questo eroe potevano convenire. Terminato questo spettacolo, Solone condusse il principe di Persia nel suo ritiro sul poggio di Marte, ove stava preparato un banchetto più frugale sì, ma non meno piacevole di quello, che nel palazzo di Pisistrato eragli stato prima imbandito; ed avendo Ciro richiesto nel tempo del pranzo al saggio vecchio di spiegargli il politico fine e le principali parti della tragedia che non gli erano per anco note, Solone, che oltre di essere filosofo e legislatore era poeta, così favellò:
CiroIl teatro è una viva pittura delle virtù e delle passioni delluomo; e lo spirito ingannato dallimitazione crede di avere presenti quegli oggetti, i quali sono soltanto rappresentati. Voi leggeste altre volte il nostro poeta Omero; sappiate dunque che una drammatica composizione altro non è, che il compendio di un epico poema. Questo è unazione raccontata quella unazione rappresentata; luno riferisce il successivo trionfo della virtù sopra il vizio e sopra la sorte, mette laltro dinanzi agli occhi le impensate sventure prodotte dalle passioni; e se può luno essere di maravigliosi e soprannaturali avvenimenti riempito, perché tratta delleroiche azioni che dagli Dei soltanto sono inspirate, non deve nellaltro andare giammai disgiunto il meraviglioso dalla natura, onde si possano vedere i naturali effetti delle umane passioni. Col rappresentare gli effetti del vizio e della virtù, luomo è naturalmente condotto a ravvisare se stesso e mentre lo spirito ne prende diletto, il cuore ne è mosso. Perché il poeta possa arrivare al sublime conviene che sia filosofo. I concetti retorici, gli ornamenti della eloquenza e le descrizioni più belle, porgono difetto alla immaginazione, ma non contentano il cuore, né perfezionano lo spirito: i veri principj, i nobili sentimenti, e i diversi caratteri sparsi da per tutto sono i soli che possano farci conoscere la verità, la virtù e la natura. Luomo devessere rappresentato quale egli è in natura, e quale compare ne suoi cambiamenti, a fine di presentare un quadro che possa somigliare alloriginale, in cui avvi sempre un contrasto di perfezione e di difetti. Conviene però uniformarsi sopra tutto alla debolezza delluomo. Una lunga morale annoia, un lungo ragionamento raffredda; noi dobbiamo perciò ridurre in azione le massime, ristrignere in poche parole le grandi idee, e fare in modo che le qualità di un eroe, piuttosto che i suoi ragionamenti, servano distruzione.
CiroQuesti sono i sublimi precetti che devono porsi in uso, perché il piacere serva di ammaestramento. Preveggo che si potranno perfezionare un giorno tali precetti; finora mi sono contentato di rendere il teatro una scuola di filosofia utile alla educazione della gioventù Ateniese. Il soli trattenimenti piacevoli possono fissare lapplicazione de giovani negli anni focosi e vivaci; e stando questa età sempre in guardia contro i precetti, conviene sotto piacevoli vesti nasconderli, perché possano esser gustati.
CiroCiro ammirò il politico e morale fine del teatro, e comprese nel tempo stesso che i principali precetti della tragedia non devono essere arbitrari, ma tratti dalla natura. Ora comprendo, dissegli a Solone, come a torto gli Egizj abbiano in disprezzo i Greci; e più degli altri gli Ateniesi. Io trovo, che voi avete un discernimento più delicato delle altre nazioni, e che meglio di esse conoscete lumana natura, poiché sapete far servire ad ammaestramento il piacere. Gli altri popoli non sono mossi che dagli arditi voli dello spirito, e da violenti trasporti e dalle catastrofi sanguinose; e quindi avviene che tale mancanza di sensibilità non ci lascia distinguere, come voi fate, i vari gradi delle umane passioni, né conoscere per conseguenza que teneri e dolci piaceri che nascono da un sentimento squisito. Solone, mosso dal ragionamento di Ciro, non poté trattenersi dallabbracciarlo, e dal dirgli: Felice quella nazione che devessere governata da un principe che scorre la terra e i mari per portare nella sua patria tutti i tesori della sapienza ! Ciro si preparò di là a poco tempo a partire da Atene, e nel congedarsi da Pisistrato e da Solone, rinnovò loro le promesse medesime, che fatto aveva a Chilone ed a Leonida, di essere sempre fedele confederato della Grecia; e quindi simbarcò con Araspe nel porto di Falera sopra una nave di Rodi che veleggiava verso di Creta.
CiroLintenzione di Ciro nel passare in questa isola era di applicarsi non solo allo studio delle leggi di Minosse, ma eziandio di conoscere Pitagora, il quale prima di andare a Crotone si era colà trattenuto. Tutti i magi dellOriente, che questo saggio visitato aveva ne suoi viaggi, ne avevano parlalo a Ciro con molta stima. Egli era considerato come il filosofo più grande del suo secolo, e come quello che conoscesse più di ogni altro lantica religione di Orfeo. Le questioni chegli aveva avuto con Anassimandro, il naturalista, avevano fatto risuonare il suo nome per tutta la Grecia, e diviso il parere di tutti i dotti; ed Araspe chera stato dagli Ateniesi filosofi istruito di queste questioni, durante la navigazione ne diede conto a Ciro nel modo seguente.
CiroPitagora, dissegli, chè discendente dagli antichi re dellisola di Samo, amò la sapienza da suoi primi anni, e fino dallora diede saggi di un talento superiore alletà sua, e di un genio singolare per iscoprire la verità. Come in Samo non vi era alcun filosofo che potesse appagare lardente brama chegli aveva distruirsi, uscì alletà di diciotto anni dalla sua patria per cercare altrove ciò che in quella non ritrovava; e dopo di aver viaggiato per molti anni nellEgitto e nellAsia, ricco finalmente di tutte le scienze de Caldei, degli Egizj, dei Gimnosofisti e degli Ebrei se ne tornò a Samo. Il sublime suo talento corrispondeva allinfinita serie delle sue cognizioni, ma leccellenti qualità del suo cuore superavano e luno e le altre; né la vivace e feconda sua immaginazione era al suo giusto ragionare dimpedimento.
CiroAnassimandro era intanto passato nellisola di Samo da Mileto sua patria. Egli possedeva tutti i talenti che si possono acquistar collo studio; ma il suo spirito era più ingegnoso che profondo; le sue idee più superficiali che solide; ed era piena di sofismi la sua seduttrice eloquenza. il suo cuore era quello di un empio, ma dava esteriormente tutti i segni di un eccessiva superstizione; e considerando come verità divine tutte le favole de poeti, e stando attaccato al senso letterale delle loro allegorie, adottò per principi tutte le opinioni del volgo por iscreditare e rendere mostruosa la religione.
CiroPitagora si oppose apertamente a così dannosi principi, e cercò di purgare la religione dalle stravaganti opinioni che la disonoravano. Anassimandro aveva conosciuto Pitagora dalla sua infanzia, lo aveva istruito di tutti gli arcani della filosofia naturale, e con paterno affetto lo aveva amato; ma poiché il giovine Samio fu di ritorno alla patria, quel di Mileto ingelosito de di lui talenti determinò di perderlo, considerandolo come un ingrato che usurpava i suoi diritti, che offuscava la sua gloria, e chera per divenire loracolo della Grecia. A tale oggetto copertosi col denso velo della ipocrisia, accusò Pitagora di empietà, pose secretamente in opera tutte le arti che potessero irritare il popolo e intimorire Policrate, che allora in Samo regnava; e sindirizzò ai filosofi di tutte le sette, e a sacerdoti di tutte le divinità per persuaderli che il saggio di Samo, collinsegnare lunità di un solo Principio, distruggeva gli Dei della Grecia. Il re amava Pitagora e lo aveva in estimazione; nondimeno si lasciò sedurre dagli artifiziosi ragionamento di Anassimandro, e il saggio fu bandito dalla corte e costretto ad abbandonare la patria. Egli vive ora una vita solitaria nellisola di Creta, e là senza conversare cogli uomini e senza leggere alcun libro si è dedicato allo studio della sapienza. Avendo egli penetrato profondamente tutti i misteri della natura, e conosciuti que segni di una sapienza e di un potere infinito, de quali è tutto pieno luniverso, colle ali della contemplazione egli solleva il pensiero alla sovrana Verità, da cui senza il mezzo delle parole o de suoni riceve le idee. Tale ispirazione, mi fu detto, non ha somiglianza alcuna con quellentusiasmo che riscalda lo spirito ed agita il corpo. Questa a poco a poco calma il tumulto de sensi e dellimmaginazione, impone silenzio a qualunque inutile ragionamento, e porta allanimo una pace che rassomiglia al riposo de Numi stessi, i quali, nel mezzo di una continua azione, godono una perfetta tranquillità. Pitagora in questo stato sublime mette in pratica tutte le virtù umane e sociali, sempre però col fine di rispettare gli Dei, e dimitare la loro bontà e verità. Egli è modesto affabile, civile, sensibile, senza interesse nelle sue azioni, parla poco, e non manifesta i suoi talenti, che per ispirare lamore della virtù. La narrazione di quanto avvenne al filosofo di Samo, accrebbe in Ciro il desiderio di conoscerlo, e di sapere da lui le particolarità delle sue passate questioni. Il vento continuò a spirare propizio, e allisola di Creta approdarono in pochi giorni.