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Wright of Derby, L'alchimista

 

Honoré de Balzac

Claes L’Alchimista
(La Recherche De L’Absolu)
Seconda parte

 

ClaeVerso il 1783, Baldassarre Claes Molina di Nourho, che aveva allora ventidue anni, poteva passare per quello che noi in Francia diciamo un bell’uomo. Era venuto a completare la sua educazione a Parigi dove aveva acquistato i bel modi nella società di madama di Egmont, del conte di Horn, del principe di Arémberg, dell’ambasciatore di Spagna, d’Helvétius, dei Francesi originari del Belgio, o di persone venute da questo paese e che la loro nascita e la loro fortuna poneva fra i grandi signori che in quel tempo dettavan legge. Il giovane Claes vi trovò alcuni parenti ed amici che lo lanciarono nel gran mondo proprio mentre questo gran mondo stava per crollare; ma, come la maggior parte dei giovani, fu sedotto dapprima più dalla gloria e dalla scienza che dalla vanità. Frequentò dunque molto i sapienti e specialmente Lavoisier che allora si imponeva di più all’attenzione pubblica per l’immenso patrimonio di appaltatore che per le sue scoperte chimiche, mentre più tardi il grande chimico doveva far dimenticare il piccolo appaltatore. Baldassarre si appassionò per la scienza che coltivava Lavoisier e ne divenne il più ardente discepolo; ma era giovane, bello come era stato Helvétius e le donne di Parigi gli insegnarono presto a distillare soltanto lo spirito e l’amore. Per quanto si fosse dato allo studio con passione e Lavoisier gli avesse fatto qualche elogio, abbandonò il suo maestro per ascoltare le arbitre del buon gusto dalle quali i giovanotti prendevano le ultime lezioni di saper vivere per modellarsi secondo gli usi dell’alta società, che in Europa costituisce un’unica famiglia.
ClaeIl sogno inebriante del successo durò poco: dopo aver respirato l’aria di Parigi, Baldassarre se ne venne via stanco di una vita vuota che non era adatta né alla sua anima ardente, né al suo cuore amante. La vita domestica, così dolce, così calma e di cui si ricordava al solo nome di Fiandra gli parve più adatta al suo carattere e alle aspirazioni del suo cuore. L’oro di nessun salotto parigino era riuscito a cancellare le armonie della sala oscura e del piccolo giardino nel quale si era svolta la sua infanzia così serena. Bisogna non avere né focolare né patria per rimanere a Parigi. Parigi è la città del cosmopolita o degli uomini che si son dati al mondo, e che lo tengono in pugno per mezzo della scienza., dell’arte, o del potere. Il figlio della Fiandra tornò a Douai, come il piccione di La Fontaine al suo nido: pianse di gioia rientrandovi il giorno in cui si portava in processione Gayant. Questa superstiziosa festa di tutta la città, questo trionfo dei ricordi fiamminghi si era introdotto al tempo della emigrazione della sua famiglia a Douai.
ClaeLa morte di suo padre e quella di sua madre lasciarono la casa Claes deserta; e lo tennero occupato per qualche tempo. Passato il primo dolore sentì il bisogno di ammogliarsi per completare l’esistenza felice, tutte le religioni della quale lo avevano ripreso: volle continuare le peregrinazioni del focolare domestico andando, come i suoi antichi, a cercare moglie sia a Gand sia a Bruges, sia ad Anversa; ma nessuna delle persone che vi trovò gli parve adatta. Aveva certo delle idee sue sul matrimonio, perché fin dalla giovinezza era stato accusato di non seguire la via comune.
ClaeUn giorno presso uno dei suoi parenti di Gand sentì parlare di una signorina di Bruxelles che divenne oggetto di una discussione assai vivace. Gli uni trovavano che la bellezza della signorina di Temninck era annullata dalle sue imperfezioni; altri la vedevano perfetta malgrado i sui difetti. Il vecchio cugino di Baldassarre Claes disse ai suoi convitati che, bella o no, aveva un’anima tale che se lui fosse stato in età da sposarsi l’avrebbe sposata; e narrò come avesse appena rinunciato alla eredità di suo padre e di sua madre per poter permettere al suo giovane fratello un matrimonio degno del suo nome anteponendo la felicità di sui fratello alla sua propria e sacrificandogli tutta la vita. Non sembrava probabile che la signorina di Temninck si sarebbe potuta sposare, vecchia e senza beni, quando giovane ereditiera, non si presentava nessun partito per lei. Qualche giorno più tardi Baldassarre Claes chiedeva in isposa la signorina di Temninck, che aveva allora venticinque anni e della quale si era fortemente innamorato. Giuseppina di Temninck si credette l’oggetto di un capriccio e rifiutò di ascoltare il signor Claes; ma la passione è cosi comunicativa e, per una povera ragazza deforme e zoppa l’aver ispirato l’amore di un uomo giovane e bello, implica tali seduzioni, che acconsentì a lasciarsi corteggiare.
ClaeNon ci vorrebbe un libro intiero per descrivere l’amore di una giovinetta umilmente rassegnata all’opinione che la dichiara brutta, mentre sente in se stessa il fascino irresistibile che è proprio dei sentimenti sinceri? Sono feroci gelosie davanti alla felicità, crudeli velleità di vendetta contro la rivale che ruba uno sguardo, infine emozioni e terrori sconosciuti alla maggior parte delle donne e, che ci perderebbero a essere solo accennati. Il dubbio, così drammatico in amore, sarebbe il segreto di questa analisi, specialmente minuziosa nella quale certe anime ritroverebbero la perduta ma non dimenticata poesia, dei loro primi turbamenti: quelle esaltazioni sublimi in fondo al cuore che il viso non lascia mai trapelare; quel timore di non essere stato compreso e la gioia infinita di esserlo stato; quelle esitazioni dell’anima che si ripiega su se stessa e quei riflessi magnetici che danno agli occhi delle sfumature infinite; quei progetti di suicidio originati da una parola e dissipati da un tono di voce altrettanto profondo del sentimento di cui rivela la persistenza misconosciuta; quei trepidi sguardi che esprimono ardimenti terribili; quelle improvvise voglie di parlare e di muoversi represse dalla loro stessa violenza; quell’eloquenza intima che si esprime con frasi senza senso ma pronunciate con voce commossa; il misterioso effetto di quell’originario pudore dell’animo e di quella divina discrezione che rende generosi nell’ombra e fa trovare un piacere raffinato nelle devozioni ignorate; infine tutte le bellezze dell’amore giovane e le debolezze del suo potere.
ClaeLa signorina Giuseppina di Temninck fu civetta per grandezza d’animo. La coscienza delle sue imperfezioni visibili la rese altrettanto difficile della più bella persona. Il timore di poter un giorno spiacere svegliò la sua fierezza, distrusse la sua confidenza e le diede il coraggio di tener chiuse nel profondo del cuore quelle prime felicità che le altre donne amano mostrare coi loro modi e delle quali si fanno un orgoglioso ornamento. Più l’amore la spingeva vivamente verso Baldassarre e meno essa osava mostrare a lui i suoi sentimenti. Il gesto, lo sguardo, la risposta o la domanda che in una donna bella costituiscono altrettante lusinghe per un uomo, non divenivano in lei delle umilianti speculazioni? Una donna bella può a suo talento essere lei stessa; il mondo le perdona sempre una sciocchezza o una goffaggine; mentre uno sguardo solo può fermare l’espressione più magnifica sulle labbra di una donna brutta, intimidisce i suoi occhi, aggrava la scarsa grazia dei suoi gesti, le dà un fare impacciato. A lei non è ignoto che solo ad essa è proibito di commettere degli errori che ciascuno le rifiuta di rimediare, e d’altronde nessuno gliene fornisce i mezzi. La necessità di essere sempre perfetta non toglie ogni naturalezza e spirito? Ove sono i cuori che sanno essere indulgenti senza una amara e offensiva pietà? Questi pensieri ai quali l’aveva avvezzata la tremenda educazione mondana e quei riguardi che, più crudeli di una ingiuria, aggravano le disgrazie, constatandole, opprimevano la signorina di Temninck, producendole un continuo imbarazzo che le ricacciava nel profondo dell’anima le impressioni più deliziose e raffreddava in lei l’atteggiamento, la parola, lo sguardo. Essa era innamorata di nascosto e non osava essere eloquente o bella che nella solitudine. Infelice alla luce, essa sarebbe stata splendida se avesse potuto vivere solo di notte.
ClaeSpesso, per mettere alla prova questo amore, anche a rischio di perderlo, sdegnava l’abbigliamento che in parte poteva dissimulare i suoi difetti. I suoi occhi di spagnola divenivano affascinanti quando si accorgeva che Baldassarre la trovava bella anche se negletta nel vestire. Tuttavia la diffidenza le rovinava i rari momenti nei quali essa si arrischiava a credere nella felicità. Subito si chiedeva se Claes non cercava di sposarla per avere in casa sua una schiava, se non avesse qualche imperfezione nascosta che l’obbligasse ad accontentarsi di una povera ragazza disgraziata. Queste perpetue ansie davano un pregio inaudito alle ore durante le quali si lasciava andare a credere alla durata, alla sincerità di un amore che doveva vendicarla del mondo. Provocava delicate discussioni esagerando la sua bruttezza per penetrare fino in fondo alla coscienza del suo amante: strappava allora a Baldassarre delle verità poco lusinghiere; ma essa amava l’imbarazzo che gli procurava quando lo conduceva a dire che ciò che amava in una donna era, sopra tutto, un’anima bella e quella devozione che fa i giorni della vita così continuamente felici che, dopo alcuni anni di matrimonio, rende per un marito la più deliziosa donna della terra equivalente alla più brutta. Dopo aver raccolto ciò che vi era di vero nei paradossi che tendono a diminuire il pregio della bellezza, d’un tratto Baldassarre si accorgeva della scortesia di queste affermazioni e scopriva tutta la bontà del suo cuore nella delicatezza di gradazioni intese a provare alla signorina di Temninck che essa era perfetta per lui.
ClaeLa devozione, che forse nella donna è il colmo dell’amore, non mancò a questa giovane perché essa disperò sempre di essere amata; ma fu tentata dalla prospettiva di una lotta nella quale il sentimento doveva avere il sopravvento sulla bellezza; poi trovò della grandezza nel darsi senza credere all’amore; infine la felicità, per quanto potesse essere di corta durata, doveva costarle troppo caro perché essa si rifiutasse dì assaporarla. Queste incertezze, questi combattimenti comunicando il fascino e l’imprevisto della passione a questa creatura superiore, ispiravano a Baldassarre un amore quasi cavalleresco.
ClaeLe nozze ebbero luogo all’inizio dei 1795. I due sposi tornarono a Douai a passare i primi giorni di matrimonio nella casa patriarcale dei Claes, i cui tesori furono aumentati dalla signorina di Temninck che vi aggiunse alcuni bei quadri di Murillo e di Velasquez, i diamanti di sua madre, e i magnifici doni che le inviò il fratello, divenuto duca di Casa Rèal. La sua felicità durò per quindici anni senza la più tenue nube; e come una viva luce permeò fin nei più minuti particolari dell’esistenza.
ClaeLa maggior parte degli uomini hanno delle ineguaglianze di carattere che producono continue dissonanze; rendono così la loro intimità priva dell’armonia, il bell’ideale della famiglia; e per la maggior parte gli uomini son pieni di meschinità che producono contese. L’uno sarà onesto e attivo, ma duro e sgarbato; l’altro sarà buono, ma ostinato; questo amerà sua moglie ma avrà una volontà debole; quest’altro preso dall’ambizione si libererà dei suoi sentimenti come di un debito; se procura le vanità della ricchezza, porta via la gioia di tutti i giorni; infine gli uomini della classe media sono essenzialmente incompleti senza essere del tutto riprovevoli. La gente di spirito è mutevole come un barometro, solo il genio è profondamente buono. Così la felicità pura si trova ai due estremi della scala morale. Soltanto la bestia o l’uomo di genio sono capaci l’uno per debolezza, l’altro per forza di questo amore costante, di questa dolcezza continua nella quale si smussano le difficoltà della vita. Nell’uno è indifferenza e passività; nell’altro indulgenza e continuità del pensiero sublime di cui è interprete e, che deve assomigliarsi nella teoria come nell’applicazione. L’uno e l’altro sono ugualmente semplici e ingenui; soltanto nell’uno è il vuoto, nell’altro la profondità. Così le donne furbe sono molto inclini a prendere una bestia come il migliore surrogato di un grand’uomo. Baldassarre dunque, cominciò ad applicare la sua superiorità nelle più piccole cose della vita. Si compiacque di vedere nella vita coniugale una creazione magnifica e come gli uomini di valore che non tollerano niente di imperfetto volle metterne in luce tutte le bellezze. Il suo spirito variava continua. mente la calma della felicità; il suo nobile carattere metteva tutte le sue cure dal lato della gentilezza. Così per quanto dividesse i principii filosofici del XVIII secolo si prese in casa fino al 1801, malgrado i danni a cui lo esponevano le leggi rivoluzionarie, un prete cattolico per non contrariare il fanatismo spagnolo per il cattolicesimo romano, che la moglie aveva succhiato col latte materno; poi, quando in Francia fu ristabilito il culto, egli accompagnò tutte le domeniche sua moglie alla messa. Non mai la sua affezione abbandonò il carattere della passione. Non mai nella intimità fece sentire quella forza protettrice che le donne amano tanto, perché alla sua sarebbe sembrata pietà. Infine, colla più ingegnosa adulazione, la trattava come una sua uguale e si lasciava sfuggire quei graziosi bronci che un uomo si permette con una bella donna, come per sfidarne la superiorità. Le sue labbra furono sempre adorne dei sorriso della felicità e la sua parola fu sempre piena di dolcezza. Amò la sua Giuseppina per lei e per lui con quell’ardore che implica il continuo elogio delle qualità e delle bellezze d’una donna. La fedeltà, conseguenza più spesso d’un principio sociale, d’una religione o d’un calcolo, presso i mariti, sembrava in lui involontaria e non era priva delle dolci lusinghe di una primavera d’amore. L’unico obbligo del matrimonio che fosse ancora ignoto a questi due esseri ugualmente innamorati, era il dovere, poiché Baldassarre Claes trovò nella signorina di Temninck una costante e completa realizzazione delle sue speranze. Il cuore in lui fu sempre soddisfatto, senza noia, e l’uomo sempre felice. Non soltanto nella nipote di Casa Rèal il sangue spagnolo non mentiva e le faceva un istinto di quella scienza che sa variare il piacere all’infinito. ma essa ebbe anche quella devozione senza confini che costituisce la genialità del suo sesso, come la grazia ne è tutta la bellezza. Il suo amore era fatto di fanatismo cieco che ad un solo cenno del capo l’avrebbe fatta andare felice alla morte. La delicatezza di Baldassarre aveva sublimato in lei i sentimenti più generosi della donna e le ispirava un imperioso bisogno di dare più che non ricevesse. Questo mutuo scambio di felicità alternativamente prodighe poneva visibilmente il principio della vita fuori di essa, e spandeva un crescente amore nelle sue parole, nei suoi sguardi, nelle sue azioni. Da una parte e dall’ altra la riconoscenza fecondava e variava la vita del cuore; come la certezza di esistere l’uno per l’altro escludeva le piccolezze ingrandendo i minimi accessori dell’esistenza. Ma anche la moglie deforme che il marito trova diritta, la moglie zoppa che il marito non vuole altrimenti, o la donna anziana che sembra giovane non sono le più felici creature del mondo femminile? La passione umana non potrebbe andare più in là.
ClaeLa gloria della donna non è quella di far adorare ciò che in lei pare un difetto? Dimenticare che una zoppa non va diritta è il fascino di un momento; ma amarla perché zoppica è la deificazione del suo difetto. Forse nel Vangelo delle donne bisognerebbe incidere questa sentenza: «Felici le imperfette perché loro è il regno dell’amore». Certo la bellezza deve essere una disgrazia per una donna perché questo fiore passeggero entra purtroppo nel sentimento che essa ispira; non si amerebbe come la si sposa una ricca ereditiera? Ma l’amore che ispira o che testimonia una donna priva dei fragili pregi dietro i quali corrono i figli di Adamo è l’amore vero, la passione veramente misteriosa, un ardente amplesso delle anime, un sentimento per il quale il giorno della disillusione non arriva mai.
ClaeQuesta donna possiede delle grazie ignote al mondo, al controllo delle quali si sottrae, essa è bella opportunamente, e raccoglie troppa gloria nel far dimenticare le scie imperfezioni, per non riuscirvi costantemente. Così le passioni più celebri nella storia furono quasi tutte ispirate da donne che il volgo avrebbe trovate difettose. Cleopatra, Giovanna di Napoli, Diana di Poìtiers, la signorina de la Vallière, la signora di Pompadour, e infine la maggior parte delle donne che si son rese celebri per i loro amori non mancano né di imperfezioni, né di infermità; mentre la maggior parte delle donne la cui bellezza ci è tramandata come perfetta hanno visto finir miseramente i loro amori. Questa apparente bizzarria deve aver la sua causa.
ClaeForse l’uomo vive più di sentimento che di piacere? Forse il fascino esclusivamente fisico di una donna bella ha dei limiti mentre il fascino essenzialmente morale di una donna di mediocre bellezza è infinito? Non è la moralità della favola su cui si fondano le «Mille e una Notte»? Moglie di Enrico VIII, ma brutta, avrebbe sfidato la scure e sottomessa l’incostanza del signore. Per una bizzarria abbastanza comprensibile in una ragazza di origine spagnola, la signora Claes era ignorante. Sapeva leggere e scrivere; ma fino all’età di vent’anni, epoca nella quale i genitori la trassero dal convento, non aveva letto che opere ascetiche. Entrando nel mondo ebbe dapprima la sete dei piaceri mondani e non imparò che le frivole scienze dell’abbigliamento; ma si sentì così profondamente umiliata della sua ignoranza che non osava intervenire in nessuna conversazione; così passò per aver poco spirito. Tuttavia questa educazione mistica aveva avuto come risultato di mantenere in lei i sentimenti in tutta la loro forza e di non sciupare la spontaneità del suo spirito.
ClaeSciocca e brutta come una ereditiera agli occhi del mondo, essa divenne di spirito e bella per suo marito. Baldassarre tentò bene, nei primi anni di matrimonio, di dare a sua moglie le conoscenze di cui abbisognava per trovarsi bene nel mondo; ma senza dubbio era troppo tardi; essa non aveva che la memoria del cuore. Giuseppina non dimenticava nulla di quanto le diceva Claes relativamente a loro; essa si ricordava delle minime circostanze della sua vita felice, ma il giorno dopo aveva già dimenticato la lezione della vigilia. Fra altri sposi questa ignoranza sarebbe stata la causa di molte discordie; ma la signora Claes aveva una così ingenua intelligenza della sua passione, amava così piamente e santamente suo marito, e il desiderio di conservare la sua felicità la rendeva così abile che sempre riusciva a sembrar di comprenderlo e raramente lasciava giungere i momenti nei quali la sua ignoranza sarebbe stata troppo evidente.
ClaeD’altra parte, quando due persone si amano abbastanza perché ogni giorno sia per loro il primo della loro passione, esistono in questa feconda felicità dei fenomeni che mutano tutte le condizioni della vita. Non è allora come una fanciullezza incurante di tutto ciò che non sia riso, gioia, piacere? Poi, quando la vita è molto attiva, i focolari molto vivi, l’uomo li lascia ardere senza pensarvi o discutervi, senza misurare né i mezzi né la fine. Mai, del resto, nessuna figlia di Eva comprese meglio della signora Claes la sua parte di moglie. Ebbe quella sottomissione della fiamminga che rende così attraente il focolare domestico e alla quale il suo orgoglio di spagnola conferiva, un significato più alto. Era imponente, sapeva intimare il rispetto anche con uno sguardo nel quale si rifletteva la coscienza del suo valore e della sua nobiltà; ma, dinanzi a Claes tremava, e alla fine aveva finito per porlo così in alto e così vicino a Dio, riferendo a lui tutti ali atti della sua vita e i minimi suoi pensieri che il suo amore non era più disgiunto da una punta di timore rispettoso che lo rendeva ancor più intenso.
ClaeEssa accettò con orgoglio tutte le abitudini della borghesia fiamminga, e pose il suo amor proprio nel rendere la vita domestica grassamente felice e nel mantenere i più piccoli particolari della sua casa nella loro pulizia classica, a non possedere che cose di una bontà assoluta, a fornire la tavola dei cibi più delicati e ad armonizzare intorno a lei tutto colla vita del cuore. Ebbero due figli e due figlie. La maggiore di nome Margherita era nata nel 1796; l’ultimo era un bambino di tre anni di nome Giovanni–Baldassarre. Il sentimento materno fu nella signora Claes quasi uguale al suo amore per lo sposo: per questo nel suo animo, soprattutto negli ultimi giorni della sua vita, si combatté una lotta terribile fra questi due sentimenti ugualmente potenti e dei quali l’uno in un certo senso era divenuto il rivale dell’altro. Le lagrime e il terrore impressi sul suo viso nel momento in cui comincia il racconto del dramma domestico che covava in questa pacifica casa, erano causati dal timore di aver sacrificato i figli al marito.
ClaeNel 1805 il fratello della signora Claes morì senza figli. La legge spagnola si opponeva a che la sorella ereditasse i possedimenti territoriali che erano un appannaggio dei titoli della casa; ma nelle sue disposizioni testamentarie il duca le aveva lasciato circa sessantamila ducati che gli eredi del ramo laterale non le contrastarono. Per quanto il sentimento che la univa a Baldassarre Claes fosse tale da escludere ogni idea di interesse, Giuseppina provò una specie di soddisfazione all’idea di possedere una fortuna uguale a quella del marito e fu felice di potere, a sua volta, offrir qualche cosa, dopo di aver, con tanta nobiltà accettato tutto da lui. Il caso volle dunque, che questo matrimonio, nel quale ì calcolatori vedevano una follia, fosse anche dal lato dell’interesse, eccellente. Fu abbastanza difficile fissare il modo di impiegare questa somma. La casa Claes aveva tanti mobili, quadri, oggetti d’arte e di valore che non pareva quasi possibile aggiungervi cose degne di quelle che già vi si trovavano. Il gusto di famiglia vi aveva accumulato dei tesori. Una generazione s’era messa alla ricerca dei bei quadri; in seguito, la necessità di completare la collezione iniziata aveva reso ereditario il gusto della pittura. I cento quadri che ornavano la galleria che metteva in comunicazione l’appartamento posteriore colle sale di ricevimento situate al primo piano della casa dal lato anteriore, come una cinquantina d’altri, posti nelle sale di ricevimento, avevano richiesto tre secoli di pazienti ricerche. Erano celebri tele di Rubens, di Ruysdael, di Van Dyck, di Terburg, di Gerard Dow, di Teniers, di Mieris, di Paolo Potter, di Wouvermans, di Rembrandt, d’Hobbema, di Cranach, e di Holbein, i quadri italiani e francesi erano in minor numero, ma tutti autentici e importanti. Un’altra generazione aveva avuto il capriccio dei servizi di porcellana cinese o giapponese, un tale Claes aveva avuto la passione dei mobili, un altro della argenteria, infine ognuno aveva avuto la propria mania, una delle più tipiche caratteristiche del fiammingo. Il padre di Baldassarre, ultimo resto della famosa società olandese, aveva lasciato una delle più ricche collezioni di tulipani conosciuti. Oltre a queste ricchezze ereditarie che rappresentavano un capitale enorme e arredavano splendidamente questa vecchia casa, semplice all’esterno come una conchiglia, ma come una conchiglia all’interno madreperlacea e adorna dei più svariati colori, Baldassarre Claes possedeva una casa di campagna nella pianura di Orelties. Invece di basare, come i francesi, le spese sulle rendite, aveva seguito il vecchio costume olandese di non spenderne che un quarto, e duecento ducati all’anno mettevano le sue uscite al livello di quelle dei più ricchi della città. La pubblicazione del Codice Civile diede ragione a questa saggezza. Ordinando la divisione uguale dei beni l’articolo Delle eredità doveva lasciar ogni figlio quasi povero e disperdere un giorno le ricchezze del vecchio museo Claes. Baldassarre, d’accordo colla moglie, collocò i beni di questa in modo da dare a ciascuno dei figli una posizione simile a quella del padre. La famiglia Claes continuò dunque il suo modesto andamento e comperò dei boschi un po’ distrutti dalle guerre che vi avevano avuto luogo, ma che, ben tenuti, dovevano in dieci anni acquistare un valore enorme. L’alta società di Douai che il signor Claes frequentava, aveva saputo apprezzar così bene il bel carattere e le qualità della moglie che, per una specie di tacito accordo essa era esonerata dagli obblighi ai quali la gente di provincia tiene tanto. Durante l’inverno che trascorreva in città essa andava raramente in società ma la gente veniva da lei. Riceveva tutti i mercoledì e dava tre gran pranzi al mese. Tutti avevano capito che essa si trovava meglio in casa sua ove, d’altronde, la trattenevano la passione per suo marito e le cure richieste dall’educazione dei figli. Tale fu, fino al 1809, l’andamento di questa casa che non ebbe niente di conforme alle idee ricevute. La vita di questi due esseri, segretamente piena di amore e di gioia era esteriormente simile ad ogni altra. La passione di Baldassarre Claes per la moglie e che la moglie sapeva rinnovare, sembrava usare, secondo quanto faceva lui stesso notare, della innata costanza, nella coltivazione della felicità che valeva bene quella dei tulipani per i quali aveva un debole fin dall’infanzia; e la dispensava di aver la sua mania, come l’avevano avuta i suoi antenati.
ClaeAlla fine di quest’anno lo spirito e i modi di Baldassarre subirono delle funeste alterazioni, cominciate così naturalmente, che, da principio, la signora Claes non credette necessario di chiederne la ragione. Una sera suo marito si coricò in uno stato di preoccupazione che essa si fece un dovere di rispettare. La sua delicatezza femminile e le sue abitudini sottomesse, le avevano sempre lasciato aspettare le confidenze di Baldassarre la cui fiducia le era garantita da un affetto così sincero, da non lasciar alcuna possibilità alla gelosia. Per quanto certa di avere una risposta nel caso che si fosse permessa una domanda curiosa, essa aveva sempre mantenuto dalle sue prime impressioni della vita, il timore di un rifiuto. D’altronde la malattia morale di suo marito subì delle fasi e non arrivò che per gradi sempre più forti a quella violenza intollerabile che distrusse la sua felicità domestica. Per quanto occupato, Baldassarre rimase ancora per molti mesi loquace ed affettuoso; né il cambiamento del suo carattere si manifestò, per allora, che con frequenti distrazioni. La signora Claes sperò per molto tempo di sapere dal marito il segreto dei suoi lavori: forse non lo voleva svelare che quando riuscissero a risultati buoni, poiché, molti uomini hanno un orgoglio che li spinge a nascondere le loro lotte e a non mostrarti che vittoriosi. Nel giorno del trionfo la felicità domestica doveva dunque tornare a risplendere e tanto più luminosa poiché Baldassarre si accorgeva di questa lacuna amorosa che il suo cuore avrebbe senza dubbio riprovato. Giuseppina conosceva abbastanza suo marito per sapere che egli non si perdonerebbe d’aver reso la sua Pepita meno felice per alcuni mesi. Essa se ne stava dunque silenziosa provando una specie di gioia segreta a soffrire per causa sua e per lui; poiché la sua passione aveva una tinta di questa pietà spagnola che non separa mai la fede all’amore e non conosce il sentimento senza sofferenze. Attendeva un ritorno dell’affetto dicendosi ogni sera «sarà domani», e considerando la sua felicità come un assente. Concepì il suo ultimo bambino in mezzo a queste segrete angosce. Orribile rivelazione dì un avvenire doloroso! In questa circostanza l’amore fu, fra le distrazioni di suo marito, come una distrazione più forte delle altre. Il suo orgoglio di donna, ferito per la prima volta, le fece toccare il fondo dell’abisso sconosciuto che la teneva divisa per sempre dal Claes dei primi giorni. Da questo momento la condizione di Claes peggiorò. Questo uomo dapprima sempre immerso nelle gioie domestiche, che per ore intere giocava coi suoi bambini, che si rotolava con loro sul tappeto della sala di conversazione, o nei viali del giardino, che non sembrava poter vivere che sotto gli occhi neri della sua Pepita, non si accorse della gravidanza di sua moglie, si dimenticò di vivere in famiglia e obliò se stesso. Più la signora Claes tardava a domandargli la causa delle sue preoccupazioni, meno l’osava. A questa idea il sangue le ribolliva e la voce le veniva meno. Alla fine pensò di aver finito di piacere a suo marito e allora fu seriamente preoccupata. Questo timore la dominò, la ridusse alla disperazione, divenne la causa di molte ore tristi e di melanconiche meditazioni. Giustificò Baldassarre a sue spese trovandosi vecchia e brutta: poi intravide un pensiero generoso, ma umiliante per lei, nel lavoro col quale si costruiva una fedeltà negativa e volle restituirgli la sua indipendenza lasciando formarsi uno di quei segreti divorzi, la parola della felicità di cui sembrano godere molte unioni. Tuttavia prima di dare l’addio alla vita coniugale cercò di leggere in fondo a questo cuore, ma lo trovò chiuso.
ClaeLentamente vide Baldassarre divenire indifferente a ciò che aveva tanto amato, trascurare i suoi tulipani in fiore e non pensar più ai figli. Senza dubbio si lasciava traviare da qualche passione estranea agli affetti familiari, ma che, secondo il parere delle donne, non inaridisce meno il cuore. L’amore era addormentato, non spento. Se questa fu una consolazione, la disgrazia non fu diversa. La continuità di questa crisi si spiega con una parola sola, la speranza, segreto dì tutte queste situazioni coniugali. Quando la povera donna giunse ad un grado di disperazione che le diede il coraggio di interrogare suo marito, proprio allora ritrovò qualche dolce istante nel quale Baldassarre le dimostrava che, se era preda di qualche pensiero diabolico, questo lo lasciava qualche volta ritornar se stesso. Durante questi brevi istanti nei quali il suo cielo si illuminava, aveva troppa ansia di godere la sua felicità per turbarla con cose inopportune: poi, quando aveva preso coraggio per interrogar Baldassarre, nel momento stesso in cui stava per parlare subito le sfuggiva, la lasciava bruscamente, o s’immergeva nell’abisso delle sue meditazioni dal quale nulla poteva strapparlo. Tosto la reazione del morale sul fisico cominciò la sua opera rovinosa; impercettibile dapprima, ma sensibile in ogni modo all’occhio di una donna amante che seguiva il segreto pensiero di suo marito nelle sue minime manifestazioni. Spesso faceva fatica a trattenere le lagrime vedendolo, dopo pranzo, sprofondarsi in una poltrona accanto al fuoco, triste e pensieroso, coll’occhio fisso sopra un pannello nero senza accorgersi del silenzio che regnava attorno a lui; osservava con terrore gli insensibili cambiamenti che degradavano questo viso che l’amore aveva reso per lei sublime: ogni giorno la vita dell’anima si ritraeva sempre più e i lineamenti restavano senza espressione alcuna. Qualche volta gli occhi si facevano vitrei, sembrava che la vista si ritirasse per rivolgersi all’interno.
ClaeQuando i ragazzi erano a dormire, dopo qualche ora di silenzio e di solitudine, piena di pensieri angosciosi, se la povera Pepita si arrischiava a chiedere «Amico, soffri?» qualche volta Baldassarre non rispondeva, o se rispondeva ritornava in sé con un sussulto come un uomo svegliato bruscamente, e pronunciava un no secco e cavernoso che cadeva pesantemente sul cuore della donna in ansia. Per quanto volesse tener celata agli amici la strana situazione in cui si trovava, fu costretta tuttavia a parlarne. Secondo l’uso delle cittadine la maggior parte dei salotti avevano fatto della stranezza di Baldassarre il soggetto delle loro conversazioni e già in certi circoli si conoscevano molti dettagli ignorati intorno alla signora Claes. Così, malgrado il silenzio imposto dall’educazione, alcuni amici si mostrarono così preoccupati, che essa si affrettò a giustificare le stranezze di suo marito: «Baldassarre diceva, aveva, un lavoro importante che lo assorbiva, ma il cui risultato doveva costituire un giorno argomento di gloria per la famiglia e per la patria». Questa spiegazione misteriosa lusingava troppo l’ambizione di una città dove più che altrove regna l’amore del paese natale e il desiderio di illustrarlo, per non produrre negli animi una reazione favorevole a Claes. Le supposizioni della moglie avevano, fino ad un certo punto, un qualche fondamento. Molti operai di arti diverse avevano lavorato per molto tempo nel granaio della parte anteriore della casa dove Baldassarre si recava al mattino. Dopo avervi fatto delle soste sempre più lunghe alle quali la moglie e i familiari si erano a poco a poco avvezzati, Baldassarre era giunto a starvi per intere giornate. Ma, dolore ineffabile, la signora Claes venne a sapere da mortificanti rivelazioni, delle sue buone amiche, stupite della sua ignoranza, che suo marito non faceva che comperare a Parigi strumenti di fisica, sostanze preziose, libri, macchine, e si rovinava, dicevano, a cercar la pietra filosofale. Essa doveva pensare ai figli, aggiungevano le amiche, al suo avvenire, e sarebbe stata colpevole se non avesse usato il suo ascendente per distogliere il marito dalla falsa strada su cui si era posto.
ClaeSe la signora Claes ritrovava la sua prontezza di gran dama per far troncare tutte queste assurdità, fu presa, malgrado la sua apparente sicurezza, dal terrore e risolse di abbandonare la via dell’abnegazione. Fece nascere una di quelle situazioni nelle quali una moglie si trova pari al marito; così con meno tremore osò chiedere a Baldassarre la ragione di questo mutamento e il motivo di questo suo continuo star ritirato. Il fiammingo corrugò le sopracciglia e allora rispose:
Clae– Mia cara, tu non capiresti niente.
Giuseppina un giorno insistette per conoscere questo segreto lamentandosi con dolcezza di non essere a parte di tutto il pensiero di colui, di cui divideva la vita:
Clae– Siccome ciò t’interessa tanto –– rispose Baldassarre tenendo la moglie sulle ginocchia e carezzandole i capelli neri–– ti dirò che mi son ridato alla chimica e sono l’uomo più felice del mondo.
ClaeDue anni dopo l’inverno nel quale Claes era divenuto un chimico, la sua casa aveva mutato aspetto. Sia che la gente si seccasse della perpetua distrazione dello scienziato o temesse di disturbarlo, sia che le sue segrete angosce avessero reso la signora Claes meno piacevole, essa non vide più che gli intimi. Baldassarre non si recava in nessun posto, si rinchiudeva per tutta la giornata nel suo laboratorio, ripassava qualche volta la notte e non compariva fra i familiari che all’ora del pranzo. Dopo il secondo anno cessò di trascorrere la bella stagione in campagna e sua moglie non volle più abitarvi sola. Qualche volta Baldassarre usciva di casa, passeggiava e non rientrava che il giorno dopo, lasciando la signora Claes per tutta la notte in preda a inquietudini mortali: dopo averlo fatto cercare inutilmente in una città le cui porte erano chiuse alla sera secondo l’uso delle piazzeforti, essa non poteva mandar nessuno alla sua ricerca per la campagna. La disgraziata donna non aveva più allora nemmeno quella speranza mista ad angoscia che dà l’attesa, e soffriva fino al giorno dopo; Baldassarre che aveva dimenticato l’ora della chiusura delle porte, arrivava pacifico il giorno seguente senza immaginare le torture che la sua distrazione procurava alla famiglia; e la gioia di rivederlo era causa per sua moglie di una crisi altrettanto pericolosa delle sue apprensioni: taceva, non osava interrogarlo, poiché alla prima domanda che aveva fatto aveva risposto con un’aria sorpresa:
Clae– Ebbene non si può nemmeno andare a passeggio?
ClaeLa passione non inganna. Le inquietudini della signora Claes giustificarono dunque le chiacchiere che essa si era sforzata di smentire. La sua giovinezza l’aveva avvezzata a conoscere la pietà corretta del mondo: per non subirla una seconda volta si richiuse ancor più nella cerchia della sua casa che tutti disertarono, anche gli ultimi amici. Il disordine delle vesti sempre degradante per un uomo della classe superiore, divenne tale in Baldassarre che fra tante cause di dolore non fu una delle minori che afflisse la moglie abituata alla raffinata pulizia dei fiamminghi.
ClaeD’accordo con Lemulquinier, cameriere di suo marito, Giuseppina per qualche tempo pose un riparo ala rovina quotidiana degli abiti, ma bisognò rinunciare. Il giorno stesso in cui all’insaputa di Baldassarre, nuovi abiti erano stati sostituiti a quelli macchiati, strappati o bucati, egli li riduceva in brandelli. Questa donna felice per quindici anni, e nella quale la gelosia non si era mai risvegliata, si trovò tutto ad un tratto a non essere più niente, in apparenza, nel cuore ove un tempo regnava. Spagnola d’origine, il sentimento della donna spagnola si risvegliò in lei quando scoprì una rivale nella scienza che le rapiva suo marito: i tormenti della gelosia le straziarono il cuore, rinnovellandole l’amore. Ma che fare contro la scienza? Come combatterne l’incessante potere, tirannico e crescente? Come uccidere una rivale invisibile? Come può una donna il cui potere è per natura limitato, lottare con un’idea i cui godimenti sono infiniti e le cui attrattive son sempre nuove? Che cosa tentare contro la civetteria delle idee che si rinnovano, rinascono più belle nelle difficoltà e trascinano un uomo così lungi dal mondo da dimenticare anche gli affetti più cari? Un giorno infine malgrado gli ordini severi che Baldassarre aveva dati, sua moglie volle almeno non abbandonarlo, chiudersi con lui in quel solaio dove si ritirava, combattere corpo a corpo colla rivale assistendo suo marito nelle lunghe ore che dedicava a questa terribile amante. Volle segretamente introdursi in quel misterioso laboratorio di seduzione e conquistare il diritto di rimanervi sempre. Tentò dunque di dividere con Lemulquinier il diritto di entrare nel gabinetto; ma per non farlo testimonio di una disputa che temeva, attese un giorno nel quale il marito facesse a meno del cameriere.
ClaeDa qualche tempo studiava l’andirivieni di questo con una impazienza odiosa; non sapeva lui tutto quello che essa desiderava di conoscere, ciò che suo marito le nascondeva e che essa non osava chiedergli? Essa trovava Lemulquinier più favorito di lei, essa, la sposa!
ClaeVi andò dunque, tremante e quasi felice; ma, per la prima volta in vita sua, conobbe la collera di Baldassarre; essa aveva appena socchiusa la porta che quegli balzò su di lei, la prese, la rigettò violentemente sulla scala dove poco mancò non ruzzolasse fino in fondo.
Clae– Dio sia lodato, sei viva! –, gridò Baldassarre rialzandola.
ClaeUna maschera di vetro si era spezzata fragorosamente sulla signora Claes, che vide suo marito pallido, disfatto, spaventato.
Clae– Mia cara, ti avevo proibito di venir qui, – disse sedendosi su di un gradino della scala come un uomo abbattuto. – I santi ti hanno salvata dalla morte. Chissà per qual caso i miei occhi sono corsi alla porta: poco mancò che non morissimo.
Clae– Sarei ben stata felice – disse essa.
Clae– La mia esperienza è mancata – riprese Baldassarre. – Solo a te posso perdonare il dolore che mi dà questa crudele delusione. Forse avrei scomposto l’azoto!... Va’, torna alle tue faccende.
ClaeBaldassarre ritornò nel suo laboratorio.
«Forse avrei scomposto l’azoto!» si disse la povera donna rientrando nella sua camera ove scoppiò in lagrime.

(Fine della seconda parte)

 


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