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Incisione tratta dall'edizione veneziana del 1822

 

Andrew Ramsay

Dei Viaggi Di Ciro
Libro Ottavo

 

CiroBabilonia, sede dell’impero Assiro, fu fondata da Semiramide; ma Nabuccodonosor la aveva di molto abbellita. Questo conquistatore, dopo di aver guerreggiato per molto tempo, trovandosi in una pace perfetta, si era interamente applicato a rendere la sua capitale una delle maraviglie del mondo. Babilonia stava nel mezzo di una vasta pianura, bagnata dall’Eufrate, e il terreno che la cingeva d’intorno, venendo irrigato dalle acque di molti canali, che si diramavano da questo fiume, era sì fertile, che portava tanto di rendite al re, quanto non ne somministrava la metà del suo impero. Le mura della città, costruite di larghi mattoni saldati col bitume, e resi dal tempo più duri del marmo, avevano cinquanta cubiti di larghezza e duecento di altezza, e formavano un perfetto quadrato di venti leghe di circuito. Cento e cinquanta torri, piantate in eguale distanza lungo queste inaccessibili mura, dominavano all’intorno tutta la campagna. Cento porte di bronzo, regolarmente disposte, davano l’ingresso a una immensa folla di popolo di ogni nazione; e cinquanta strade traversavano da un capo all’altro la città, le quali incrocicchiandosi l’una coll’altra si dividevano in più di seicento ampie vie fornite di superbi palazzi, di deliziosi giardini e di magnifiche piazze. L’Eufrate scorreva nel mezzo di Babilonia, e un ponte con maravigliosa arte fabbricato su questo fiume univa le due parti della città. Alle due estremità del ponte si ergevano due palazzi; il vecchio dalla parte orientale, il nuovo dall’occidentale. Accanto del primo vi era il tempio di Belo, dal cui centro sorgeva una piramide alta seicento piedi, e composta di otto torri piantate l’una sull’altra. Dalla sommità di questa piramide solevano i Babilonesi osservare il movimento degli astri, ch’era lo studio loro principale, per cui si resero celebri presso le altre nazioni. Il palazzo che stava all’altro termine del ponte aveva otto miglia di giro. I suoi pensili famosi giardini erano circondati da molte logge spaziose, e si alzavano a foggia di anfiteatro fino all’altezza della mura della città. Tutta questa massa veniva sostenuta da archi piantati sopra archi, le cui volte coperte di smisurate pietre, di canna col bitume impiastrata, di due ordini di mattoni, e di larghe lamine di piombo, erano fatte impenetrabili alla pioggia e alla umidità; e la terra messa al di sopra di questa fabbrica sorprendente, era a una tale profondità che gli alberi più grandi vi potevano mettere le loro radici. In questi giardini si trovavano lunghi viali, ameni boschetti, verdi poggi e ogni sorta di fiori. Là vi erano canali, fontane, conserve di acqua, acquidotti che servivano per innaffiare,
e per abbellire quell’ameno soggiorno, in cui tutte maravigliosamente si univano le bellezze della natura e dell’arte.
CiroL’autore, o, per meglio dire, il creatore di tanti prodigi, che fu eguale ad Ercole nel valore, e il più grande di tutti gli uomini pel suo genio, dopo varj portentosi avvenimenti cadde in una spezie di frenesia, per cui si figurava di essere in una bestia cambiato, e tutta ne avea la ferocia. Ciro, subito che fu in Babilonia, andò a visitar la regina. Questa principessa dopo sette anni della più profonda tristezza, cominciava a confortarsi per la promessa fattale dagli Ebrei, schiavi a quel tempo in Babilonia, che il re sarebbe guarito. I prodigi che aveva veduti operar da Daniello, avvaloravano la sua fiducia. Il principe di Persia, rispettando il dolore di Amestri, si trattenne dal parlarle della causa principale dei suo viaggio, e attendendo l’effetto delle di lei speranze, cercò intanto di istruirsi della religione ebraica, e de’ loro costumi. Daniello, lontano in que’ giorni da Babilonia, era andato a visitare e a confortare gli Ebrei dispersi per tutta l’Assiria. Amestri fece per tanto conoscere al nipote un ebreo famoso, di nome Eleazaro; e il principe di Persia avendo inteso che il popolo di Dio non riguardava la frenesia del re come un’infermità naturale ma come un divino castigo, pregò il filosofo ebreo a spiegargli la causa di tal punizione.
CiroNabuccodonosor, disse Eleazaro, sedotto da’ malvagi che gli stavano d’intorno, giunse a tale eccesso di empietà, che bestemmiò contro Dio, e innalzata una statua di oro di smisurata grandezza nella campagna di Dura, volle che fosse adorata da tutte le soggiogate nazioni. Da un sogno divino fu ammonito, che egli sarebbe punito della sua idolatria e del suo orgoglio. Un ebreo, chiamato Daniello, uomo celebre per la sua scienza, per le sue virtù e per la cognizione che aveva delle cose future, gli spiegò questo sogno, e gli annunciò il divino castigo che stava per cadergli sul capo. Le parole del profeta fecero al primo istante qualche impressione sull’animo dei re: ma circondato da profani disprezzatori del celeste potere, dimenticando l’ammonizione divina si abbandonò a nuove empietà. In capo a un anno, mentre passeggiava pe’ suoi giardini, contemplando la bellezza della sue opere, lo splendore della sua gloria e la grandezza del suo impero immaginò di essere un ente superiore a’ mortali, e divenne idolatra delle grandiose opere della sua stessa immaginazione. Allora intese una voce celeste, che gli diceva: o re Nabuccodonosor, io parlo teco: il regno esce dalle tue mani, e tu cacciato dalla società degli uomini, vivrai per il corso di sette anni interi fra le bestie, cibandoti con loro di erba, finché tu riconosca che Dio signoreggia su tutti gl’imperi, e li dispensa a chi più gli piace. Sul punto stesso fu dalla divina mano colpito, e perduta la ragione a un tratto, fu colto da una malattia per cui divenne furioso. In vano si tentò di tenerlo stretto tra ferri, che spezzate le sue catene come rugghiante leone corse per le montagne e per le pianure. Non v’ha chi possa avvicinarsegli senza il pericolo di essere sbranato. Nel giorno del sabbato solamente gode di qualche riposo, e ritorna per qualche ora in se stesso. Egli ragiona allora in un modo che fa atterrire gli empj. Sono ormai scorsi quasi sette anni da che Nabuccodonosor si trova in questa situazione infelice; e noi attendiamo, secondo le predizioni divine, fra pochi giorni la sua salute.
CiroOvunque io vada, Ciro sospirando soggiunse, non trovo che esempi funesti delle debolezze e delle sventure alle quali i re vanno soggetti. Aprio, trasportato da una cieca amicizia per un perfido cortigiano, si lascia sacrificare in Egitto: due giovani re, senza l’antivedere del saggio Chilone, si espongono al pericolo di perdere lo stato di Sparta : il lagrimevole fine di Periandro e di tutta la sua famiglia in Corinto sarà un monumento eterno delle sventure causate da un usurpatore tiranno: Pisistrato è per due volte scacciato dal trono di Atene: Policrate, re di Samo, si lascia ingannare così da perseguitar la innocenza: i successori di Minosse sovvertono in Creta il migliore di tutti i governi ; e Nabuccodonosor si chiama addosso colle sue empietà la indignazione celeste. Grande Oromaze! non avete dunque dato i sovrani a’ mortali, che nel giorno dell’ira vostra! Non possono dunque accordarsi insieme la virtù e la grandezza!
CiroGiunto il sabato, il principe di Persia ed Eleazaro andarono al luogo ove il re di Babilonia soleva fermarsi. Giunti colà, trovarono questo infelice sovrano coricato lungo l’Eufrate sotto alcuni salici, piantati lungo il margine di quel fiume; Senza aprir bocca si avvicinarono a lui, che steso sull’erba e cogli occhi rivolti al cielo mandava di tempo in tempo profondi sospiri misti a lagrime amare. In mezzo però di tante sventure conservava nel suo volto una certa maestà, la quale dava a conoscere che Dio nel punirlo non lo aveva interamente abbandonato. Per riverenza non osarono di parlargli, né distorlo dal profondo dolore in cui pareva sepolto. Ciro, colpito altamente dallo stato infelice di quel gran re, restò immobile, mostrando nella sua faccia chiaramente dipinti tutti i segni di un’anima oppressa dal terrore, e mossa dalla pietà. Il re di Babilonia lo fissò attentamente, e senza sapere chi fosse, così gli disse: Il cielo mi accorda talora alcuni istanti di ragione per farmi sentire, che ella non è cosa mia propria, ma che da altra mano mi viene; che un Essere superiore me la toglie, e a suo piacer me la rende; e che colui che a me la dà, è un’intelligenza sovrana, la quale tiene la natura tutta in sua mano, e può a sua voglia ordinarla e scomporla. Ebbro un giorno di orgoglio e accecato dalla felicità, dissi a me stesso e a’ falsi amici che mi stavan d’intorno: noi siamo nati per caso, e saremo dopo la morte come se mai stati non fossimo. L’anima è una scintilla di fuoco, che si estingue subito che il nostro corpo ridotto in cenere. Godiamo dunque del ben presente, e affrettiamoci di gustare tutti i piaceri. I vini più squisiti c’inebrino, ci profumino gli unguenti più odorosi, si colgano le rose pria che appassiscano. La forza sia l’unica nostra legge, il solo piacere dia norma alle nostre azioni; ed il giusto, la cui virtù diventa la nostra infamia, cada vittima delle nostre trame. Così un giorno bestemmiai contro il cielo, e questa fu l’origine di quelle sventure che troppo giustamente soffersi. Ciò detto, si leva, e corre a nascondersi nella vicina foresta.
CiroI detti di Nabuccodonosor accrebbero in Ciro la riverenza per la Divinità, e accrebbero pure in lui la brama di ben conoscere la religion degli Ebrei. Egli conversò spesso con Eleazaro, e contrasse a poco a poco con lui una stretta amicizia. L’Eterno, che tenea sempre l’occhio fisso sopra di Ciro, e che lo avea destinato ad essere il liberator del suo popolo, volle col Mezzo del saggio ebreo metterlo in istato di ricevere le istruzioni del profeta Daniello. Dopo la schiavitù degli Ebrei, i loro dottori sparsi fra molte nazioni si erano dati allo studio delle scienze profane, e ponevano tutto il loro ingegno per conciliare la religione colla filosofia. Per questo ora adottavano, ora rigettavano il senso letterale de’ sacri libri; e presumevano di spiegare le ebraiche tradizioni, coperte, dicevano essi, sotto allegorici sensi, secondo l’uso degli orientali. Ebbe quindi origine coll’andare del tempo la famosa setta fra gli Ebrei, che fu detta la setta degli Allegorici. Eleazaro tra del numero di questi filosofi, e con ragione era considerato uno de’ più grandi uomini di quel secolo. Egli possedeva tutte le scienze Egizie e Caldee, e avea sostenuto molte dispute co’ Magi dell’oriente per provare che la religione ebraica non solo era la più antica, ma più di ogni altra alla ragione conforme. Ciro, esposte a Eleazaro le cognizioni che avea acquistato nella Persia, nell’Egitto, nella Grecia intorno alle grandi rivoluzioni accadute nell’universo, il pregò di spiegargli la dottrina de’ suoi filosofi sopra i tre stati del mondo.
CiroNoi adoriamo, cominciò a dire Eleazaro, un solo Dio, infinito, eterno ed immenso. Egli si è definito Quegli che è per far sapere che egli esiste da se medesimo, e che tutti gli esseri esistono in lui. Ricco delle dovizie della sua propria natura, e felice della sua propria felicità, non aveva bisogno di produrre altre sostanze per accrescere la sua gloria; ma per un atto sublime e libero della sua benefica volontà creò molti ordini d’intelligenze a fine di farle felici. L’uomo prima di eseguir la sua opera, ne forma l’idea; ma l’Eterno concepisce, produce e dispone qualunque cosa nell’atto stesso senza fatica e senza progressione di tempo. Egli pensa, e innanzi a lui presentandosi subito tutte le maniere colle quali può mostrarsi al di fuori un mondo d’idee si forma nel divino Intelletto. Egli vuole, e nel momento stesso esistendo nella sua immensità reali enti a queste idee somiglianti, l’universo tutto e il vasto spazio della natura è prodotto, separato dalla essenza divina. Il Creatore, col mezzo di semplici pitture, e col mezzo d’immagini viventi, rappresentò in due maniere se stesso. Quindi due spezie di create cose si distinguono essenzialmente: la natura materiale, e la natura intelligente. L’una non rappresenta che alcune perfezioni del suo originale; lo conosce e lo gode l’altra, e in tal modo vi sono infinite sfere abitate da queste intelligenze. S’immergono talvolta questi spiriti nella incommensurabile profondità della divina natura per adorarne le sempre nuove bellezze, talora ammirano le perfezioni del Creatore nelle sue opere, e questa è per loro una doppia felicità; ma non potendo contemplare incessantemente lo splendore dell’Essenza divina per la loro debole e determinata natura, conviene che di tempo in tempo si bendino gli occhi: quindi per dare riposo all’intellettuale, il mondo material fu creato.
CiroDue spezie di spiriti perderono per la loro perfidia questa felicità. Gli uni, chiamati Cherubini, erano di un ordine superiore, e sono al presente spiriti infernali; gli altri, detti Ischimi, erano di una natura meno perfetta, e sono gli spiriti che ora animano i corpi mortali, il principe de’ Cherubini si accostava più di ogni altro al trono dell’Altissimo, e Dio lo colmava di doni eminenti; quando, per una folle e orgogliosa compiacenza di se medesimo, perde il suo avvenimento. Invaghitosi della propria bellezza, si guardò, si ammirò, restò dallo splendore della stessa sua luce abbagliato, insuperbì, ribellossi, e seco trasse la maggior parte de’ geni della sua sfera. Gl’Ischimi si affezionarono troppo agli oggetti materiali, e perdendosi nel possesso de’ creati piaceri dimenticarono la suprema felicità degli spiriti, e in tal guisa quelli divennero troppo orgogliosi, questi troppo abbietti. Accadde allora ne’ cieli una gran rivoluzione. La sfera de’ Cherubini divenne un oscuro caos e là queste intelligenze infelici deplorano senza conforto la loro perduta felicità. Gl’Ischimi, meno colpevoli de’ primi, perché peccarono per debolezza, furono con minor rigore puniti; e affinché potessero dimenticare il loro stato primiero, permise Dio che cadessero in una specie di letargo, dal quale non si destarono che per animare successivamente i corpi mortali. La loro organica forma fu rinchiusa in quella di Adamo, e stabilito l’ordine della generazione, ogni spirito si sveglia in quel corpo, in quel tempo, in quel luogo e in quello stato, che gli è assegnato dai decreti della eterna Sapienza. La terra cangiò di forma, né fu più un delizioso soggiorno, ma divenne un luogo di esilio e di pene, ove il contrasto perpetuo degli elementi rende soggetto l’uomo alle malattie e alla morte. Questa è la spiegazione dell’occulto senso del grande ebraico legislatore, quando parla del paradiso terrestre e della caduta de nostri primi padri. Adamo non rappresenta fin uomo solo, ma tutta l’umana spezie. Ogni nazione ha le sue allegorie, e noi pure ne abbiamo. Coloro che non le intendono, considerano la nostra storia del frutto vietato e del serpente parlante, come più favolosa e più assurda della mitologia de’ Persiani, degli Egizj e de’ Greci intorno alla caduta di Arimane, alla ribellion di Tifone, e a’ pomi di oro degli orti Esperidi; pure tutte queste allegorie sono fondate sulla medesima tradizione più o meno travestita. Il debole e l’ignorante, di qualunque religione egli sia, sta attaccato al senso letterale, e l’empio lo deride; ma né l’uno né l’altro comprendono lo spirito che lo anima.
CiroPoiché le anime furono separate una volta dall’origine loro, non conobbero più alcun principio di stabile unione. L’ordine della generazione, i bisogni scambievoli e l’amor proprio furono quaggiù i soli legami della nostra società che non dura, e tennero il luogo della giustizia, dell’amicizia e dell’amore dell’ordine che uniscono gli spiriti celesti. Molti altri cambiamenti avvennero in questo mortale soggiorno, conformi allo stato delle anime che penano, che meritano di penare, e che col mezzo delle lor pene esser devono risanate. Il gran profeta, che noi chiamiamo il Messia, verrà finalmente a ristabilir l’ordine nell’universo. Egli è il capo e il condottiere di tutte le intelligenti nature, che nacque prima di tutte le create cose, a cui la Divintà si unì intimamente fino dal principio del tempo, e che unì a se stesso una porzione della materia che gli serve di tabernacolo. Egli è quegli, che da quel luminoso centro manda continuamente raggi che illuminano tutte le regioni della immensità. Questo glorioso corpo è il sole della divina Gerusalemme, e l’emanazioni di questa adorabile Shechinah sono la vita e la luce di tutti i corpi, come l’emanazioni della sua Divinità sono la ragione e la felicità di tutte le intelligenze. Egli sotto umana forma conversò coi nostri primi padri; egli apparve al nostro legislatore sul santo monte, parlò sotto una visibile figura a’ profeti; verrà finalmente trionfante sopra le nuvole a rimettere l’universo nel suo antico splendore e nella sua prima felicità, Oh quanto venerabile, quanto degna di Dio, quanto nella sua semplicità è sublime la religione, tosto che le vien tolto quel velo che la nasconde all’occhio profano?
CiroCiro, rapito dalla sublimità di queste idee, disse al grande filosofo: io trovo che la vostra teologia si uniforma perfettamente alla dottrina de’ Persiani, degli Egizi, e de’ Greci intorno ai tre stati del mondo. Zoroastro molto istruito nelle scienze de’ Ginnosofisti, parlandomi dell’impero di Oromaze prima della ribellion di Arimane, me lo dipinse come uno stato in cui tutti gli spiriti erano felici e perfetti. La religione di Ermete ci rappresenta il regno di Osiride, prima che il mostro Tifone traforasse l’uovo dei mondo, come uno stato senza passioni e senza infelicità; e Orfeo, celebrando col suo canto il secolo di oro, lo descrive come uno stato di semplicità e d’innocenza. Ciascuna nazione si fece a sua voglia un’idea di questo mondo primitivo. I Magi, che sono tutti astronomi, lo collocarono negli astri; gli Egizj, che sono tutti filosofi, ne fecero una repubblica di saggi e i Greci, che amano i luoghi campestri, il dipinsero come un soggiorno di pastori. Osservo di più, che le tradizioni di tutte le nazioni predicono la venuta di un Eroe, che deve scender dal cielo per ricondurre Astrea sulla terra. I Persiani lo chiamano Mitra, gli Egizj Oro, i Tjrj Adone, e i Greci Apollo, Ercole, Marte, Mercurio, e Giove condottiere e salvatore. Vero è che questi popoli diversamente lo rappresentano, ma tutti nelle verità stesse si accordano; tutti conoscono che l’uomo non è più quale era per lo passato; e tutti credono che un giorno prenderà una forma migliore. Dovrà giugnere il giorno, in cui la luce trionferà delle tenebre, sarà quello il tempo stabilito dal destino per la distruzion di Tìfone, di Arimane e di Plutone; quello il periodo prescritto in tutte le religioni per ristabilire il regno di Oromaze, di Osiride, di Belo e di Saturno. Qui però mi si affaccia una grande difficoltà, che nessun filosofo fu per anco capace di sciogliermi. Io non comprendo come possa arrivar il male sotto il governo di un Dio, buono, saggio e possente; perché s’egli è saggio, lo avrebbe preveduto ; se potente, impedito; se buono, prevenuto. Fatemi voi conoscere in qual modo giustificare si possa l’eterna Sapienza. Per qual ragione creò Dio degli esseri liberi e intelligenti capaci del male? Perché fece loro un dono così fatale?
CiroLa libertà, rispose Eleazaro, è una conseguenza necessaria della nostra ragionevole natura. Il poter della scelta costituisce la libertà, e la scelta sta nella preferenza. Qualunque essere capace di ragionare e di paragonare può preferire, e per conseguenza può scegliere. Vero è che in ogni scelta diamo la preferenza a quell’oggetto che ci apparisce il migliore, ma vero è altresì, che possiam sospenderla fino a tanto che abbiamo co’ nostri esami riconosciuto, se il bene che a noi si presenta, sia apparente o reale; e quantunque l’anima non sia libera di vedere o di non vedere gli oggetti che ella contempla , di distinguerne o di non distinguerne le differenze, e di scegliere senza volontà o per elezione ella è libera però di guardare o di non guardare, di esaminare da una o da più lati gli oggetti, e di determinarsi per una buona o per una cattiva ragione. Noi non siamo invincibilmente attratti da qualunque bene limitato, perché essendo capaci di pensare a un bene più grande, trovai possano in conseguenza un maggior allettamento, che ci allontani dall’oggetto meno attraente; e in questa attività naturale e comune a tutti gli esseri ragionevoli consiste la libertà. I soli spiriti sono attivi, e capaci di una volontà propria. Dio diede loro attività ed esistenza, ma una attività e una esistenza separata e diversa dalla sua. Una delle differenze essenziali che passa fra lo spirito e il corpo si è, che questo viene necessariamente portato ovunque la forza motrice lo guida, è che quello non si lascia condurre che dalla ragione che lo rischiara. Dio non poteva darci la intelligenza senza accordarci la libertà.
CiroMa non poteva egli, soggiunse Ciro, impedirci dall’abusare della nostra libertà, svelandoci la verità con tale evidenza che non ci fosse possibile l’andar soggetti all’inganno? Subito che la bellezza sovrana si manifesta co’ suoi infiniti allettamenti, ella s’impadronisce assolutamente di ogni volontà, e fa sparire tutte le altre inferiori bellezze, come appunto coll’apparire del sole si dileguano le ombre notturne. Il lume, rispose Eleazaro, per quanto puro ch’ei sia, non rischiara coloro che veder non lo vogliono, e qualunque limitata intelligenza può torcere gli occhi dal vero. Vi dissi già che gli spiriti non possono contemplare continuamente lo splendore della essenza divina, e che sono di tempo in tempo costretti a coprirsi. L’amor proprio può allora sedurli, e dar loro a vedere per reale un bene apparente, e può questo bene apparente abbagliarli e distorli dal vero. L’amor proprio è inseparabile dalla nostra natura. Dio, amando se stesso, ama essenzialmente l’ordine, perché egli è Ordine; ma le create cose possono senza l’amore dell’ordine amare se stesse; e da qui ne viene che ogni spirito creato è soggetto ad errare. Il chieder poi per qual causa abbia Dio creato intelligenze fallibili, è lo stesso che il chiedere perché le abbia fatte limitate, o perché creato non abbia, il che sarebbe cosa impossibile, degli Dei così perfetti come lo è egli stesso.
CiroMa non può Dio, insistette Ciro, porre in opera la sua onnipotenza per costrignere le libere Intelligenze a conoscere e a gustare la verità? Sotto l’impero di un solo Dio, rispose il filosofo ebreo, libertà e despotismo non possono insieme accordarsi. L’Eterno fa tutto quello che più gli piace sì in cielo come in terra; ma non vuole far uso della sua onnipotenza per distruggere la libera natura degli esseri intelligenti; poiché, se egli operasse in tal modo, allora le loro azioni diverrebbono azioni di necessità e non di elezione, e in luogo di amarlo, lo ubbidirebbero. Ma quello appunto che Dio domanda è amore, e questo è il solo culto che sia degno di lui; non lo domanda per proprio vantaggio, ma per quello delle sue creature. Egli vuole che sieno felici e che cerchino la loro felicità; ma che sieno felici per amore, e per amore di pura elezione: così in proporzione dei loro merito si accresce la loro felicità.
CiroMa la Divinità, così soggiunse Ciro, non poteva servirsi di mezzi infallibili per assicurare la felicità degli esseri intelligenti senza violentare la lor libertà? Non ha ella un eguale supremo potere sopra gli spiriti e sopra i corpi? E non può cambiare in docili e in ubbidienti le volontà più ribelli e più ostinate? Non possiamo, rispose Eleazaro, certamente formarci un’idea abbastanza grande delle perfezioni dell’Ente infinitamente perfetto. Egli vuole la felicità di tutte le intelligenze, conosce tutti i mezzi che per effettuare la sua volontà si richiedono, e renderà o più presto o più tardi questi mezzi assolutamente e infallibilmente efficaci senza far violenza alla libertà degli spiriti La libertà di peccare, le pene di espiazione e tutte le conseguenze fatali della ribellion nostra sono una porzione di questi mezzi, e del piano della sua previdenza. Dio manifestò da prima tutti gli sforzi del suo potere, consumò, per dir così, tutti i tesori della sua sapienza, espose tutti gli allettamenti della sua bontà, e tutto fece per impedire la caduta degli spiriti. Ma conoscendo che non poteva tenerli nell’amore dell’ordine senza far violenza alla lor libertà, gli abbandonò per un momento alle fatali conseguenze dei loro errori. Quegli, il quale crea gli esseri dal nulla, può fare che dal male del momento nasca un bene infinito, l’ordine dalla confusione, la totale bellezza della sua opera da una macchia leggera che in essa vi soffre, e la durevole felicità di tutti gli spiriti dalle pene momentanee che alcune poche intelligenze soffrono per propria lor colpa. Tutti gli abitanti del cielo sono spettatori di ciò che accade quaggiù, e vedendo i terribili effetti e le naturali conseguenze della nostra malvagità, si mantengono fermi per sempre nell’amore dell’ordine.
CiroDio permette il male per un istante, perché vuole che il nostro esempio sia di ammaestramento a tutti gli spiriti; e questo suo modo di operare ci spiace solo perché, essendo noi limitati e mortali, non comprendiamo tutti i suoi alti disegni, e da alcune piccole parti vogliam giudicare del tutto. Solleviamo i nostri pensieri sopra questo luogo di esilio, trascorriamo tutte le regioni celesti, e troveremo che il disordine e il male non regna che in quest’angolo dell’universo. La terra non è che un atomo a fronte della immensità; e tutta la estensione del tempo in confronto della eternità non è che un istante. Questi due punti infinitamente piccoli svaniranno: ancora un momento, e il male più non esisterà; ma il nostro spirito limitato e il nostro amor proprio sublimano gli oggetti, e ci fanno considerare come sommamente grande questo punto che divide le due eternità.
CiroLa infinita bontà di Dio, disse allora Ciro, non avrebbe potuto ricondurre all’ordine le sue creature colpevoli senza farle patire? Un buon padre non usa mai del castigo, quando può riacquistare i suoi figli con la dolcezza. Io, già vel dissi, rispose Eleazaro, noi siamo capaci di una doppia felicità. Se Dio anche dopo la nostra ribellione ci avesse concesso il godimento perfetto de’ creati piaceri, non avremmo più desiderio di unirci al Creatore, e paghi di una minore felicità non faremmo alcuno sforzo per giugnere alla suprema beatitudine della nostra natura. Il solo mezzo per impedire agli esseri liberi di ricader nel disordine, si è il far loro sentire per alcun tempo le conseguenze funeste de’ loro errori. Dio deve alla sua giustizia il castigo de’ rei per far conoscere che non autorizza la colpa, e lo deve altresì alla sua stessa bontà che vuole il peccatore punito e corretto. Il male fisico è il rimedio del mal morale, e la pena lo è del peccato. Tutti gli esseri peneranno più o meno a misura de’ loro errori. Quelli che non mancarono mai al loro dovere, supereranno gli altri in perfezione e in felicità; e quelli che furono più tardi nel rimettersi sul diritto sentiero non saranno mai né tanto felici, né tanto Perfetti. La riunione degli spiriti al loro primo principio rassomiglia al movimento de’ corpi verso il loro centro, i quali quanto più si avvicinano, tanto più diventano veloci; e per conseguenza quelli che cominciano a riunirsi più presto al loro centro infinito, vinceranno gli altri per sempre nel loro corso. Questo è l’ordine stabilito dalla eterna Sapienza; questa è la legge immutabile della giustizia distributiva. Da cui non può Dio allontanarsi senza mancar essenzialmente a se stesso, col pericolo che tutti gli esseri limitati e soggetti ad errare turbino l’armonia universale. Voi scorgete da ciò che vi esposi, la condotta di un Dio e di un Creatore che trasse gli spiriti fuori dal nulla per farli felici; che li punisce affinché possano rientrare nell’ordine, e che lascia talvolta di esercitare i1 suo assoluto potere, perché pegli occulti princi pj di una sapienza, di una bontà e di una giustizia immutabile può impiegarli a compire liberamente i suoi eterni disegni.
CiroV’intendo, soggiunse Ciro. Dio non poteva privar gli spiriti della libertà senza privarli della intelligenza; non impedire che fossero soggetti ad errare senza farli infiniti; non prevenire i loro errori senza distruggere la lor libertà; e non sottrarli alle pene di espiazione senza offendere la sua giustizia e la sua bontà. Egli, libero da qualunque passione, non sa che sia collera, né che cosa sia vendetta; egli non castiga che per correggere. e non punisce che per sanare; egli soffre il peccato solo perché non può far violenza alla nostra libertà, ama questa libertà solo perché può farci meritevoli, ed esige questo merito per accrescere la nostra felicità; egli non impiega la sua onnipotenza, che per costringerci a esser felici, e per procurarci l’eterno piacere di cooperare noi stessi alla nostra felicità per amore, e per amore di pura elezione; egli finalmente fa il bene per amor del bene senza abbisognare dell’opera nostra, e senza perdere o guadagnar cosa alcuna per causa delle nostre colpe o delle nostre virtù. Tale è la gloria del Dio degli ebrei, di Quello che è, dell’Essere indipendente e sufficiente a se stesso. Nessun filosofo mi aveva per anco spiegato una catena di principj e di conseguenze, di opinioni e di sentimenti tanto degni dell’eterna Natura, di tanto conforto per l’umanità, e tanto alla ragione conformi.
CiroEcco, soggiunse allora Eleazaro, tutto ciò che l’intelletto umano può porre in veduta per rendere intelligibili gli arcani divini. In questo modo noi convinciamo la ragione con la stessa ragione; e con questi principj i nostri dottori fanno tacere i filosofi gentili, i quali bestemmiano contro la Sapienza sovrana a cagione de’ mali e de’ delitti che accadono quaggiù. La nostra religione però non è fondata sopra queste speculazioni, non è ella un filosofico sistema, ma un soprannaturale stabilimento, Daniello, che è a’ giorni nostri il profeta dell’Altissimo, ve ne istruirà. L’Eterno gli fa conoscere sovente le future cose, e col suo potere il rende operator di prodigi. Ritornato che sia in Babilonia, ove lo attendiamo fra poco, vi farà vedere gli oracoli, che sono ne’ nostri sacri libri rinchiusi, e voi apprenderete da quelli, qual sia l’alto fine a cui Dio vi destina.
CiroEra questo il tempo indicato da’ profeti per la guarigione del re. La sua frenesia di fatti ebbe fine e ritornò in lui la ragione. Prima di rientrare nella sua capitale, volle Nabuccodonosor rendere un pubblico omaggio al Dio d’Israello nel luogo stesso ove avea dato prove così pubbliche della sua empietà. Comandò per tanto a Daniello di unire i principi, i magistrati, i governatori delle provincie e tutti i grandi di Babilonia, e di condurli nella campagna di Dura, ove alcuni anni prima era stata per suo comando innalzata la statua di oro. Indossata la veste imperiale egli sì pose sopra di un luogo eminente, dove potesse esser veduto da tutto il popolo. Più non si scorgeva in lui segno alcuno di ferocia, né di salvatichezza; e malgrado l’orribile stato a cui ridotto lo avevano le sue pene, conservava nel suo aspetto tranquillo l’antica maestà. Essendo tutti raccolti, Nabuccodonosor rivolto alla parte orientale, si leva dal capo il diadema, si prostra colla faccia a terra, proferisce per tre volte il tremendo nome di Jehovah, e dopo di avere per qualche spazio di tempo adorato in un profondo silenzio l’Eterno, si alza in piedi e così parla agli astanti: Popoli di tutto il mondo, che vi raccoglieste in questo luogo, ove un giorno diedi prove manifeste della mia audace empietà e dell’insano mio orgoglio, allorché tentai di usurparmi diritti della Divinità, e volli costrignervi ad adorare l’opera delle mie mani, udite. L’Altissimo mi punì dell’empio ardire, e mi condannò per il corso di sette interi anni a pascermi di erba cogli animali. I tempi sono compiuti; alzai gli occhi al cielo; riconobbi il potere del Dio d’Israele; ed egli mi restituì la ragione e l’intelletto. Il vostro Dio, continuò egli a dire indirizzando la parola a Daniello, è il vero Dio degli Dei, e il Re de’ Re. Tutti gli abitatori della terra sono un nulla innanzi a lui, che fa ciò che vuole sì in cielo, come sulla terra. La sua sapienza uguaglia il suo potere, e il suo operare è sempre giustissimo. Egli deprime i superbi, e innalza di nuovo quelli che aveva umiliato. Imparate, principi, popoli tutti, imparate a venerare la sua grandezza. A questi detti l’assemblea manda gridi di gioia e riempie l’aria di acclamazioni in onore del Dio d’Israele. Il re fu ricondotto alla sua capitale, e montato di nuovo sul trono, innalzò Daniello alle prime dignità del regno, e distinse gli ebrei col dar loro in tutte le province del suo impero le cariche più importanti.
CiroAmestri, dopo pochi giorni, presentò Ciro a Nabuccodonosor che lo accolse con particolar affezione, e diede favorevole ascolto alle sue domande. I grandi dell’impero, che facevano parte del reale consiglio, poco persuasi di tale alleanza fecero conoscere al re che sarebbe pericolosa cosa l’irritare la corte de’ Medi in un tempo in cui le forze dello stato si trovavano indebolite di molto, ed era quasi esausto il pubblico orario per gli ultimi torbidi accaduti durante la sua malattia; e che una più sana politica richiedeva che si accendessero le discordie de’ Persiani e de’ Medi, dalla debolezza e dalla dissensione de’ quali poteva cogliere un’occasion favorevole per dilatare le sue conquiste. Ma il monarca Assirio, che dopo le passate sventure aveva abbandonato questi pessimi principj, non diede orecchio alle ambiziose proposizioni de’ suoi ministri; e Ciro scorgendo che Nabuccodonosor era a suo favore disposto, colse l’opportuno momento per descrivergli tutti i vantaggi che troverebbe nell’alleanza Persiana , e gli fece toccar con mano, che i Medi erano i soli rivali del suo potere in oriente; che non gli tornava a conto il lasciar opprimere e soggiogar i Persiani; ma che era meglio per lui il farsi amica una nazione che poteva servire di barriera al suo impero contro gli sforzi di Ciassare; e che finalmente la Persia era per la sua situazione un paese molto utile per fare entrare nella Media le truppe Babilonesi, ove quel sovrano si determinasse di muover guerra agli Assirj. Espose Ciro le suo ragioni Con tanta forza e con tanta eloquenza sì ne’ pubblici, che ne’ privati consigli, e maneggiò i grandi, per tutto il tempo di questo trattato, che durò molti mesi, con tanta maestria e con tanta prudenza, che li fece tutti del suo partito, ed una stretta alleanza, a cui Nabuccodonosor si mantenne fedele finché visse, fu solennemente giurata fra la Persia e l’Assiria.
CiroCiro vivamente bramando di vedere i sacri libri degli ebrei, che contenevano gli oracoli della sua futura grandezza, si tratteneva ogni giorno con Daniello. Questo profeta approfittò con piacere di tale occasione per istruirlo nella religione giudaica e finalmente aprì i libri di Isaia, i quali avevano annunciato Ciro col proprio nome cento e cinquant’anni prima della sua nascita. Il principe di Persia vi trovò scritte queste parole: «Così disse il Signore al suo unto, a Ciro: io riserbai la sua destra per far cadere sotto il suo poter le nazioni, e far fuggire dinanzi a lui i re della terra. Io aprirò innanzi a lui i due cancelli delle porte, e le porte non resteranno più chiuse. Io ti precederò, umilierò tutti i grandi della terra, spezzerò le porte di bronzo e liquefarò le sbarre di ferro. Io ti discoprirò gli occulti tesori e il secreto de’ secreti, affinché tu possa conoscere, ch’io il Signore, che ti ho col tuo nome chiamato, sono il Dio d’Israele. Io ti chiamai pure col tuo nome, e ti ho cognominato per amore di Giacobbe mio servo e d’Israele mia eletta, benché tu non mi abbia conosciuto. Io sono il Signore, né vi ha alcun altro Dio fuori di me. Io creo la luce e le tenebre, io feci la terra e l’uomo che in essa soggiorna; io distesi i cieli colle mie stesse mani, e volli tutti i loro abitanti. Io lo innalzai giustamente e lo dirigerò per tutto il cammino. Egli fabbricherà la mia città, e renderà liberi tutti i miei schiavi non per prezzo, né per ricompensa: disse il Dio degli eserciti».
CiroNel leggere una predizione sì chiara e sostenuta da tante circostanze, cosa ignota alle altre nazioni, presso le quali erano gli oracoli sempre dubbi ed oscuri, Ciro si sentì colto da maraviglia, da rispetto e da un sacro timore, e rivoltosi al profeta, gli parlò in questi sensi: Eleazaro mi fece già conoscere, che i principj fondamentali della vostra teologia intorno ai tre stati del mondo si accordano con quelli delle altre nazioni. Egli, col provarmi la libera natura delle intelligenze, tolse dalla mia mente tutte le difficoltà intorno alla origine del male. Egli chiude all’empio la bocca colle sue idee sublimi sopra la preesistenza delle anime, sopra la loro volontaria caduta e sopra la loro totale rinnovazione. Questo filosofo non mi fece tuttavolta parola dello stabilimento soprannaturale della vostra religione. Rispondete, vi prego per quel Dio che adorate, alle mie interrogazioni. La vostra tradizione ha ella la stessa origine di quella degli altri popoli, o vi fa per una via più sicura trasmessa? Il vostro legislatore era egli un uomo puramente filosofo, o un Ente divino ?
CiroMi sono noti, rispose Daniello, tutti gli sforzi che fanno i nostri dottori per accordare la religione con la filosofia; ma essi si sviano dal diritto cammino, e si perdono in un mare d’incerte opinioni. Chi è quegli che possa scoprire i mezzi de’ quali si serve Dio, o che sia capace di penetrate i suoi altissimi fini? Sono deboli i nostri pensieri, le nostre conghietture fallaci; e il corpo, questo terrestre cancello in cui sta chiusa l’anima, deprime lo spirito, e non gli permette di alzarsi fin dove brama ardentemente di giugnere. Quello però che non dà luogo a dubbio, si è che Dio permise il male, solo perché può trarre da esso un bene infinito; il modo poi ed il tempo in cui compirà il suo disegno, è un secreto occulto e impenetrabile all’occhio umano. Qualunque sistema che immaginare si voglia, è pericoloso o imperfetto; e la brama di penetrar tutto, di tutto spiegare e di voler accomodar tutto alle nostre imperfette idee, è il mal più fatale dello spirito umano. Lo sforzo più sublime che far potesse la debole nostra ragione, sarebbe quello di tacere dinanzi alla ragione sovrana, e di lasciar a Dio il pensiero di giustificare un giorno le vie incomprensibili della sua provvidenza; ma il nostro orgoglio e la nostra impazienza fanno sì, che noi perdiamo la luce per troppa fretta di prevenirla. «Guai a colui che contrasta col suo Creatore, a colui che altro non è che creta e un coccio di terra». Dimenticate dunque tutte le sottili speculazioni de’ filosofi; io vi parlerò con un linguaggio più semplice e più vero, e vi presenterò tali verità, che sono appoggiate sull’universal tradizione di tutte le nazioni, o sopra fatti evidenti, de’ quali ne sono giudici gli occhi, gli orecchi e tutti i sentimenti del corpo.
CiroL’Eterno creò i nostri primi padri in uno stato d’innocenza, di felicità e d’immortalità; ma l’ambiziosa lor brama di avanzare in cognizione, e di essere tanti Dei lì portò a trasgredire i precetti dell’Altissimo. Vennero perciò scacciati dal loro delizioso soggiorno, e tutta la loro discendenza fu avviluppata nel loro castigo, come lo era stata nella lor colpa: così l’umana natura cadde dalla sua prima origine, e restò nel suo principio bruttata. Col cessare dall’esser giusto, cessò il genere umano dall’essere immortale; la pena seguì la colpa, e l’uomo fu condannato ad uno stato infelice, perché dovesse bramare continuamente una vita migliore. Nel corso de’ primi secoli, che successero a questa caduta dell’uomo, la religione non era scritta; la sua morale si trovava nella stessa ragione; i suoi misteri dalla tradizione degli antichi erano tramandati alla posterità; e polche in que’ primi tempi i mortali vivevano molti secoli, non era difficile il conservarla nella sua purità. Ma questa cognizione sublime non avendo servito che a rendere gli uomini più colpevoli, affine di porre un argine alla corrente del vizio e dell’empietà, tutto il genere umano, salva la famiglia di Noè, fu distrutto. Si aprirono le cateratte del cielo, e le acque uscite da’ loro abissi coprirono la terra con un diluvio universale, di cui non solo sussistono ancora alcune memorie nella tradizione di tutti i popoli, ma se ne trovano altresì i segni evidenti nelle viscere della terra, qualunque volta vi ci interniamo. Lo stato del mondo, che per la caduta dell’uomo avea da principio sofferto, divenne ancora peggiore. I succhi della terra dopo questa inondazione si corruppero e minorarono; l’erbe e le frutta perderono la loro efficacia; l’aria pregna di troppa umidezza diede forza maggiore ai principj della corruzione, e la vita umana abbreviossi. I discendenti di Noè sparsi per tutta la superficie del globo, dimenticarono ben presto questo terribile effetto dell’ira Divina, e si abbandonarono a ogni sorta d’iniquità. Allora fu che l’Eterno volle scegliersi un popolo, ch’esser dovesse i1 depositario della religione, della morale e di tutte le divine verità, affinché non venissero totalmente oscurate e avvilite dal capriccio, dalle passioni e da’ frivoli ragionamenti dell’uomo. La Sapienza sovrana scelse per custode de’ suoi oracoli fra tutte le nazioni la più indomita e la più ignorante. Gli Assiri, i Caldei e gli Egizj gìa erano popoli resi troppo famosi per la sottigliezza del loro intelletto, e per la sublimità delle lor cognizioni in tutte le scienze; e si avrebbe potuto sospettare, che avessero confuso colle divine rivelazioni le loro stesse cognizioni e i loro ragionamenti; ma gli Ebrei, fra i quali trovaste le idee sublimi della Divinità e della morale, non avevano nel loro carattere naturale di che dar a credere che avessero potuto tali verità immaginare. Abramo per la sua fede e per la sua ubbidienza meritò di esser destinato per capo e padre di questo popolo avventuroso, e l’Altissimo gli promise che moltiplicherebbe la di lui posterità come le stelle del cielo, che possederebbe un giorno la terra di Canaan, e che nella pienezza de’ tempi nascerebbe dalla sua stirpe il Desiderato delle Nazioni. La nascente famiglia di questo patriarca, debole ne’ suoi principi, va in Egitto, ove moltiplicandosi sveglia la gelosia di quella nazione, ed è ridotta alla schiavitù; ma dopo di aver sofferto nel corso di quattro interi secoli ogni sorta di tribolazioni, Dio fine nascere Mosè per liberarla.
CiroL’Altissimo dopo di aver illuminato il nostro liberatore con la più pura sapienza, lo investì della onnipotente sua forza, onde potesse dar prove della sua divina missione col maraviglioso portento di cambiare sovente in un istante l’ordine e il corso della natura. Mosè spaventò la corte del superbo re Egizio, che ricusava di ubbidire ai comandi dell’Onnipotente, co’ replicati segni della celeste vendetta; e steso appena il suo braccio, cadde l’Egitto sotto il peso terribile della sua mano. Le acque de’ fiumi si cambiarono in torrenti di sangue; un numero prodigioso di velenosi insetti, portò da per tutto le infermità e la morte; le folgori e le tempeste distrussero gli uomini, gli animali e le piante; le tenebre nascosero per tre giorni la luce del cielo; e un angelo sterminatore uccise in una notte tutti i primogeniti dell’Egitto. Il popolo di Dio uscì finalmente dal luogo in cui era vissuto schiavo per tanto tempo ma fu inseguito da Faraone e da una formidabile armata. Una colonna di fuoco serviva in tempo di notte per guida agli Ebrei, e una densa nube li nascondeva di giorno alla vista de’ loro persecutori. Mosè parlò; si divisero le acque alla sua voce, e a piede asciutto gl’Israeliti tragittarono il mare; ma appena furono essi all’opposta riva, si riunirono le acque e l’impetuosa forza dell’onde sommerse l’infedele Egizia nazione. I nostri padri andarono erranti per il deserto, e vi patirono la fame, la sete e le intemperie delle stagioni. Mormorarono contro Dio, ma parla appena Mosè di nuovo, che un miracoloso alimento scende dal cielo; le aride rupi diventano torrenti di acqua; si apre la terra, e restano i miscredenti ingoiati senza vedere il compimento delle promesse. In questo deserto promulgò Dio la santa sua legge, e dettò le cerimonie e i riti della nostra religione. Il nostro condottiere fa chiamato sulla sommità del Sinai, tremò la montagna, e la voce dell’Eterno fu udita. Egli volle manifestare la sua possanza terribile per muovere il cuor di coloro, i quali più facilmente restano colpiti dalla paura che dall’amore; ma non comparve men grande ne’ prodigi della sua bontà che in quelli del suo potere. Il Grande, il Sublime, l’Uno che dimora nella eternità, e che il cielo de’ cieli non può capire, si degnò di abitare palesemente fra i figliuoli d’Israele, e di regolare tutti i loro andamenti. Un santuario mobile e l’Arca dell’alleanza furono eretti per suo comando; e l’altare fu dalla presenza della gloria dell’Altissimo santificato. Una luce celeste circondò il tabernacolo co’ suoi raggi, e Dio sedendo fra i cherubini dichiarò da quel luogo la sua volontà. Mosè scrisse per suo comando la nostra legge e la nostra storia, perpetui monumenti della sua infinita bontà e della nostra ingratitudine, e poco prima della sua morte depose nelle mani del popolo questo libro, l’esame del quale era necessario a ogni istante non solo per sapere la religione, ma per apprendere ancora la civile legislazione; né questi sacri annali potevano essere adulterati e corrotti, senza che fosse scoperto e punito l’inganno, come un delitto di lesa maestà, e come un attentato contro l’autorità civile.
Morì Mosè, e dopo la sua morte i nostri padri uscirono dal deserto. La natura ubbidì alla voce di Giosuè nuovo lor condottiere; e i fiumi rimontarono a un suo cenno alle loro sorgenti; il sole si arrestò nel suo corso; le forti muraglie di una città caddero all’accostarsi dell’Arca; e le più valorose e guerriere nazioni furono fugate e disperse dalle armi vittoriose del popolo d’Israele, che finalmente si rese padrone della terra promessa. I prodigi però non cambiano il cuore, quand’anche giungano a convincere l’intelletto; perché la convinzione più forte è sempre troppo debole per opporsi all’impeto delle passioni. Questo popolo ingrato e incostante si trovò appena possessore di quel delizioso soggiorno, che annojato di stare sotto l’immediato comando di Jehovah, bramò di essere governato da un re come le altre nazioni. L’Eterno sdegnato accordò agli Ebrei un sovrano, e divenne in tal guisa monarchico il loro governo.
CiroSalomone il più saggio e il più pacifico dei nostri re innalzò un magnifico tempio in Gerusalemme. Il Dio della pace fissò allora il suo soggiorno sul monte Sionne; il Miracolo dell’Arca si perpetuò; la gloria della Maestà divina si sparse per tutto il santuario e dal luogo più sacro uscirono gli oracoli, ogni volta che il pontefice vi andò per interrogare l’Eterno. A rendere perpetua la memoria di tanti prodigi, e perché la verità fosse trasmessa ai secoli futuri, Mosè, Giosuè, i nostri giudici, i nostri re istituirono festività solenni, e cerimonie pompose; e una intera nazione, numerosa, miscredente e ribelle, unitamente a’ suoi re, a’ suoi sacerdoti e alle sue tribù, ch’erano sovente fra loro divise, concorse pienamente, universalmente e successivamente a rendere testimonianza di questi prodigi con monumenti stabili, e da una in altra generazione perpetuati. Finché gl’Israeliti si mantennero ubbidienti, il Dio degli Eserciti li protesse, e li rese invincibili secondo le sue promesse, ma non sì tosto si allontanarono dall’osservanza della sua legge, che li lasciò in balia dei loro nemici, e senza totalmente abbandonarli li punì, qual padre amoroso che castiga i suoi figli. In ogni secolo diede loro un qualche profeta, che li minacciò, gl’instruì e li corresse. Questi saggi, segregati da tutti i piaceri terreni, rivolsero il pensiero e lo spirito alla sovrana Verità, e gli occhi dell’anima, che dopo l’origine del male erano restati chiusi, si aprirono in questi uomini divini a fine di poter esaminare i consigli della provvidenza, e penetrarne i segreti. Dio fece provare sovente i suoi castighi agli Ebrei indocili e pertinaci, e sovente questo popolo eletto fu richiamato da’ suoi profeti a riconoscere e ad adorare il Dio de’ suoi padri; ma essendosi finalmente abbandonato alla inclinazione malvagia che hanno tutti i mortali di farsi la Divinità materiale, e di formarsi un Dio adattato alle loro passioni, il Dio di Abramo, costante del pari nelle sue promesse che nelle sue minacce, sotto il giogo di Nabuccodonosor ci umiliò da molti anni. Gerusalemme è fatta deserta; il santo Tempio divenne un mucchio di pietre; e noi, raminghi e schiavi in una terra straniera, andiamo vagando sulle rive dell’Eufrate, e deploriamo in silenzio la rimembranza di Sionne. L’Eterno che innalzò questo superbo conquistatore per l’adempimento de’ suoi alti decreti, il depresse nel giorno della sua collera. Voi vedeste la sua punizione e il suo ristabilimento; ma il tempo de’ divini castighi sopra la discendenza di Abramo non è ancora compito. Voi, o Ciro, siete voi dall’Altissimo destinato ad essere il suo liberatore. Gerusalemme tornerà a popolarsi; sarà riedificata la casa di Dio; e la gloria del nuovo tempio, che verrà un giorno ornato dalla presenza del Messia, sorpasserà la gloria del primo.
CiroQuale è dunque, disse allora Ciro, il fine di questa legge, dettata da Dio medesimo con tanta pompa, conservata con tanta cura da’ vostri predecessori, rinnovata e confermata con tanti prodigi de’ vostri profeti? Qual differenza passa fra questa e la religione degli altri popoli? Il fine della legge e de’ profeti, rispose Daniello, è di far conoscere che tutte i creature erano pure nell’origine loro; che tutti gli uomini de’ tempi nostri nascono infermi, corrotti e ignoranti a segno di non conoscere la loro infermità; e che l’umana natura sarà un giorno nella sua prima perfezione ristabilita. I miracoli e i prodigi che vi ho narrato sono i mezzi de’ quali la Sapienza si serve per richiamar l’uomo in se stesso, e per fargli considerare queste tre verità che stanno scritte nel cuore di ognuno, e che si trovano per tutta la natura, e nell’ordine della Provvidenza. La legge di Mosè non è che una spiegazione della legge naturale, e tutti i suoi morali precetti non sono che mezzi, più o meno remoti, per condurci a tutto ciò che può accrescere in noi l’amor verso Dio, e per allontanarci da tutto quello che potrebbe scemarlo. Gli olocausti, le purificazioni e i digiuni, cerimonie tutte del nostro culto, non sono che simboli destinati a rappresentare il sagrifizio delle passioni, e ad abbozzare in immagine quelle virtù che ci abbisognano per rimetterci nella nostra prima parità. Coloro che stanno attaccati alla parola, trovano ne’ nostri sacri libri tali espressioni, che sembrano rappresentare la Divinità come fina cosa umana, tali promesse che non mostrano di avere alcun rapporto colla immortalità, e tali cerimonie ch’essi giudicano indegne della sovrana ragione; ma il vero saggio, penetrando nell’occulto lor senso, vi scopre i misteri di una sapienza sublime. Il fondamento di tutta la legge, e di tutte le profezie è la dottrina di una natura ch’era pura nel suo principio, che fu corrotta dal peccato, e che sarà un giorno rinnovata. Queste tre verità fondamentali sono sotto varie immagini nella nostra storia rappresentate. La schiavitù degl’Israeliti in Egitto, il loro viaggio per il deserto, e il loro arrivo nella terra promessa, figurano la caduta degli spiriti, le loro pene in questa vita mortale e il loro ritorno alla patria celeste. Il senso occulto non distrugge il senso letterale, né la parola della legge esclude l’allegoria; ma empia cosa è ugualmente il negar l’una, e il far poco conto dell’altra. Queste tre idee, le cui tracce si trovano in tutte le religioni, furono tramandate di secolo in secolo, dal diluvio fino a’ dì nostri. Noè le comunicò a’ suoi figli, e la loro posterità le disseminò per tutta la terra; ma passando di bocca in bocca furono alterate, e oscurate dal capriccio de’ poeti, dalla superstizione de’ sacerdoti, e dal differente carattere di ciascun popolo: e se fra gli orientali e fra gli Egizj, più che in qualunque altra parte, ne troviamo alcuni più notabili vestigi, ciò accade perché il nostro primo patriarca Abramo, tanto famoso nell’Asia, le rinnovò in que’ luoghi, e perché il popolo di Dio restò schiavo per molto tempo sulle rive del Nilo. Queste antiche verità però non ci furono conservate nella loro vera purità, che negli oracoli scritti dal nostro legislatore, da’ nostri storici e da’ nostri profeti.
Evvi di più un mistero, che nella sola nostra religione si spiega, e di cui non vi farei parola, se non foste l’unto dell’Altissimo, e il suo servo prescelto per la liberazion del suo popolo. Le profezie annunciano due venute del Messia; l’una nella passione, l’altra nella gloria. Il grande Emmanuele, molti secoli prima di comparire trionfante sopra le nuvole, vivrà sopra la terra in uno stato di umiliazione, ed espierà col sagrifizio di se medesimo la colpa, innanzi di rimetter l’universo nel suo splendor primiero. L’antica tradizione di Noè intorno a questo gran sagrifizio fu quella che fece nascere in tutte le nazioni la prima idea di offerir vittime all’Altissimo, come simboli di questo puro olocausto, ma i vostri sacerdoti, avendo perduto queste prime idee, immaginarono stoltamente, che con lo spargimento del sangue degli animali acquistar si dovesse l’amicizia de’ Numi. Qual rapporto avvi mai fra la divina bontà, e il barbaro sagrifizio degli animali innocenti? L’origine de’ vostri sagrifizi sarebbe un vero enigma, senza le nostre tradizioni intorno il grande Emmanuele.
CiroCiro, interrompendo a questo passo il profeta, così prese a dire, chi è dunque questo grande Emmanuele di cui mi parlate? È egli quegli stesso che i Persiani chiamano Mitra, gli Egizj Oro, i Tirj Adone, e i Greci Giove il condottiere, Apollo ed Ercole, Qual è la sua origine? Quale la sua natura? Il grande Emmanuele, rispose il profeta, è quello che si chiama il desiderato dalle nazioni, noto ad esse per un’antica tradizione coi cui ne ignoraro la origine, e che deturparono in seguito co’ loro nomi favolosi e con le loro immagini impure. Il grande Emmanuele non è, come asseriscono alcuni de’ vostri Filosofi, un Dio subordinato, ma egli è uguale nella gloria al gran Jehovah. Egli non è Semideo, ma possiede in se stesso tutta la pienezza della Divinità. Egli non è una libera produzione del poter dell’Altissimo, ma una necessaria emanazione della sua sostanza. Gli altri esseri tutti, angeli o arcangeli, serafini o cherubini che sieno, e per quanto innalzati si trovino, furono cavati dal nulla e possonci nel nulla ritornare; ma Egli è la pura sorgente che scaturisce dalla gloria dell’Altissimo, lo splendore della luce perpetua, il vero specchio della maestà di Dio e la chiara immagine della sua bontà. Egli ha la medesima sua essenza e gli stessi suoi attributi; ma chi è colui che possa far conoscere chiaramente la sua generazione? Lasciamo di andar investigando temerariamente questi impenetrabili secreti, e contentiamoci di sapere che il desiderato dalle nazioni, comparirà sopra la terra per sopportare le nostre pene e per distruggere le nostre iniquità.
CiroQuale necessità avvi mai, esclamò Ciro, di un sagrifizio sì grande? Dio ha egli bisogno di una vittima sanguinosa per placar l’ira sua? Può egli chiedere un olocausto così crudele? Guardatevi di non cadere nello stesso errore di cui accusaste i nostri sacerdoti. Dio non ha bisogno, rispose Daniello, di un sagrifizio crudele per placar l’ira sua, ma egli mostrerebbe di favorire la ribellion degli spiriti, e sarebbe con se stesso in contraddizione, se perdonasse al colpevole senza dar segni del suo orror per la colpa, e manifestasse tutta la sua immensa bontà senza sostenere i diritti della sua santa giustizia. Il divino Emmanuele si staccherà dal seno paterno, e resterà per lungo tempo sopra la terra dalla sua presenza lontano. La immagine vivente della divina Maestà vestirà la forma di un servo; il Verbo Eterno diventerà un muto bambino, un uomo circondato da miserie, e conoscerà che cosa sia dolore; e lo splendore della increata luce, andrà soggetto a una eclissi, per cui i Serafini e i Cherubini ne tremeranno. Egli annichilandosi farà vedere qual omaggio si debba all’Eterno; colla sua umiliazione farà conoscere quanto ingiusta è la nostra superbia; e co’ suoi patimenti proverà la necessità delle nostre pene espiatorie; e finalmente con la sua agonia, e con le sue indicibili angosce, prodotte dalla nostra malvagità, contrassegnerà l’abborrimento infinito che ha l’Altissimo alla violazione dell’ordine. Con questo mezzo egli concilierà la giustizia colla misericordia Divina, riparerà il torto fatto alle sue leggi, e sarà nel tempo stesso il sagrifizio per il peccato e il modello di ogni virtù. La storia de’ suoi conflitti e de’ suoi trionfi resterà registrata per sempre nel cielo, e sarà un eterno testimonio della sapienza, della bontà e della giustizia Divina. Io veggo da lontano quel giorno, che esser deve la consolazione de’ giusti e la gioia degli angeli. Tutte le potenze celesti interverranno a questo mistero e ne adoreranno la profondità, ma i mortali non ne vedran che l’esterno. Quegli ebrei i quali non attendono che un Messia trionfante non comprenderanno questa prima venuta. I falsi saggi di tutte le nazioni, che sulla sola apparenza delle cose formano il loro giudizio, bestemmieranno contro ciò che non intendono; e il giusto medesimo non vedrà, finché vive, che come in mistero, la bellezza, l’ampiezza e la necessità di questo gran sacrifizio.
Il principe di Persia, colpito dalla forza di questo ragionamento, restò fra mille pensieri dubbioso. Egli comprese che tutti i lumi di Zoroastro, di Ermete, di Orfeo e di Pitagora, non erano che imperfette immagini della tradizione di Noè. Nella Persia, in Egitto, nella Grecia, e in tutte le altre nazioni non aveva trovato che opinioni oscure ed incerte; ma fra gli Ebrei vi erano libri, profezie e miracoli per la loro autorità incontrastabili. Tuttavolta non vedeva la verità che come ingombrata da nuvole, e il suo cuore, che non ne era ancor penetrato, aspettava il compimento delle profezie d’Isaia. Si avvide Daniello da quali dubbi era agitato il suo spirito, e così prese a dire: La religione, o Ciro, non è un sistema di filosofiche opinioni, né una storia di miracoli o di soprannaturali avvenimenti; ma ella è una scienza, che si diffonde per tutto il cuore e lo riempie di sentimenti devoti, scienza che Dio non rivela che alle anime pure. Prima che possiate conoscere i secreti della religione, e sentirne tutta la loro efficacia, conviene che una forza superiore discenda in voi, s’impadronisca di voi, vi tolga a voi stesso. Il vostro cuore sentirà allora quelle verità, che adesso non potete se non travedere col debole lume del vostro intelletto. Il tempo non è ancor giunto, ma già si avvicina. Fino a tanto che arrivi questo felice momento, contentatevi di sapere che il Dio d’Israele vi ama, ch’egli vi precederà, che col mezzo vostro si compirà il suo volere, e che questo compimento sarà una prova incontrastabile di tutte le verità che vi ho annunziato. Voi intanto siate sollecito di verificare i di lui oracoli, ritornate prontamente in Persia, ove si rende necessaria la vostra presenza.
CiroIl giovine eroe partì poco tempo dopo da Babilonia. Nel seguente anno Nabuccodonosor morì, e i di lui successori violarono la giurata alleanza fra i Persiani e gli Assiri. Ciro consumò venti anni interi nel guerreggiare contro i Babilonesi e contro i loro alleati. Le nazioni dell’oriente, ammirando la di lui temperanza nel mezzo de’ suoi trionfi, vennero volontarie a soggettarsi al suo impero; e la sua bontà gli procurò più conquiste, che non lo fecero le armi sue. Sempre invincibile e sempre umano non usò delle sue vittorie che per rendere felici le conquistate nazioni, e non adoprò il suo potere che per mantener la Giustizia e le buone leggi. La presa di Babilonia lo rese finalmente padrone di tutto l’oriente, dall’Indo fino alla Grecia, e dal Caspio fino alla estremità dell’Egitto. Conoscendo allora compiute interamente le profezie d’Isaia, il suo cuore fu penetrato delle verità che da Daniello aveva apprese; ogni nube si dileguò dalla sua vista; riconobbe pubblicamente il Dio d’Israele, e liberò tutti gli Ebrei dalla schiavitù con questo editto solenne che fu pubblicato per tutto il vasto suo impero: Così disse Ciro re di Persia:
Il Signor Iddio pose nelle mie mani tutti i regni della terra, e mi comandò di fabbricargli una casa in Gerusalemme, città che è nella Giudea. 0 voi, che siete il suo popolo, il vostro Dio sia con voi. Andate a Gerusalemme, e fabbricate la Casa del Signor Iddio d’Israele. Egli è il solo Dio.


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