Andrew Ramsay
Dei Viaggi Di Ciro
Libro Settimo
CiroPoiché lantica Tiro fu distrutta da re di Babilonia, gli abitanti fabbricarono una nuova città in unisola vicina allantica, tredici stadi distante dal lido. Questisola stendevasi in forma semicircolare, ed abbracciava un golfo ove le navi potevano esser difese dal furore de venti. Molti viali di cedri abbellivano il porto, che aveva ad ogni sua estremità una fortezza piantata per sicurezza de legni, e della città. Un portico di dodici ordini di colonne formava nel mezzo del molo diverse logge, sotto il quale in alcune ore dei giorno i mercatanti di tutte le nazioni si radunavano per trafficare. Là si udiva il linguaggio di tutti i popoli, vi si vedevano i costumi e i vestiti di tutte le regioni. Tiro sembrava la metropoli di tutto il mondo. Il mare era coperto da un immenso numero di navi che partivano e approdavano di continuo, e nuovamente costruite si lanciavano allacqua. Una folla di popolo riempiva il porto; alcuni si occupavano a scaricare, altri a trasportare le merci, alcuni a riempirne i fondachi.
CiroCiro osservò lunga pezza con piacere tale spettacolo, e incamminandosi quindi verso una delle estremità del molo, incontrato un tale, che gli parve di riconoscere; minganno, gridò, o siete voi Amenofi, che abbandonò il suo solitario soggiorno per rientrare fra gli uomini in società ? Io son quel desso, rispose il saggio Egizio, che per ritirarmi alle falde del Libano ho abbandonato lArabia. Il principe di Persia sorpreso di un tal cangiamento, avendone richiesti la causa; Arobalo, soggiunse Amenofi, nè la cagione; quellArobalo, di cui vi parlai altre volte, che visse meco un tempo prigioniero in Menfi, e fu mio compagno nella schiavitù nelle miniere di Egitto, era figlio del re di Tiro, e non conosceva la reale sua nascita. Egli è montato poi sul trono de suoi antenati, ed Ecnibale è il suo vero nome. Io godo sotto il suo impero una perfetta tranquillità. Venite a vedere un principe degno della vostra benevolenza. Godo, soggiunse Ciro, che abbiate trovato lamico, sono impaziente di vederlo, e bramo di fargli conoscere io stesso tutto il piacere che provo nel suo felice destino.
CiroAmenofi guidò per tanto il principe di Persia alla reggia, e lo presentò ad Ecnibale. Le anime grandi si conoscono; né vi ha bisogno di tempo per formare unintima amicizia, allor quando una naturale uniformità di pensieri e di sentimenti ne ha preparato la via. Il re di Tiro fece molte ricerche a Ciro intorno al suo paese, ai suoi viaggi ed ai costumi delle differenti nazioni da lui vedute, e restò sorpreso da nobili suoi sentimenti e dal suo ragionare; come dallaltra parte il principe di Persia ammirò il sapere e le virtù di Ecnibale. Passati alquanti giorni a quella corte, Ciro si mostrò desideroso di udire da Amenofi le sventure del re di Tiro, e di sapere il mezzo, che gli servì di strada per montare sul trono.
CiroCondotti Ciro ed Araspe nel fondo di una rupe abbellita di lavorate conchiglie, e postisi a sedere sopra un letto di muschio al margine di una fonte, Amenofi cominciò in tal guisa il suo dire: Ecnibale era ancora bambino, quando cessò di vivere il suo genitore. Irobale, suo zio, avido dimpadronirsi del trono, determinò di disfarsi del reale fanciullo; ma Baal, a cui era stata affidata la educazione del principe, per sottrarlo alla crudeltà del tiranno, sparsa voce della sua morte, lo mandò in un soggiorno deserto a pieni del Libano, ove fu allevato ignaro dellesser suo, sotto il nome di Arobalo, e come figliuolo di Baal. Giunto che fu al quattordicesimo anno della sua età, Baal formò il disegno di rimetterlo sul trono; ma avendo lusurpatore scoperta la trama, lo fece chiudere in una ben custodita prigione, e i1 minacciò della morte più cruda, se non gli avesse dato nelle mani il regio garzone. Baal determinato di morire prima di tradir il suo dovere e il suo affetto, si tenne fermo nel suo silenzio, e il tiranno intanto instruito che Ecnibale ancora viveva, si sentì agitato da mille inquieti pensieri. Per saziar la sua rabbia, e per allontanare i suoi affannosi sospetti comandò che fossero trucidati tutti i figliuoli di Baal, ma uno schiavo fedele, avvisato del barbaro voler del tiranno, trovò mezzo di salvare Ecnibale che abbandonò la Fenicia. Baal fuggì intanto dalla prigione gittandosi da unalta torre nel mare, e guadagnato a nuoto il lido, si ritirò in Babilonia, ove si diede a conoscere a Nabuccodonosor, e per vendicarsi del macello fatto de suoi figliuoli, eccitò questo conquistatore a muover guerra ad Itobale, e ad intraprendere lassedio di Tiro. Dal re dI Babilonia, che conosceva il di lui valore, egli fu scelto per comandante generale di questa impresa. Itobale restò ucciso, e presa che fu la città, Nabuccodonosor per ricompensare la fedeltà e le fatiche di Baal, lo pose sul trono di Tiro; mi questo fedele vassallo non si lasciò abbagliare dallo splendore di una corona, e avuta contezza che Ecnibale erasi sottratto al furor del tiranno, pensò subito di spedire per tutta lAsia in cerca di lui, ma senza effetto, poiché in quel tempo appunto noi eravamo sepolti nelle miniere di Egitto.
CiroArobalo, dopo aver lungamente girato nellAfrica, perduto lo schiavo, chera sua guida, si arrolò nelle truppe di Aprio, determinato o di finire i suoi giorni, o di acquistarsi con qualche azion segnalata nome e potere. Io vi narrai altre volte la nostra prima conoscenza, la nostra scambievole amicizia, la nostra schiavitù comune, e la nostra separazione. Poiché mi ebbe lasciato, egli passò a Babilonia, e informato colà delle rivoluzioni di Tiro, e dellinnalzamento al trono di Baal, da lui creduto suo padre, abbandonò subito la corte di Nabuccodonosor, e giunto in pochi giorni nella Fenicia, fu presentato al re. Stava il buon vecchio, oppresso dagli anni, riposando sopra un ricco tappeto, quando Ecnibale gli si fece dinanzi. Il giubilo rinvigorì ad un punto le indebolite membra di Baal; si alzò in piedi, corse incontro ad Arobalo, richiamò alla memoria tutte le sue sembianze, lo riconobbe, e non potendo allora più trattenersi, gettosegli al collo, lo abbracciò, il bagnò delle sue lagrime, e quasi fuor di sé per la eccessiva sua gioia gridò: Sei tu dunque chio veggo, sei Ecnibale stesso, il figlio del mio re, quel giovanotto chio salvai dalle mani di un tiranno, linnocente cagione delle mie passate sventure, e il soggetto della presente mia gloria! Posso pure una volta mostrare la mia grata riconoscenza verso il mio re, che più non esiste, col ristabilire sul trono il suo figlio che qui mi è presente! Voi ricompensate, o Numi, in tal modo la mia fedeltà, ed io muoio contento. Ciò detto subito spedì ambasciatori alla corte di Babilonia per ottener da quel re lassenso di rinunciar la corona, e di riconoscere Ecnibale per suo legittimo sovrano. Per questa via il principe di Tiro montò sul trono de suoi maggiori, e Baal poco dopo morì.
CiroNon tardò Arobalo di farmi giugner la nuova della prospera sua sorte, e mi chiamò alla sua reggia. Mi rapisce il piacer di sentire la sua felicità, e di conoscere chegli ancora mi amava manifesto co più vivi sentimenti il mio giubilo al messaggero, dicendogli, che tutti i miei voti eran paghi, poiché era felice il mio amico; ma nel tempo stesso ricuso costantemente di partire dal mio ritiro. Egli manda nuovi messaggi, e sollecitato col loro mezzo ad andare a Tiro per soccorrerlo co miei consigli, e per divider con lui que travagli che porta seco il peso di una corona, rispondo, chegli era bastevolmente capace di adempiere i suoi doveri da per se stesso, e che le sue passate sventure gli sarebbero di utile ammaestramento per fuggir que pericoli, a quali lo esponevano, il regio nome e il sovrano potere. Ecnibale vedendo che non poteva in verun modo persuadermi, partitosi da Tiro col pretesto di andare a Babilonia per rendere omaggio al re Assirio, giunse alla mia solitudine. Poiché restammo lunga pezza teneramente abbracciati: Voi credeste senza dubbio, ei mi disse, chio mi fossi dimenticato di voi, che la nostra separazione nascesse dal raffreddamento della mia amicizia, e che lambizione avesse sedotto il mio cuore, ma vingannaste; quandio vi lasciai, mi era, lo confesso, divenuto insopportabile il mio ritiro, né in questo io vi trovava pace, ma gli Dei stessi certamente fecero nascere la mia inquietudine, e, senza chio lo sapessi, mi trassero a compiere la saggia lor volontà, resistendo alla quale, io non poteva trovare riposo. Così essi per ignote vie mi condussero al trono. Se la grandezza non ha cangiato in me il cuore, fatemi voi pure conoscere, che la lontananza non iscemò in voi lamicizia, prestandomi il vostro aiuto in mezzo alle fatiche e a pericoli ai quali lalto mio grado mi espone. Non mi forzate, risposi, ad abbandonare la mia solitudine, e lasciatemi godere di quella pace che mi accordarono i Numi. La grandezza risveglia le passioni, e sono le corti un mar burrascoso. Vi naufragai un tempo; la fortuna mi portò al lido; perché mi volete esporre di nuovo ad un eguale disastro? Comprendo, egli mi disse, i vostri timori. Vi amò Aprio un tempo e poi vi abbandonò; ma potete voi ad Aprio paragonarmi ? No, no, risposi; in voi, che educato lontano dal trono, e ignaro della vostra condizione provaste in tante guise lavversa sorte, non temo che la regale grandezza abbia forza di cambiare que sentimenti de quali mi favellate. I Numi vi guidarono al trono, e a voi spetta soddisfare ai doveri di un re, e sagrificarvi al pubblico bene; ma a me, che da niuna forza sono astretto a mettermi nuovamente fra i tumulti e le pene, non resta che il solo pensiero di morire in questo ritiro. Qui la sapienza sostiene il mio cuore, e qui la speranza di riunirmi ben presto al grande Osiride mi fa dimenticare le mie passate sventure.
CiroUn torrente di lagrime interruppe allora le nostre parole. Ecnibale finalmente dopo un lungo silenzio mi disse: Lo studio della sapienza ad altro dunque non servì, che a rendere Amenofi insensibile? Bene: se nulla volete accordare allamicizia, venite almeno a difendermi contro le debolezze dellumana natura. Io potrei forse un giorno dimenticarmi della mia passata infelicità, potrei forse farmi insensibile alle umane miserie: il potere sovrano potrebbe forse corrompermi il cuore; venite a difendermi dagli errori, a cui potrebbe essere esposto il mio grado; venite a confermarmi in quelle massime di virtù, che sapeste un giorno inspirarmi. Io sento sempre più, che un amico mi è necessario. Ecnibale mi commosse con questi detti, ed io condiscesi a seguirlo, a condizione però di non vivere in corte, di non avere alcun pubblico impiego, e di soggiornare in qualche luogo solitario poco distante dalla città. Così non feci che cambiar di ritiro per aver il contento di avvicinarmi allamico. Lasciata lArabia Felice andammo a Babilonia, e abbiamo veduto Nabuccodonosor; ma quanto, oh Dio, diverso da quello chegli era un giorno! Egli non è più quel conquistatore che regnò fra i trionfi, e che fece rimaner attonite le nazioni per lo splendore della sua gloria. Egli da qualche tempo ha perduta la ragione, e fuggendo la società degli uomini va errando come una bestia feroce fra le selve e fra i monti. Quale orrendo spettacolo, e qual terribile destino per un re sì grande! Giunti che fummo a Tiro, scelsi il mio soggiorno alle falde del Libano nel luogo stesso in cui Ecnibale aveva passato la prima sua età. Io qui vengo talvolta a vederlo; ed egli frequenta la mia solitudine, né vha cosa che possa scemare la nostra amicizia, perché la verità nè il solo legame.
CiroQuesto racconto accrebbe in Ciro di molto la stima che aveva per Ecnibale, e più di ogni altra stia qualità ammirò la di lui costanza nellamicizia. Per tutto il tempo che si trattenne in Tiro, fu trattato splendidamente, ed egli manifestò sovente al re la sua sorpresa al vedere la magnificenza che regnava in quella città. Ciò non vi deve destar maraviglia, disse il principe Tirio, poiché labbondanza presto si fa universale, e la magnificenza non è di alcun peso allo stato, quando le sagge leggi fanno fiorire il commercio. Ciro pregò allora il re di Tiro di spiegargli, come in così breve spazio di tempo avesse reso tanto florido il suo dominio.
CiroLa somma saviezza de re Ebrei, disse Ecnibale, da molti secoli addietro cinsegnò a qual grado di splendore e di magnificenza possa portarsi col commercio un piccolo stato. I loro legni approdarono fino alle isole più rimote per trasportare di là le dovizie, gli aromi e le preziose merci delloriente. Dopo la distruzione e la schiavitù degli ebrei, noi afferrammo tutti i rami del loro commercio. La situazione di Tiro è felice, e i suoi abitanti sono esperti nel navigare. Il traffico fu da principio libero a tutti, e gli stranieri erano considerati come nostri concittadini; ma sotto il regno dItobale cadde ogni cosa in rovina. In vece di tener aperti i nostri porti :secondo lantico costume, il tiranno chiuder gli fece per fini politici, e volle cambiare la fondamentale costituzione col render guerriera una nazione, che fino a quel giorno si era sempre sottratta dal prender parte nelle discordie de suoi confinanti. Quindi languì il commercio, si scemarono le nostre forze, e Itobale ci tirò addosso lo sdegno del re di Babilonia, che atterrò la nostra antica città, e ci fece suoi tributari: Baal appena innalzato al trono procurò di rimediare a questi mali, ed io non feci che calcare quelle orme che questo saggio principe mi segnò.
CiroEgli cominciò dallaprire i suoi porti ai forestieri, e dal restituire al commercio la libertà, e dichiarò che del suo nome non farebbe altro uso, che per sostenerne i diritti, e a farne osservare le leggi. Lautorità de sovrani è troppo tremenda, perché gli altri uomini possano in loro compagnia trafficare. Nelle antiche repubbliche il commercio veniva esercitato soltanto col cambio delle merci, ma si trovò non buono un tal metodo e a molti incomodi oggetto. Il prezzo delle provvisioni non è sempre lo stesso, né possono queste trasportarsi senza spesa, né dividersi senza impaccio, né lungamente conservarsi senza pericolo di guasto; quindi conveniva avere una comune misura pel prezzo delle merci, che non fosse soggetta alla corruzione, che si potesse portare senza spesa, e che per comodo de cittadini più poveri si potesse in piccole porzioni dividere. I metalli pajono i più propri a tal uso, e questa comune misura si chiama moneta. Le lunghe guerre avendo consumato il pubblico orario, mancava nella Fenicia il denaro per mettere il popolo al lavoro, languivano le arti, ed era abbandonata lagricoltura. Baal sollecitò i principali mercatanti a contare somme anticipate di denaro agli artisti. Quelli negoziano fra loro sulla base di un credito fiduciario, che non ebbe mal luogo fra gli operai e fra gli artisti. La moneta non solo una misura comune regolatrice del prezzo di molte merci, ma ella è altresì un sicuro pegno che ha in sé un valore reale, quasi eguale in tutte le nazioni. Baal volle che questo pegno restasse costantemente nelle mani del popolo, il quale ne abbisogna per difendersi contro la corruttela de ministri, contro la oppressione de ricchi, e contro labuso del potere sovrano. Per incoraggiare i Tiri al lavoro, Baal non solo lasciò che ciascuno fosse libero possessore dei proprio guadagno, ma assegnò inoltre larghi premi a quelli che si fossero distinti co loro talenti, o con qualche nuova scoperta. Fece costruire comodi edifizj per le manifatture, e vi destinò alloggio per quelli che nelle loro arti relativamente superassero gli altri; e perché non avessero a combattere co bisogni della vita, né venisse distratta da tale molesto pensiero la loro applicazione, assegnò a ciascuno tutte le cose di prima necessità, e con accordar nella capitale prerogative ed onori al loro stato corrispondenti, lusingò lambizione di tutti. Abolì finalmente le imposizioni eccessive, e vietò i monopoli, di modo che né i venditori né i compratosi furono oppressi. Resa in tal guisa al commercio la libertà, i miei sudditi introducono in copia in questa città ciò che vi ha di migliore nel mondo, e a un mediocre prezzo lo vendono. Tutte le merci mi pagano una piccola gabella dingresso; quanto meno io aggravo il commercio tanto più si accresce il mio erario, poiché colla minorazione delle imposizioni abbassandosi il valor delle merci ne viene per conseguenza che quanto meno esse costano, tanto più se ne diffonde lo spaccio, e questo spaccio moltiplicato fa sì, che le mie rendite superano di molto quelle somme, che dalle eccessive gabelle potessi ritrarre.
CiroComprendo, disse Ciro, che il commercio è per uno stato una sorgente dinfiniti vantaggi, e credo chegli sia il solo mezzo atto a generare labbondanza ne grandimperi, e a rimediare mali che derivano dalla guerra. Le numerose truppe consumano ben presto le ricchezze di un regno, se non si traggano col mezzo di un florido commercio dalle straniere nazioni i mezzi di mantenerle. Guardatevi, soggiunse allora Amenofi, di non cadere su questo punto in errore. Ne grandimperi non si ha da trascurare il commercio, ma devessere ne piccoli stati regolato con altri principi. La Fenicia traffica non solo per servire a propri bisogni; ma a quelli ancora delle altre nazioni, e come i suoi territori sono poco estesi, la sua forza perciò sta nel rendersi utile e necessaria ancora a tutti i vicini. I suoi mercatanti trasportano dalle isole più rimote le ricchezze della natura, e le spargono poi fra le altre nazioni, di maniera che non la propria sovrabbondanza, ma quella degli altri popoli é il fondamento del loro traffico. In una città, quale è Tiro, ove il commercio è il solo sostegno dello stato, ove, tutti i principali cittadini sono negozianti, i mercatanti sono padroni della repubblica: ma, ne grandi imperi, ove sono assolutamente necessarie le militari virtù e la subordinazione de grandi, conviene, che il commercio sia animato e protetto ma, non devessere generale. A tal fine è necessario instituire delle compagnie, accordar loro de privilegi, e mettere nelle loro mani il commercio generale della nazione. Queste possono formare degli stabilimenti nelle isole lontane, e mantenere unarmata navale per difendersi da corsari. I magistrati poi, i sacerdoti, le milizie e tutti quelli che senza mancare al proprio uffizio non possono nel commercio impiegarsi, metteranno a profitto il loro denaro in quelle pubbliche compagnie commercianti, le quali saranno le depositarie di un soldo, che unito darà allo stato un utile centuplicato. In un regno ubertoso, vasto, popolato e ricco di porti marittimi, quando il popolo sia industrioso, si possono cavare dal seno della terra degli immensi tesori, che per la negligenza e per la infingardia degli abitanti andrebbero perduti. Migliorando colle arti le produzioni della natura, la ricchezza nazionale si accresce, e portando nelle altre nazioni questi frutti della industria, si forma un commercio durevole in un grande impero; ma non si deve trasportare ne paesi forestieri che quanto si ha di superfluo nel proprio, né ricevere da quelli, che quanto si può con questo superfluo acquistare. Così uno stato non si aggraverà mai di debiti forestieri; così la bilancia dei commercio penderà sempre dalla sua parte; così ritrarrà dalle altre nazioni i mezzi per supplire ai dispendj della guerra; così finalmente, senza confondere la classe de gradi, e senza indebolire la virtù militare, coglierà dal commercio infiniti vantaggi. Una delle scienze più necessarie in un sovrano si è quella di conoscere il genio del suo popolo, i naturali prodotti del suo regno e un uso migliore che di essi può fare. Da questi ragionamenti di Ecnibale e di Amenofi, Ciro acquistò molte utili idee, e apprese tali principi di governo, che non aveva trovato fra le altre nazioni, e che gli furono di molto uso, allorché, dopo la presa di Sardi, volle che si battesse la moneta di oro, e cambiò in ispezie i tesori del re di Lidia.
CiroCiro accompagnò nel seguente giorno il re Tirio parecchi stadj fuori della sua capitale per trovarsi presente alle feste annuali, che in memoria della morte di Adone si celebravano. Fra Eliopoli e Bibli eravi un magnifico tempio sacro a Venere. Da una parte dellentrata stava la statua della Dea, che colla testa appoggiata sopra la mano sinistra, e col dolore espresso nel volto mostrava che gli cadesse il pianto dagli occhi, che teneva fissi sopra la statua del suo amante, situata allopposta parte. Creduto avresti che un torrente di sangue sgorgasse dal di lui cuore, e che al Tammuzo, le cui acque purpuree scorrevano impetuosamente verso del mare, desse tinta e colore. I fregi e gli architravi in basso rilievo scolpiti rappresentavano le tre metamorfosi della Dea, la storia delle sue infedeltà, e tutti gli effetti della costanza di Adone.
CiroLa fabbrica del tempio era di uno scelto marmo pario, e limmensa sua volta rappresentava quella del cielo. Vedevasi nel mezzo il carro del sole cinto da pianeti, e in maggiore distanza lo stellato empireo. Stava sopra laltare una statua della Dea, che teneva in mano il globo del mondo, ed erano scolpite le dodici costellazioni sul meraviglioso suo cinto. Lartefice aveva animato il marmo in tal guisa, che la statua esprimeva tre differenti affetti ne tre vari punti di vista da quali si contemplava. La statua osservata in distanza pareva una nobile e maestosa bellezza, che con un dolce sorriso, e con un tenero e modesto sguardo invitasse ognuno ad avvicinarvisi. Osservando più dappresso il suo volto dalla parte orientale, esprimeva la tranquilla e gioconda serenità di unanima, che conosce la bellezza del vero, e che possedendola nè interamente occupata; ma veduta la sua faccia dallaltra parte, ella mostrava di volgere altrove lo sguardo e di sprezzare coloro che ardivano accostarsi a lei con voglie impure e con empio cuore. Le sculture dellaltare rappresentavano, sotto la figura di Adone, Amore in atto di scender dal cielo. Il candore, linnocenza e la semplicità erano nel suo fanciullesco aspetto dipinti, le Virtù lo precedevano, lo seguivano le Muse e le Grazie gli svolazzavano intorno. Non aveva sugli occhi la benda, ma teneva in mano un accesa face per dinotare chegli illumina e infiamma nel tempo stesso.
CiroCiro entrato nel tempio trovò tutto il popolo vestito a lutto in una caverna, ove sopra un letto di fiori e di erbe odorose giaceva il simulacro di un giovanotto. Dopo nove interi giorni di digiuno, di preci e di pianto, cangiatasi di repente in giubilo la pubblica tristezza, e le dolenti strida in canti lietissimi, tutta lassemblea intonò questo inno sacro " Adone è tornato in vita, ne più il piagne Urania. Egli è risalito nel cielo, egli ritornerà sulla terra ben presto per discacciare per sempre i delitti e le pene".
Il principe di Persia restò sorpreso della maestosa solennità di questi riti, e non conoscendo della storia di Venere e di Adone, che quanto aveva appreso dalla mitologia de Greci, sospettando chessi lavessero, secondo loro costume, falsificata, pregò Amenofi di spiegargli il vero senso delle cerimonie Fenicie. Il saggio Egizio messosi a sedere con Ciro dirimpetto alla porta maggiore del tempio, donde veder potevansi le statue della Dea e del Nume con tutti i bassorilievi che rappresentavano i loro casi, cominciò a favellare così : Non è gran tempo che i Greci anno cominciato a conoscer le lettere, la poesia e le scienze. Il loro sapere ancora fanciullo, e mancante per non avere una conoscenza perfetta, difformò con favole assurde e con immagini materiali tutti i misteri dellantica religione. I combattimenti di Mitra, lassassinio di Osiride, la morte di Adone, lesilio di Apollo e le fatiche di Ercole ci rappresentano le verità stesse; ma le nazioni le hanno descritte sotto parabole differenti. Quello chio vi dirò è quanto conosciamo dagli annali di Tiro.
CiroPrima che gli elementi, i cieli e la terra fossero creati, un eterno e profondo silenzio regnava per tutte le eteree regioni, e larmonia delle stelle non aveva ancora avuto cominciamento. Il gran dio Belo abitava in un inaccessibile luminoso luogo colla dea Urania che incessantemente usciva dal suo capo, e col dio Adone chegli avea generato simile a se stesso. Belo invaghito ognor più della bellezza del figlio, bramò che vi potessero essere molte pitture, e molte viventi immagini di lui. Adone, animato dal potere di Belo, poiché ebbe uniti insieme alcuni raggi di luce, formò i soli, le stelle, e infiniti mondi invisibili agli occhi nostri. Egli mirò la sua madre, e vide repentinamente uscir fuori dallimmenso abisso un bel fiore, che in se racchiudeva lanima del mondo. Adone lo animò con un soffio; e che non puote lonnipossente soffio di un Nume? Il fiore gonfiossi, si dilatò, e si vide cambiato in una giovine Dea a cui, a somiglianza del nome materno, diede quello di Urania. Ebbro di amore e di gioia lavrebbe presentata a suo padre; ma ella non era ancora in istato di sostener lo splendore del di lui aspetto divino, né di respirare il puro aere dellempireo.
CiroAdone, collocata chebbe la giovine Dea in una stella nel centro delluniverso, da dove scoprir poteva il giro di tutti i corpi celesti e udir larmonia delle sfere, così a lei favellò: io vi amo, bellissima Urania, e vi riservo a una gloria più sublime di quella che ora gustate. Io destino di farvi mia sposa, di rendervi felice con una avventurosa progenie, che sarà abitatrice de cieli, e di condurvi finalmente con tutti i vostri figliuoli nel sublime luogo superiore agli astri, ove soggiorna mio padre. La sola legge che vimpongo si è, che non vi prenda in alcun tempo desio di conoscere più di quello che si conviene al vostro stato presente, poiché una curiosa e irragionevole brama vi renderebbe a un tempo stesso infedele e colpevole. Tale è limmutabile volere di Belo. Urania fu contenta di ottenere a così agevole patto la sua felicità. Ella amava Adone ancor più di tutta la gloria che le veniva promessa; e la presenza del suo amante la rendeva dimentica di tutti i doni di lui. Egli la mirò con diletto, ed ella, conservandosi vergine immortale, divenne madre di tutte le Divinità e popolò ad un tratto le stelle di Dee e di Numi, che non furono ad altra legge soggetti che al volere di Adone, che si amarono scambievolmente con tenerezza come figliuoli di uno stesso padre, e che aspirarono a rendersi degni colla loro virtù di vedere un giorno il dio Belo.
CiroUrania fu per lungo tempo fedele ad Adone. Ella il seguiva da per tutto, ed egli la guidò per glimmensi spazi, mostrandole glinfiniti mondi da lui creati, e parlandole sovente delle regioni superiori, e del contento chella proverebbe un giorno nel conoscere quello, di cui la natura non è che una debole immagine, nel confrontare loriginale colle copie, e nel comprendere le differenti lor connessioni. Tali trattenimenti svegliarono in lei la fatale curiosità, e cominciando ad annoiarsi della sua felicità, Urania non trovò più alcun diletto ne piaceri che possedeva. Non ardì però di farne parola ad Adone; ma egli penetrò le prime sue inclinazioni alla infedeltà, e pose in opra ogni mezzo per arrestarne i progressi. La Diva divenne pensierosa, mesta, diffidente, e finalmente proruppe in questi amari lamenti: Adone, crudele Adone! Perché darmi lidea di una felicità che mi rende infelice? Tu mi promettesti di guidarmi allempireo, di farmi conoscere il regno di tuo padre, e di rendermi partecipe della sua gloria; tu mi occultasti i tuoi disegni, o li hai consumati. Urania imprudente, rispose Adone, tu vuoi perderti a mio dispetto: non per anco preparata a poter riguardare il dio Belo, saresti incapace di sostenere lo splendore del suo aspetto. Egli vuoi esser amato come nè degno, prima di manifestarsi quale egli è. Il menomo desiderio, la più piccola inclinazione al suo volere contraria è una offesa fatale a suoi diritti.
CiroPrevalendo nella Dea una vana curiosità e una brama ambiziosa di sapere, non riguardò ella più Adone collo stesso piacere, né trovando più in lui gli stessi diletti, accolse le sue amorevolezze con freddezza e con indifferenza. Egli, dopo di aver tentato in vano unaltra volta di sanarla dalle sue brame indiscrete, fu finalmente costretto di abbandonarla. Gli dèi sono nellamor delicati, né possono tollerare che un cuore sia da altri affetti diviso. Adone ritornò alla sede paterna, e lasciò Urania affatto sola, sperando che il dolore della lontananza la renderebbe accorta del suo fallo. Non fu egli appena partito, che la Diva replicò i suoi lamenti, e con nuovi pensieri si amareggiò. Cominciò ella a dubitare, e sospettando che quanto aveale detto Adone di suo padre e delle regioni superiori non fosse che una chimera, dimenticatasi della sua origine e della sua condizione, per convincersi del proprio inganno, si precipitò dalleteree regioni nella sfera del sole, e trasse dietro a sé gli abitanti di sette altre stelle. Questi corpi luminosi perdettero il loro splendore, e divenuti pianeti si aggirarono intorno al sole. I Numi che li abitavano, divennero Semidei, ed Urania fu condannata a vivere nella luna. Ella non ebbe più che una luce prestata, fu rinchiusa in un corpo aereo e trasparente, chiamato da Greci il veicolo dellanima, né respirò come prima il puro etere chera stato la sua vita e il suo alimento, ma visse di ambrosia e di nettare co Semidei che avea tratti dietro di se nello stesso suo errore. Adone, sempre fedele e sempre amante, discese nella sfera del sole per trovarsi allamata Urania vicino. Egli prese il nome di Apollo, e tentò nuove vie per convincerla dellerror suo. Ella mostrandosi talvolta men aspra, si rese allattrazione del sole, e trovandosi vicina a suoi raggi apparve argentea; poscia cambiando sentimenti e pensieri andò lungi da lui vagando; quindi divenuta incostante e capricciosa, prese nuove forme a misura che si allontanò dal suo amante, o a lui si accostò; e finalmente cedendo alla sua ambizione, si fece adorare dagli abitanti de pianeti sotto il nome di Astarte, o sia di regina del cielo.
CiroNelle leggi immutabili del destino stava scritto che la Dea sofferir dovesse unaltra metamorfosi per punizione del suo nuovo delitto. Precipitò dunque dalla luna sulla terra, e fu chiamata col nome di Venere. Gli abitanti dei pianeti non seguirono tutti il suo esempio, ma soltanto un piccolo numero ne restò sedotto e questi Semidei fatti uomini, ma uomini dellaureo secolo, non divennero ad un tratto colpevoli di enormi delitti, e conservarono alcuna traccia della loro originale natura. La Diva cambiò cibo cambiando elemento, e in luogo di saziar collambrosia la fame, si nodrì di semplici frutta, né potendo estinguere la sua sete col nettare, la estinse collacqua de limpidi ruscelli e delle pure fonti. Ella non aveva per anco perduta la sua trasparenza e la sua agilità, e poteva a sua voglia salire nellaria, ma non innalzarsi alle superiori regioni. Adone abbandonò la sfera del sole, e vestita la figura di un giovanotto venne ad abitar con Venere su terra. Nol conobbe ella da prima, e sinnamorò di lui; ma avendo sentito la sua divina influenza, nebbe timore, e lo fuggì. Adone le tenne dietro, la chiamò ad alta voce, e finalmente la raggiunse; ma ella sinvolò un altra volta. Il Nume avrebbe potuto usare della sua forza onnipossente; ma gli Dei vogliono essere amati per elezione. Cercò per tanto di muovere il suo cuore co lamenti, colle lagrime, colle carezze, colle minacce; ma tutto fu vano, poiché ella più non gustava i puri diletti della virtù, ed avendo cambiato la sua vanità in un amor profano per il piacere, costrinse Adone per la terza volta a lasciarla.
CiroGli abitatori delle stelle vedendo queste replicate prove della ingratitudine di Urania, cominciarono a scuotere il giogo della ubbidienza. Stava per nascere una generale ribellione in tutte le celesti regioni, e la volontà di Belo era quasi delusa. Egli richiamato per tanto Adone sopra de cieli, in quella solitudine in cui aveva seco vissuto innanzi la creazione degli astri: io sono pentito, gli disse, di aver tratto fuori limprudente Urania dal suo fior virginale. Voi vedete, qual sia la sua ingratitudine e la sua ostinazione, malgrado tutti gli sforzi che fatti avete per metterla alla ragione. Larmonia universale è interrotta , la monarchia del cielo agitata, e gli spiriti celesti cominciano a disprezzare le mie leggi sovrane. Se io perdonassi agli abitanti della terra, la mia clemenza darebbe ardimento a una nuova ribellione, e lesempio delle loro colpe impunite porterebbe una pessima influenza in tutti gli abitatori degli astri che cominciano già a mormorare della mia bontà, e a considerarla come un effetto della mia indifferenza pei delitti. Io non posso in altro modo vendicar lonore delle mie leggi, né conservare glimmortali nel loro dovere, se non collannichilare la Dea infedele e tutti i suoi figliuoli ribelli. Queste tremende parole spezzarono la volta del cielo, e risuonando fin dentro agli abissi, atterrirono il regno del caos e delleterna notte. Belo alzando finalmente il suo scettro stava per sommergere di nuovo la terra, e i suoi abitanti nel primitivo lor nulla; quando Adone, gettatosi a piedi del padre, trattenne la vendicatrice sua destra con questi detti: Io amo Urania benché infedele; conosco con dolore le sue colpe e le sue follie, ma i di lei figliuoli son vostri, poiché sono miei. Puniteli, ma affatto non li distruggete. Essi vorrebbero godere una felice immortalità sulla terra, né più pensare vorrebbero di risalire nel cielo. Maledite il loro soggiorno, guastatene la bellezza, rendete soggetta la colpevole schiatta alle malattie e alla morte; ma sieno i vostri castighi rimedio al male. Tutte le Divinità della terra e de cieli, che conoscono le colpe di Urania, vedranno la sua infelicità, e la di lei punizione li rassoderà nel loro dovere. Belo parlò, e le colonne della terra repentinamente crollarono, i poli del cielo cambiarono di luogo, si fece pallido il sole, e ritirossi in una maggiore distanza; la luna e gli altri cinque pianeti cambiarono il loro corso, il tuono, i venti e le piogge confusero gli elementi, appassirono i fiori e lerba, inaridirono gli alberi, la terra ricusò di porgere i consueti doni, tralignò la natura, orrida e sterile divenne, mentrera feconda e ridente.
CiroVenere cadde spaventata, e restò lunga pezza svenuta. Allorché si riebbe, non vide intorno di sé che rovine, e si trovò nel mezzo di un orrido deserto sulle sponde del Tammuzo, il quale col suo querulo mormorio pareva che andasse pubblicando le colpe di Urania. Le sventure però non cambiarono il loro cuore, e cercando ella di rimediare le sue miserie con ideali piaceri, fece innalzar da per tutto templi in suo onore, introdusse sagrifizj impuri ed un culto profano, e si videro ben presto i suoi altari lordi del sangue degli animali innocenti. In luogo di nodrirsi di erbe odorose e di scelte frutta, colle carni delle vittime saziò la sua fame, e usando que cibi che stimolare o alimentare potessero la sua sensualità, al cieco istinto si abbandonò del piacere. Il suo sangue da quel punto singrossò, né scorse più per le sue vene colla stessa libertà e colla dolcezza di prima; il sottile veicolo dellanima fu inviluppato in un corpo materiale e terrestre; ed ella perduta la sua agilità e la sua trasparenza, non potendo più vibrarsi nellaria, divenne mortale. I suoi figli furono soggetti alla stessa sorte. Molti di loro spirarono su gli occhi suoi dintemperanza e di dissolutezza, ed altri, colla lusinga di sottrarsi alle leggi del fato, ponendo un monte sopra laltro tentarono di farsi scala per salire al cielo; ma atterrati ed oppressi dalle folgori celesti, si aprirono un abisso nel centro del caos, ove Plutone, loro capo, fondò il suo impero, e Venere sotto il nome di Proserpina vi fu adorata.
CiroLa Diva, divenuta frenetica, corse per le montagne e per le pianure, pianse lo stato de suoi figliuoli e de suoi adoratori, e bestemmiò contro di Belo. Udilla Adone, e lasciate le regioni celesti discese in terra. Venere, avendolo veduto in distanza, stava per lanciarsi nelle acque per torsi alla sua presenza; ma la trattenne Adone, e seco si assise. Ella, piena di vergogna e di confusione, abbassò il capo ma non udendo uscire dal suo labbro alcun rimprovero, alzò finalmente lo sguardo da terra senza osare però di fissarlo nel di lui volto. Quindi preso animo a poco a poco, losservò da vicino e lo vide pallido, sparuto, difformato, senza alcuna traccia della sua antica bellezza, e tutto di ferite coperto. Poiché stettero lungo tempo tacitamente guardandosi, Adone, vedendo chella non osava parlargli, così prese a dire. Ah Venere, volubile Venere! Tu piangi le tue miserie, e sei insensibile alla mia! A quale stato infelice mi hai tu ridotto! Giudica dalle mie pene, quale sia la tua colpa. Belo voleva con tutta la sua discendenza distruggerti, se io nol placava. Scesi in terra per dare una soddisfazione de tuoi falli alle leggi immutabili dellempireo, e per combattere tutti i mostri che furono generati dalle tue colpe. Ho ucciso il serpente Pitone, il leone Nemèo, lidra di Lerna, che sortirono dal tuo capo allorché divenisti infedele, il Centauro divoratore degli uomini, i Ciclopi che batterono le folgori, il cinghiale dellErimanto, che mi piagò colle sue zanne sanguinolenti, gli uccelli Stinfalidi che i frutti guastarono della terra, e il dragone che si era degli orti Esperidi impadronito.
CiroCacciai tutti questi mostri nellinferno, ove vado a incalzarli per dar compimento alle mie vittorie. Adone cadde, ciò detto, in una mortale agonia, e spargendo dal cuore un rivolo di sangue, fe che di esso le acque rosseggiassero del Tammuzo. Tutti i figli di Venere gli si affollarono intorno. Egli di tratto in tratto aprendo gli occhi sospirando replicava queste parole: Giudica dalle mie pene, quale sia la tua colpa, e dopo molte ore di questo stato penoso fra mille atroci dolori spirò. La sua anima scese nellinferno per liberare Teseo, Piritoo, tutti gli eroi vinti da Plutone, e tutti gli spiriti che in que tenebrosi soggiorni pativano.
CiroVenere pianse per nove interi giorni e nove notti continue il suo amante, e restando sconsolata presso il morto corpo non poté staccarsi da lui. Estenuata dal dolore cadde finalmente in un sonno profondo, da cui non si destò finché non la scosse il suono di una voce celeste. Alzato allora lo sguardo, vide Adone nellaria vestito della sua antica forma e della sua primiera bellezza, a cui facevan dintorno corona tutti gli eroi e tutti gli spiriti, che da regni delle tenebre il conduceva. Egli lanciò sopra di Venere un raggio celeste per rinvigorirla e per tranquillare il suo animo, e poi le disse: io ti seguitai, mia cara Urania, in tutti luoghi pe quali andasti vagando; discesi nella luna, sulla terra e fin nellinferno, e trovandoti volubile e infedele, soffersi quanto può un Nume soffrire. Non mi pento però delle mie pene, poiché non ti trovo più insensibile allamor mio. Ti lascio, Urania, ma non ti abbandonerà la mia sapienza, se ti manterrai fedele. Fin a tanto che tu non sia nella mia immagine trasformata più non mi vedrai, ma prima che questa felice metamorfosi in te succeda, infiniti mali ti attendono, né potrai rimontare al cielo che per quel sentiero medesimo per cui cadesti. Duopo è prima di tutto che ti spogli del tuo corpo terrestre col sopportare le infermità e la morte. Ti alzerai quindi alle regioni della luna, ove colla distruzione dei tuo corpo aereo andrai a una seconda morte soggetta. In cotal guisa il tuo puro spirito fatto libero, da tutto ciò che trattenerlo potesse, velerà alle stelle, ove riacquisterai la tua passata bellezza, che perderai di nuovo prima di essere nella mia immagine trasformata. Sofferte queste tre metamorfosi, espiata così la tua colpa, e messe in pratica sulla terra, nella luna e nelle stelle tutte le umane, leroiche e le divine virtù, salirai meco nel sublime luogo al di sopra de cieli, ove vedrai il Dio Belo, la Dea mia madre, la virtù, la verità e la giustizia, non quali si trovan quaggiù, ma come esistono in lui. Né ti prenda alcun timore, chio ti sarò sempre presente in tutti questi stati, e ti conforterò a sofferir le tue pene, se non cesserai dal chiamarmi in aiuto. Quelli fra tuoi figliuoli che timiteranno, risaliranno un giorno con te ne campi di Ecate, ma gli altri discenderanno nel tenebroso regno di Plutone, ove saranno tormentati fin che restino mondi delle lor colpe. Incatenai il tremendo Cerbero, che sarà da qui innanzi il vile strumento della mia giustizia, e nellinferno ho stabilito un tribunale, che punirà col solo fine di sterminare il vizio. I miei giudici non annichileranno la essenza dellanima, ma col purgarla dalle sregolate passioni, la renderanno alla vera esistenza; e poiché i tuoi figli saranno stati per nove volte immersi nelle acque purgarti dellinfocato Acheronte, del freddo Stige, del nero Cocito, e dellardente Flegetonte, bevendo finalmente le acque del fiume Lete dimenticheranno le pene e le passate lor colpe. Quando tutti gli uomini e glimmortali abitatori dellinferno, della terra e de pianeti, saranno per le loro espiazioni in istato di poter fissare nel mio genitore lo sguardo, ritornerò allora per togliere tutti i mali dalluniverso, per distrugger linferno, e per ristabilir larmonia in tutta la immensità dello spazio. Frattanto scegli fra tuoi figli quelli che sono disposti a seguirti, a te li unisci, e istituendo festivi onori in mio nome, che sieno da essi ogni anno celebrati con pompa, per rendere in tal modo eterna la memoria della tua infedeltà e del mio amore.
CiroCiro si rallegrò sommamente nel trovare, che tutte le nazioni erano daccordo sulla dottrina de tre stati del mondo, delle tre forme della Divinità e di un Dio mediatore, che co suoi combattimenti e colle sue pene deve purgare e distruggere il mal morale, per rendere alluniverso la innocenza e la pace.
CiroIl principe di Persia era ancora in Tiro, quando gli giunsero messi colla nuova che stava per morire Mandane. Egli si trovò costretto di sospendere la sua andata a Babilonia, e di abbandonare subito la Fenicia. Nel congedarsi dal re di Tiro, lo abbracciò teneramente, e gli disse: io non porto invidia, o Ecnibale, né alle vostre ricchezze né alla vostra grandezza: altro non desidero per esser perfettamente felice, che un amico simile ad Amenofi. Ciò detto si pose in viaggio con Araspe, e dopo di aver attraversata lArabia deserta, e una parte della Caldea, e passato il Tigri presso il luogo, ove collEufrate si confonde, entrò nella Susiana e in pochi giorni giunse alla capitale della Persia. Corse Ciro ansioso per vedere sua madre, ma trovandola ridotta aglistanti ultimi della vita, si abbandonò a un eccessivo dolore. Mandane commossa alla vista dei figlio: Ti conforta, gli disse per consolarlo, ti conforta, o Ciro; le anime non muoiono mai, né sono che per un dato tempo condannate ad animare i corpi mortali, onde espiare le colpe commesse nel primo loro stato. Il tempo della mia espiazione è compito, e io men vado alla sfera del fuoco, ove vedrò Perseo, Arbace, Dejoce, Fraorte, e tutti gli eroi da quali tu discendi, e dirò loro che sei determinato ad imitarli. Ivi troverò Cassandane, che ti ama ancora, perché le anime virtuose non cambiano per la morte i loro affetti. Noi saremo sempre con te, e discenderemo invisibili in una nube per servirti di genj protettori, per esserti di guida in mezzo a pericoli, per fare che le virtù ti accompagnino, e per tenerti lontano dagli errori e da vizj. Verrà giorno, in cui si dilaterà il tuo impero e gli oracoli si adempiranno. Figlio mio, mio caro figlio, sia sempre alla tua memoria presente, che nel conquistar le nazioni non devi aver altra mira che di stabilire fra loro limpero della ragione e della virtù. Ciò detto, si coperse di un mortale pallore, un sudor freddo si sparse per le sue membra, la morte le chiuse gli occhi, e la sua anima volò allempireo. Ella fu pianta per lungo tempo da tutta la Persia, e Cambise fece ergere un monumento magnifico alla sua memoria. La necessità, chebbe Ciro di applicarsi agli affari dello stato, fu il solo rimedio che rese a poco a poco il suo dolore meno sensibile.
CiroCambise, principe pacifico e pio, non era mai uscito dalla Persia, ove regnavano puri e innocenti, ma severi e feroci costumi. Egli sapeva scegliere ministri capaci di supplire a tutto quello che in lui mancava; ma per una soverchia diffidenza di se medesimo, a loro consigli talvolta troppo ciecamente si abbandonava. Saggio e giudizioso sovrano volle, che Ciro avesse parte nellamministrazione del governo, e fattoselo venire un giorno dinanzi, così gli disse: i tuoi viaggi hanno perfezionato, o figlio, le tue cognizioni; tu devi ora impiegarle a vantaggio della patria. Sei destinato a reggere non solo questo impero, ma a dare un giorno allAsia tutta la legge. Conviene che impari per tempo larte del regnare; io metto nelle tue mani la mia autorità, che eserciterai sotto di me. Non ti saranno inutili i lumi di Sorano figlio di un esperto ministro, che mi servi molti anni con fedeltà. Egli, quantunque sia in età giovanile, è indefesso, illuminato e capace di sostenere qualunque impiego.
CiroQuesto ministro aveva sentito la necessità di dover mostrarsi virtuoso sotto il regno di Cambise, anzi egli stesso credeva di esserlo in fatto; ma la sua virtù non era stata messa per anco alla prova, né sapeva a quali eccessi potesse condurlo la sua smisurata ambizione. Ciro, prese appena in mano le redini del governo, volle conoscere lo stato della Persia, le militari sue forze, il suo interno potere e lesterno suo credito. Sorano si avvide ben presto che sotto un principe dotato di tutte le qualità necessarie per reggere da se stesso un impero, egli stava per perdere una gran parte della sua autorità. Cercò pertanto di cattivarsi lanimo di Ciro, e per molto tempo esaminò il suo carattere, a fine di scoprirne le debolezze. Il giovine principe non era insensibile alla lode, ma amava di meritarla, gustava i piaceri senza esserne schiavo, e quantunque non fosse nemico di una pompa esteriore, sapeva privarsi di tutto, piuttosto che opprimere la nazione. In cotal guisa ladulazione, il fasto e il piacere non avevano sul di lui animo alcun potere. Sorano conoscendo che non vi era altro mezzo per conservare la sua autorità presso di Ciro, che quello di rendersegli necessario col suo sapere, cominciò a far mostra della sua capacità ne pubblici e ne privati consigli, diede a vedere che possedeva il secreto della più saggia politica, nel tempo stesso che conosceva profondamente gli affari in tutte le più minute lor parti, e preparò e dispose le materie con tantordine e con tale chiarezza, che poco restava da operare al sovrano. Qualunque altro principe si sarebbe creduto felice tolto alla necessità di applicarsi agli affari ma Ciro, che confidava ne ministri del padre senza abbandonarsi ciecamente a loro consigli, volle esaminar tutto cogli occhi propri. Quando Sorano si avvide che Giro voleva conoscere partitamente ogni cosa, per rendersi più necessario cercò di spargere sopra i più importanti la oscurità ma Ciro, scoperta chebbe la di lui astuzia, si condusse con tale destrezza, che ritrasse a poco a poco da lui quanto cercava con tanto artifizio nascondergli; e poiché si credette istruito abbastanza, fece comprendere a Sorano, che voleva esser egli stesso il primo ministro di suo padre, e in cotal guisa abbassò lautorità di questo favorito senza dargli alcun giusto argomento di querelarsi. Tuttavia se ne offese lambizioso Sorano, senza una mortale inquietudine non poté soffrire di veder scemata la sua autorità, e che si potesse far a meno di lui. Questa fu la prima origine del suo scontentamento, che avrebbe potuto portare fatalissime conseguenze alla Persia, se la virtù e la prudenza di Ciro non lavesse difesa.
CiroLa Persia era stata per molti secoli soggetta alla Media; ma dopo il matrimonio di Cambise con Mandane avevano i due sovrani stabilito fra loro, che il re di Persia non pagherebbe per lavvenire se non un piccolo annuo tributo alla Media in contrassegno di omaggio. Le due nazioni vissero da quel giorno in poi in unione perfetta, fino a tanto che la gelosia di Ciassare accese il fuoco della discordia. Questo principe, che di continuo richiamava con inquietudine alla sua mente gli oracoli che sopra le conquiste del giovane Ciro si pubblicavano, lo riguardava come il distruttore della sua grandezza, e già parevagli di vederlo in Ecbatana per balzarlo dal trono. Sollecitava per tanto Astiage ad ogni istante a prevenire queste predizioni fatali, collindebolire le forze della Persia, e col ridurla allantica sua dipendenza. Mandane però, mentre visse, seppe condurre con tanta destrezza la mente paterna, che impedì qualunque aperta rottura fra lui e Cambise; ma appena ella fu morta, che Ciassare stimolò di nuovo limperatore a muover guerra a Persiani.
CiroCambise, avvertito de progetti di Ciassare, spedì Idaspe alla corte di Ecbatana per far conoscere ad Astiage il pericolo a cui si esporrebbero entrambi collindebolire le loro forze in un tempo, in cui gli Assirj loro comuni nemici stavano meditando di stendere il loro impero per tutto lOriente. Idaspe colla sua sagacità seppe frapporre ostacolo a progetti di Ciassare, e Cambise, intanto acquistò tempo di prepararsi alla guerra. Il principe de Medi vedendo che i saggi consigli dIdaspe erano favorevolmente accolti dal padre, e che non vi era per allora mezzo di far la guerra, tentò altre vie per indebolire la forza Persiana; e poiché seppe i disgusti di Sorano, cercò di corromperlo colloffrirgli le prime dignità dellimpero. Sorano al solo pensarlo fremé da prima di tale offerta; ma ingannato poscia dal proprio sdegno, più non conobbe le segrete ragioni che lo facevano operare. Il suo cuore non si era per anco reso insensibile alla virtù; ma non taceva la sua ambizione; e 1 pensiero che Ciassare sarebbe un giorno il suo sovrano, e che Cambise non era, se non un re tributario, gli fece soffocare ogni rimorso. Sorano contrasse a poco a poco una stretta familiarità con Ciassare, e pose segretamente in opera ogni mezzo per far comparire odioso alla Persia il governo di Ciro.
CiroIl principe di Persia, avendo conosciuto la capacità e il genio guerriero di Araspe, lo avea sollevato a primi gradi militari, ma non voleva introdurlo nel senato, perché le leggi Persiane non permettevano a veruno straniero il sedere nel supremo consiglio. Il perfido Sorano, conoscendo che questo sarebbe un mezzo sicuro di risvegliare il sospetto ne grandi, e di suscitarli contro di Ciro, lo eccitò a violar questa legge. Voi abbisognate, gli disse, di avere nel vostro consiglio un uomo qua1 è Araspe; e quantunque la buona politica e, le vostre leggi proibiscano laffidare nel tempo stesso il comando delle armate e i segreti dello stato in mano di uno straniero; un sovrano non deve però esser mai lo schiavo de costumi e delle leggi e può far a meno di osservarle, quando con più sicure e più agevoli vie ne adempie la volontà. Gli uomini comunemente agiscono per interesse o per ambizione. Ricolmate Araspe di ricchezze e di onori; così la Persia diverrà la sua patria e non avrete a diffidare di lui. Ciro non ebbe alcun sospetto de perfidi disegni che nel suo favellare nascondeva Sorano; ma essendo severo amatore della giustizia, non poteva per alcun oggetto desistere dallosservarla. Io ho, rispose egli, tutta la fiducia in Araspe, e sono persuaso della sua capacità. Lo amo di cuore; ma quando anche lamicizia mancar mi facesse in suo favore alle leggi, egli mi ama troppo per indursi ad accettar mai alcuna dignità, che potesse suscitare la gelosia de Persiani, e dar loro occasione di credere, che io mi lasciassi, allorché si tratta degli affari di stato, dalla mia inclinazione e da una particolare amicizia sedurre.
CiroSorano avendo inutilmente tentato di condur Ciro per questo mezzo in errore, cercò di sorprenderlo per altra via, e di rompere la buona intelligenza che passava fra lui e Cambise. Fece pertanto considerare al giovine principe i difetti del re, la sua poca capacità e il bisogno in cui era di seguir altre massime diverse da quelle del padre. Ciro approfittò di questi avvertimenti per evitare gli scogli ne quali aveva urtato Cambise, ma non vennero meno in lui il rispetto, lobbedienza verso di un padre che amava teneramente, il cui consiglio e approvazione sempre cercava prima di operare; la cui sovrana autorità cercava sempre di sostenere. Crescevano quindi in Cambise per il suo Ciro la fiducia, la tenerezza, la estimazione.
CiroSorano disperato vedendo che gli tornava inutile ogni sua trama, sparse secretamente fra i grandi il sospetto, che il principe usurpar volesse i diritti del senato e distruggere il loro potere; e per dare maggior credito e forza a questo sospetto, pose ogni studio per introdurre nellanimo di Ciro i principi di un governo despotico. Gli Dei vi destinano, ei disse, a stendere un giorno il vostro impero per tutto loriente; perché possiate riuscirvi duopo è che avvezziate i Persiani a una cieca ubbidienza. Guadagnate i grandi colle dignità e co doni, metteteli alla necessità di cercare continuamente il vostro favore, impadronitevi del potere Sovrano; e lasciando al senato il solo privilegio di consigliarvi, minoratene i diritti. Un sovrano non deve abusare della propria autorità; ma non ha a dividerla co suoi sudditi. Un piccolo stato, ancor che sia governato da molti, può sussistere; ma i grandi imperi non si formano che col potere assoluto di un solo.
CiroTremò Ciro alludire sì fatto ragionamento; ma dissimulò da saggio il suo sdegno, e congedò Sorano, persuaso che le sue massime fossero da lui approvate. Come fu solo considerò profondamente tutte le cose passate, e richiamata alla sua mente la condotta di Amasi, cominciò a dubitare della fedeltà di Sorano. Quantunque non avesse ancora prove sicure della sua perfidia, gli parve però che un uomo ardito a segno di proporgli massime tanto fatali, fosse molto pericoloso, quandanche traditore non apparisse. Lo escluse per tanto a poco a poco dagli affari secreti dello stato, e cercò di allontanarselo senza mostrar un pubblico disprezzo per lui. Sorano si avvide ben presto di un tal cambiamento, e portò agli ultimi eccessi il suo sdegno. Egli non ebbe più dubbio, che Araspe dovesse occupare il suo posto, che Giro volesse rendersi assoluto signor della Persia. Il sospetto e lambizione lo accecarono così, chegli giudicò necessari e giusti i tradimenti più enormi. Fece pertanto conoscere a Ciassare lo stato in cui si trovava allora la Persia, le forze militari, che si andavano facendo di giorno in giorno maggiori, i bellici piani che si stavano preparando, e il pensiero che aveva Ciro di stendere il suo impero sopra tutto loriente per dar compimento a certi supposti oracoli, co quali teneva a bada la moltitudine. Ciassare a tali avvisi intimorì Astiage, e lo riempi dinquietudini e di sospetti. Idaspe ebbe ordine intanto di partire da Ecbatana, e limperatore minacciò a Cambise una guerra sanguinosa, se ricusava di pagargli lantico tributo, e se non ritornava la Persia a quella stessa suggezione, da cui col matrimonio di Mandane si era sottratta. Il rifiuto di Cambise fu il segnal della guerra, e le due nazioni si prepararono a sostenerla.
CiroIntanto Sorano, mentre cercava da una parte di corrompere i capi dellarmata, e di rallentare il loro ardire dicendo, che Astiage era legittimo loro sovrano, che le ambiziose viste di Ciro tendevano a rovinare la patria, e che egli non potrebbe resistere a Medi, i quali col numero lopprimerebbero; fomentava dallaltra ne senatori il sospetto, che Ciro non intraprendesse questa guerra contro il suo avo, che per indebolire la loro autorità, e per usurparsi un assoluto potere. Seppe occultar le sue trame con tale artifizio, chera quasi impossibile lo scoprirle; ed egli credendosi uno zelante difensore del pubblico bene, soffocava que rimorsi che lo assalivano di tratto in tratto. Ciro non tardò a sapere il bisbigliare del popolo. Larmata stava per ribellarsi, si metteva in dubbio se il senato fosse per accordare i necessari sussidi, e limperatore de Medi era per entrar nella Persia alla testa di sessantamila combattenti. Il giovine principe vide con estrema pena lorribile situazione a cui era ridotto suo padre, e la necessità di dover guerreggiare contro il suo avo.
CiroCambise conobbe il fiero contrasto che sofferiva Ciro combattuto dal dovere e dalla natura, e gli parlò in questi sensi: Ti è noto, o figlio, quanto feci per estinguere i primi semi delle nostre discordie. Il feci indarno; la guerra è inevitabile, e alla famiglia si deve preferire la patria. La tua saviezza mi fu finora nel consiglio di guida: è ormai tempo, che tu mi dia prove del tuo valore nel campo. Quandanche la età mia il permettesse di pormi alla testa delle nostre squadre, la mia presenza sarebbe qui necessaria per tenere popolo in suggezione. Va, o figlio, va a combattere per la patria, e mostrati il difensore della sua libertà, come fosti fin ora il conservatore delle sue leggi; seconda i decreti del cielo, e renditi degno di compire un giorno i suoi oracoli, cominciando dal render libera la Persia prima di stendere le tue conquiste. Le nazioni veggano gli effetti del tuo coraggio, e ammirino la tua modestia in mezzo a trionfi, onde non temano in avvenire le tue vittorie. Ciro animato dagli eroici sentimenti del padre, e assistito da consigli di Arpago e dIdaspe, due capitani di eguale conosciuta esperienza, mise in piedi un esercito di trentamila combattenti composto di uffiziali fedeli e di buoni soldati. Fatte tutte le necessarie disposizioni, e cominciati i sagrifizj e le altre religiose cerimonie, egli schierò le sue truppe in una vasta pianura vicina alla capitale; ivi adunati i grandi e il senato, a capi dellesercito così perorò:
CiroLa guerra è sempre ingiusta, qualunque volta ella non sia necessaria. Quella che oggidì intraprendiamo, è per difesa della nostra libertà; né vana ambizione, né desiderio di dominio ci spigne a prender le armi. I nostri nemici sono, nol nego, ammaestrati nella militar disciplina, e ci sono nel numero superiori; ma dal lusso e da una lunga pace indeboliti, non potranno far fronte ad uomini animati da quel nobile ardore, che fa sprezzare la morte, quando per la libertà si combatte. Il vostro austero modo di vivere vi ha alla fatica indurati, e nulla riesce impossibile a chi, capace di tutto intraprendere e di tutto soffrire. In quanto a me non voglio da voi distinguermi, che nelladditarvi il sentiero de pericoli e de travagli; e il bene e il male sarà da qui innanzi fra noi comune. Rivolto poscia a senatori il suo dire, in grave tuono terribile pronunciò questi sensi: Cambise non ignora i maneggi della corte di Ecbatana suscitati fra voi per seminare la diffidenza e il sospetto. Sa che voi esitate di accordare i sussidj; ma avendo preveduto la guerra, ha preso le necessarie misure, né abbisogna del vostro aiuto. Una sola battaglia deciderà del destin della Persia. Rammentate però che ora si tratta della libertà della patria. Questa libertà non è forse, più sicura nelle mani di mio padre, chè vostro sovrano legittimo, che in quelle dellimperatore de Medi, che tiene tributari e soggetti tutti i re confinanti? Se Cambise è vinto, i vostri privilegi sono annullati per sempre; e segli è vittorioso, vi saranno conservati, quando un giusto sovrano, che avete irritato colto vostre trame secrete, non sia messo da voi alla necessità di spogliarvene. Con questo discorso il principe intimorì gli uni, confermò gli altri nel proprio dovere, e riunì tutti nelloggetto di cooperare alla comune salvezza. Sorano si mostrò de più zelanti, e sollecitò per aver un posto nellarmata; ma Cambise, a cui Ciro aveva confidato i suoi giusti sospetti sopra questo ministro, non si lasciò ingannare dal simulato zelo di lui; e col pretesto di destinarlo alla difesa della capitale, lo ritenne presso di sé, dando secreti ordini che venissero spiati i di lui andamenti: Sorano in tal guisa restò senza avvedersene prigioniero.
CiroCiro, avuti avvisi che Astiage faceva avanzar le sue truppe per il deserto di Isazide ad oggetto di entrar in Persia per quella parte, il previene con meravigliosa celerità; e attraversate alpestri montagne arriva nelle pianure di Passagarde per sentieri che sarebbero stati impraticabili per qualunque altro esercito non avvezzo a disagi, o guidato da un duce meno attivo e meno vigilante. Ivi egli occupa i posti migliori, pone il suo campo vicino a una catena di monti che lo difendono da una parte, e lo fortifica dallaltra con una doppia trincea. Astiage non tardò a farsi vedere alla testa delle sue truppe, e nella stessa pianura sul margine di un lago piantò il suo campo. Li due eserciti per molti giorni restarono a fronte luno dellaltro. Ciro non potendo vedere senza un estremo dolore le conseguenze fatali di questa guerra, approfitta di tale intervallo per inviare al campo di Astiage il satrapo Artabazo, che tenne allimperatore il seguente discorso: Ciro vostro nipote detesta con orrore la guerra che è costretto di farvi. Nulla omise per prevenirla , nulla per terminarla ricuserà. Egli non è sordo alle voci della natura, ma non può sacrificar la libertà de Persiani perciò vorrebbe con un trattato onorevole conciliare lamor della patria colla tenerezza filiale, e quantunque sia preparato a combattere, non arrossisce di chieder la pace. Limperatore, incitato da Ciassare, perseverò nella sua prima determinazione, e Artabazo avendo infruttuosamente compiuta la sua legazione, ritornossene al campo.
CiroCiro ridotto alla necessità di combattere, sapendo quanto sia negli affari di guerra importante il consiglio di molti, la deliberazione di pochi, e una pronta esecuzione, unisce i capi dellesercito, e inteso il loro parere, prende le sue determinazioni, che a Idaspe e ad Arpago soltanto comunicò. Nel vegnente giorno fece sparger nel campo nemico una voce, chegli era determinato di ritirarsi, non osando con forze tanto inferiori di venir a battaglia. Prima di lasciare il campo ordina i consueti sagrifizj, e co capi dellesercito, che seguirono il suo esempio, fa le solite libazioni. Mitra conduttore e salvatore, fu il motto che diede a tutte le truppe, e montato poi a cavallo comandò a ciascuno di prendere il suo posto. Le corazze de soldati erano di lamine di ferro dipinte con diversi colori e simili alla scaglia de pesci; un bianco pennacchio ornava i loro cimieri di rame; aveano i turcassi pendenti al di sotto dei scudi tessuti di vinchi, e intrecciati di vermena; lunghi eran gli archi, corti i dardi, le frecce di canna, e sopra la diritta coscia pendeva la scimitarra. Il reale vessillo era unaquila di oro colle ali spiegate; insegna che da quel giorno in poi fu conservata da re Persiani.
CiroCol favor delle notte Ciro leva il suo campo e nelle pianure sinoltra di Passagarde. Astiage, credendo che fuggisse da lui, si affrettò dinseguirlo, e sul levar del sole il raggiunse. Ciro dispone subito in ordine di battaglia lesercito in modo, che i dardi e le frecce dellultime file colpir potessero il nemico, e tutte le parti sostenersi a vicenda e senza confusione soccorrersi. Da ciascun battaglione sceglie una compagnia de migliori soldati , e formata di questi, alluso de Greci, una triangolare falange, mette questo corpo di riserva dietro allesercito con ordine di non muover un passo senza suo espresso comando. La pianura era coperta di polvere, e di arena, e spirava un vento gagliardo dalla parte settentrionale. Ciro volge un poco lesercito, e si pianta con tale vantaggio, che la polvere era portata dal vento nella faccia de Medi, e favoriva il meditato suo stratagemma. Arpago aveva il comando del destro fianco, e Idaspe del sinistro; Araspe stava nel centro dellesercito, e Ciro accorrea da per tutto. Lesercito de Medi era composto di molti battaglioni quadrati, e i carri armati di falci taglienti attaccate agli assi stavano di fronte.
CiroCiro ordina ad Idaspo e ad Arpago di stendere a poco a poco i due fianchi a fine dinviluppare il nemico, e nel proferire il comando sente tuonar il cielo. Grande Oromaze noi ti seguiamo, egli esclama; e nel punto stesso intona linno della battaglia, a cui tutto lesercito, invocando il dio Mitra, rispose: Ciro, per ingannar Astiage, presenta in retta linea di fronte le schiere, ma facendo marciare con maggior lentezza il centro, e più velocemente i due fianchi, lesercito prese la forma di una mezza luna. I Medi passati a traverso le prime file del centro, penetrando fino alle ultime, cominciano già a gridare vittoria; ma Ciro si avanza col suo corpo di riserva, mentre Idaspe ed Arpago circondano il nemico alle parti, e si rinnova la pugna. La Persiana triangolare falange rompe i battaglioni de Medi, e rovescia i carri falcati. Il principe di Persia montato sopra un destriero focoso vola di fila in fila: la vivacità de suoi sguardi infonde il coraggio ne soldati, e la tranquillità del suo volto la sicurezza; ed egli nel bollor della pugna, attivo, placido e sempre a se stesso presente, anima gli uni colle parole, gli altri co cenni, e tiene tutti fermi al loro posto. 1 Medi circondati da ogni parte, si trovano attaccati di fronte, alle spalle e ne fianchi. I Persiani glincalzano e gli tagliano a pezzi: altro non si sento che lo strepito delle armi e i gemiti de moribondi; un torrente di sangue inonda la campagna; e la disperazione, il furore e la crudeltà portano da per tutto la strage e la morte. Il solo Ciro sente una generosa pietà, e fatti prigionieri Astiage e Ciassare, suona a raccolta, e mette fine alla strage.
CiroCiassare ebbro di sdegno, e trasportato da tutte quelle passioni, che invadono uno spirito orgoglioso nelle sue speranze deluso, non volle veder Ciro, e col pretesto di esser ferito, chiese e ottenne dal principe di Persia lassenso di ritornare in Ecbatana. Astiage, non come vinto, ma qual vincitore fu condotto con pompa nella capital della Persia e non essendo più stimolato da pessimi consigli del figlio, segnò la pace con cui fu la Persia dichiarata per sempre un libero regno. Questo fu il primo benefizio che Ciro fece alla patria. Lavventuroso fine della guerra, tanto contrario alle speranze di Sorano, fece aprire gli occhi a questo ministro. Veggendo sconcertata ogni trama, e la impossibilità di tener occulti più a luogo i suoi neri attentati, inorridì alla vista del precipizio in cui stava per cadere, e abbandonato alla disperazione si diede da per se stesso la morte. Giunto Ciro in cognizione di tutta la di lui perfidia, compianse la condizion infelice delluomo, che, cedendo alle sue passioni, si abbandona talvolta a maggiori delitti.
CiroPoiché fu segnata la pace, Astiage, ritornò subito ne suoi stati. Partito, chei fu, Ciro convocò il senato, i grandi e tutti i capi del popolo, e a nome di Cambise parlò loro così: Le armi di mio padre hanno liberato la Persia da qualunque dipendenza straniera. Egli con un esercito trionfatore che da suoi cenni dipende, potrebbe ora annullare i vostri privilegi e governarvi con un potere assoluto; ma egli aborrisce massime di tal natura. La forza signoreggia sotto limpero del solo Arimane, e i principi, che sono la immagine del grande Oromaze, devono imitare la sua condotta. La sua sovrana ragione è la norma della sua volontà. I prìncipi, per quanto giusti e per quanto saggi sieno, non lasciano di essere uomini, e sono per conseguenza soggetti alle passioni e allinganno; ma quandanche ne fossero salvi, non potendo né vedere, né saper tutto da per se soli, abbisognano di consiglieri fedeli, che porgano ad essi e lumi e soccorso. Su questo piano Cambise vuol governarvi, non ritenendo per se che quella porzione di autorità chè necessaria per fare il bene, e assoggettandosi volontario egli stesso a quelle leggi che gli saranno di freno al mal fare. Bandite, o senatori, ogni timore, allontanate qualunque sospetto e riconoscete il re vostro. Egli vi mantiene tutti i vostri diritti : prestategli voi quegli ajuti che possono concorrere a rendere la Persia felice. A tal detti si sparse per lassemblea un giubilo universale. Dicevano gli uni non è questi lo stesso dio Mitra disceso dallempireo per rinnovare il regno di Oromaze. Gli altri senza poter proferire parola struggevansi in lagrime. I vecchi lo riguardavano come loro figlio, i giovani come padre, e tutta la Persia pareva una stessa famiglia. Ciro in tal modo, senza valersi né di un basso artifizio, né di fina vile dissimulazione, mezzi egualmente indegni di unanima grande, si salvò da tutte le insidie che gli aveva tese Sorano, atterrò i progetti che Ciassare avea meditato, e rese a Persiani la libertà.
CiroAstiage morì poco tempo dopo il suo ritorno in Ecbatana, e lasciò a Ciassare limpero. Cambise prevedendo che linquieto spirito di questo sovrano porterebbe ben presto nuove molestie alla Persia, determinò di collegarsi cogli Assirj. Limperatore de Medi e il re di Babilonia erano da un secolo addietro i due potenti rivali delloriente e luno tendeva a signoreggiar tutta lAsia con la rovina dellaltro. Cambise, a cui era nota la capacità di suo figlio, propose a Ciro di andare in persona alla corte di Nabuccodonosor per adoperarsi presso di Amestri, moglie di quel sovrano e sorella di Mandane, che nel tempo della frenesia del re governava lo stato. Ciro, che per la malattia della madre non aveva potuto alcuni anni prima intraprendere questo viaggio, accolse con sommo piacere la occasione di andar in Babilonia, non solo per loggetto di rendersi utile alla patria, ma per poter altresì conversare cogli Ebrei, gli oracoli de quali, per quanto detto gli avea Zoroastro, contenevano le predizioni della sua futura grandezza; al che si aggiugneva la brama di conoscere da vicino la infelice situazione di quel re, di cui si era sparsa la fama per tutto loriente. Fornito per tanto il senato e il consiglio di soggetti fedeli e capaci di assistere utilmente Cambise, lasciò la Persia, e attraversata la Susiana, in pochi giorni giunse in Babilonia.