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Wright of Derby, L'alchimista

 

Honoré de Balzac

Claes L’Alchimista
(La Recherche De L’Absolu)
Terza parte

 

Questa frase era incomprensibile per lei. Gli uomini avvezzi per la loro educazione a comprendere tutto, non sanno come può essere orribile per una donna il non poter comprendere il pensiero di colui ch’essa ama.
Più indulgenti di noi, queste divine creature non ci avvertono se il linguaggio della loro anima resta incompreso: temono di farei sentire la superiorità dei loro sentimenti e nascondono allora i loro dolori con tanta gioia quanta ne mettono nei loro piaceri misconosciuti; ma, più ambiziose in amore di quanto non siamo noi, vogliono sposare più che il cuore dell’uomo, ne vogliono anche tutto il pensiero. Alla signora Claes il non capir nulla della scienza di cui s’occupava suo marito procurava un dispetto più vivo di quello causato dalla bellezza di una rivale. Una lotta fra donna e donna lascia a quella che ama di più la superiorità di amar meglio; ma questo dispetto rivelava una impotenza e umiliava tutti i sentimenti che ci aiutano a vivere. Giuseppina era ignorante! Si creava per lei una situazione nella quale la sua ignoranza la teneva divisa da suo marito. Infine, ultima tortura e la più viva, egli si trovava spesso tra la vita e la morte, correva dei pericoli lontano da lei e vicino a lei, senza che essa dividesse, senza che essa li conoscesse!
Era un inferno, una prigione morale senza via d’uscita, senza speranza. La signora Claes volle almeno conoscere le seduzioni di questa scienza, e si mise in segreto, a studiare la chimica sui libri; la famiglia si trovò rinchiusa come in un chiostro. Tali furono le successive gradazioni attraverso alle quali la sciagura fece passare la casa Claes prima di ridurla a quella specie di morte civile da cui si trova colpita nel momento in cui questa storia comincia.
Questa situazione tesa si complicò. Come tutte le donne appassionate la signora Claes era di un disinteresse inaudito: quelli che amano davvero sanno come il danaro in confronto al sentimento sia ben poco e con quanta difficoltà si accompagni all’amore. Tuttavia Giuseppina venne a sapere, non senza una crudele stretta al cuore, che suo marito doveva trecentomila lire, ipotecate sulla sua proprietà. L’autenticità dei contratti confermava le sue inquietudini, le voci e le chiacchiere della città; e la signora Claes giustamente impensierita, fu costretta, lei, così fiera, a interrogare il notaio di suo marito, a metterlo a parte dei suoi dolori o a lasciarglieli indovinare, per sentire alla fine questa umiliante domanda:
– Come, il signor Claes non vi ha ancor detto nulla?
Fortunatamente il notaio di Baldassarre gli era quasi parente, ed ecco in che modo: il nonno del signor Claes aveva sposato una Pierquin di Anversa, della stessa famiglia dei Pierquin di Douai. Da questo matrimonio in poi i Pierquin, per quanto estranei ai Claes, li trattavano da cugini. Il signor Pierquin, giovane di ventisei anni, da poco succeduto al padre nell’ufficio, era la sola persona che avesse accesso alla casa Claes. La signora viveva da parecchi mesi in un isolamento così completo che il notaio fu costretto a confermarle la notizia del disastro finanziario, già noto in tutta la città e le disse che, probabilmente, suo marito era debitore di grosse somme alla casa che gli forniva i prodotti chimici. Dopo di essersi informata della sostanza e del credito che il signor Claes godeva, questa casa accettava tutte le ordinazioni e faceva le spedizioni senza preoccupazioni malgrado la vastità dei crediti. La signora Claes incaricò Pierquin di chiedere la nota delle commissioni ordinate da suo marito e due mesi dopo i signori Protez Chiffreville, fabbricanti di prodotti chimici, inviarono un conto che saliva a centomila franchi. La signora Claes e Pierquin studiarono questa fattura con sorpresa crescente: se molti articoli notati in termini scientifici o commerciali riuscivano per loro incomprensibili, furono spaventati nel veder messi in conto delle commissioni di metalli, di diamanti di ogni specie, ma in piccole quantità. Il totale del debito era facilmente spiegabile colla quantità di merce, colle precauzioni richieste dal trasporto di certe sostanze e dall’invio di certe macchine preziose, col prezzo esorbitante di molti prodotti che non si ottenevano che con difficoltà, o che la loro rarità rendeva cari, finalmente col valore degli strumenti di fisica o di chimica costruiti secondo le indicazioni del signor Claes. Il notaio, nell’interesse del cugino, aveva chiesto informazioni sui Protez e Chiffreville e l’onestà di questi negozianti doveva rassicurare sulla moralità della loro condotta col signor Claes che, d’altra parte, tenevano al corrente dei risultati ottenuti dai chimici di Parigi per evitargli spese. La signora Claes pregò il notaio di tener nascosto alla società di Douai la natura di questi acquisti che sarebbero stati tacciati di follia; ma Pierquin le rispose che per non diminuire il credito di cui godeva il signor Claes aveva ritardato fino all’ultimo momento le obbligazioni registrate dal notaio, che l’importanza delle somme prestate su fiducia dai suoi clienti aveva alla fine reso necessario. Mise a nudo la estensione della piaga, dicendo a sua cugina che se essa non trovava il modo di impedire a suo marito di sperperare così pazzamente il suo denaro, in sei mesi i beni patrimoniali sarebbero stati gravati di ipoteche che ne avrebbero superato il valore. Quanto a lui, aggiungeva, le osservazioni che aveva mosse a suo cugino con tutti i riguardi dovuti ad un uomo che godeva di un credito cosi meritato non avevano avuto il minimo effetto.
Una volta per tutte Baldassarre gli aveva risposto che lavorava per la gloria e la fortuna della famiglia. Così a tutte le torture sentimentali che la signora Claes aveva sopportato da due anni, ciascuna delle quali si aggiungeva all’altra aumentando il dolore presente con tutti i passati, si univa ora un timore terribile, incessante che le rese spaventoso l’avvenire.
Le, donne hanno presentimenti la cui esattezza è prodigiosa. Perché in genere tremano più che non sperino quando sono in giuoco interessi vitali? Perché esse non han fede che per le grandi idee del futuro religioso? Perché indovinano tanto bene le catastrofi finanziarie o le crisi dei nostri destini? Forse il sentimento che le stringe all’uomo amato ne fa loro pesare meravigliosamente le forze, stimare le facoltà, conoscere i gusti, le passioni, i vizi, le virtù; l’assiduo studio di cause alla cui presenza si trovano continuamente, dà loro quel fatale potere di prevederne gli effetti in tutte le situazioni possibili. Ciò che vedono al presente permette loro di presumere dell’avvenire con una abilità naturalmente spiegata dalla perfezione del loro sistema nervoso, che rende loro possibile di cogliere i sintomi più lievi del pensiero e dei sentimenti. Tutto in esse vibra al contatto colle grandi emozioni morali. Esse o sentono o vedono. Ora, per quanto disgiunta da più di due anni da suo marito, la signora Claes presentiva la perdita dei suoi beni. Aveva apprezzato l’impeto ragionevole, l’inalterabile costanza di Baldassarre; se era vero che cercava dell’oro doveva gettare con perfetta noncuranza l’ultimo pezzo di pane nel suo crogiolo: ma che cosa cercava?
Fino a quel momento il sentimento materno e l’amore coniugale s’erano fusi così bene nel cuore di questa donna che mai i suoi figli, ugualmente amati da lei e da suo marito, s’erano frapposti fra di loro. Ma, d’un tratto essa cominciai ad essere qualche volta, più madre che sposa, per quanto fosse più spesso sposa che madre. E tuttavia, benché potesse essere disposta a sacrificare la sua fortuna e anche i suoi figli alla felicità di quello che l’aveva scelta, amata, adorata e per il quale essa era ancor l’unica donna che ci fosse al mondo, i rimorsi che le cagionava il suo debole amore materno la tenevano in orribili alternative. Così come moglie soffriva nel suo amore, come madre soffriva nei suoi figli, e come cristiana per tutti. E taceva soffocando nel suo animo queste tempeste. Suo marito, solo arbitro della sorte della famiglia, era padrone di regolarne a suo talento il destino, non ne doveva render conto che a Dio. D’altronde poteva essa rimproverargli l’uso dei suoi beni dopo il disinteresse che aveva dimostrato in dieci anni di matrimonio?
Era essa giudice dei suoi disegni? Ma la sua coscienza in accordo col sentimento e le leggi le diceva che i genitori sono i depositari dei beni e non hanno il diritto di distruggere il benessere materiale dei figli. Per non risolvere questi ardui problemi essa preferiva chiudere gli occhi come fanno quelli che rifiutano di guardare nell’abisso in fondo al quale sanno di dover precipitare. Da sei mesi suo marito non le aveva più dato il danaro per le spese di casa. Fece vendere segretamente a Parigi i ricchi gioielli di diamanti, che suo fratello le aveva donato il giorno delle nozze e introdusse in casa la più stretta economia. Licenziò la governante dei ragazzi e anche la balia di Giovanni. Un tempo il lusso delle carrozze era ignoto alla borghesia così modesta nei buoi costumi e insieme così fiera nei suoi sentimenti; niente era stato previsto nella casa Claes per questa invenzione moderna; Baldassarre era obbligato a tenere la scuderia e la rimessa in una casa di fronte; le sue occupazioni non gli permettevano più di sorvegliare questa parte della casa che riguarda essenzialmente gli uomini: la signora Claes abolì la gravosa spesa degli equipaggi e dei servitori che il suo isolamento rendeva inutili e, malgrado la bontà di queste ragioni, essa non tentò di colorire le sue riforme con dei pretesti. Finora i fatti avevano smentito le sue parole e il silenzio era quello che meglio si conveniva.
Il mutato andamento dei Claes non era giustificabile, in un paese dove, come in Olanda, chiunque spende tutta la propria rendita passa per un pazzo. Soltanto, siccome sua figlia maggiore Margherita stava per compiere i sedici anni, Giuseppina sembrò desiderare di farle fare buone relazioni e porla in società come si conveniva ad una ragazza imparentata coi Molina, coi Van Ostrorm–Temninck e coi Casa Rèal.
Qualche giorno prima di quello in cui comincia questa storia, il danaro ricavato dalla vendita dei diamanti era finito. Nello stesso giorno, alle tre conducendo i ragazzi a vespro, la signora Claes aveva incontrato Pierquin, che veniva a trovarla e che l’aveva accompagnata fino a S. Pietro parlandole a bassa voce della sua situazione.
– Cugina mia – disse, – io non saprei nascondervi il pericolo che correte e mancar dal pregarvi di parlarne a vostro marito, senza venir meno all’amicizia che mi lega alla vostra famiglia. Chi, se non voi, può trattenerlo sull’orlo dell’abisso verso il quale vi incamminate? Le rendite dei beni ipotecati non sono sufficienti a pagare gli interessi delle somme prese a prestito; così voi oggi siete senza rendita. Tagliare i boschi che possedete sarebbe come togliervi l’unica àncora di salvezza che vi resta per il futuro. Mio cugino Baldassarre in questo momento è debitore di trentamila lire alla casa Protez e Chiffreville di Parigi; con che cosa le pagherete? con che cosa vivrete? E che sarà di voi se Claes continua a chiedere reagenti, lambicchi, pile di Volta e altre sciocchezze? Tutta la vostra sostanza meno la casa e i mobili se ne è andata in gas e in carbone. Quando, l’altro ieri, si è trattato di mettere l’ipoteca sulla casa sapete che cosa ha risposto Claes? "Diavolo! " Ecco il primo segno di ragione che ha dato da tre anni in qua.
La signora Claes strinse dolorosamente il braccio di Perquin, alzò gli occhi al cielo e disse:
– Mantenete il segreto!
Malgrado la sua devozione la povera donna annientata da queste parole di una chiarezza lampante, non poté pregare, ma se ne rimane sulla sua sedia fra i figli, apri il libro da messa, ma non ne voltò una pagina: si era concentrata nei suoi pensieri così profondamente come il marito nelle sue meditazioni. L’onore spagnolo, l’onestà fiamminga facevano sentire nella sua anima una voce altrettanto potente di quella dell’organo. La rovina dei suoi figli era ormai avvenuta. Fra loro e l’onore del padre non c’era più da esitare. La necessità di una lotta prossima fra lei e suo marito la spaventava; ai suoi occhi egli era così grande, così imponente, che il pensiero solo della sua collera la metteva in agitazione come l’idea della maestà divina. Stava dunque per uscire da questa costante sottomissione nella quale essa era santamente rimasta come sposa. L’interesse dei figli l’avrebbe costretta a ostacolare nei suoi gusti un uomo che essa idolatrava. Non sarebbe stato necessario ricondurlo di frequente a questioni positive quando egli si trovava nelle alte regioni della scienza, trarlo violentemente da un ridente avvenire per riportarlo a ciò che la realtà presenta di più odioso per gli artisti e per i grandi uomini? Per lei, Baldassarre Claes era un gigante della scienza, un uomo pieno di gloria; non poteva averla dimenticata che per le migliori speranze; poi era di così profondo buon senso. L’aveva sentito parlare con tanto acume di ogni cosa che doveva essere sincero quando diceva che lavorava per la gloria e la fortuna della famiglia. L’amore di quest’uomo per sua moglie e per i suoi figli non era solo immenso ma infinito. Questi sentimenti non avevano potuto scomparire, s’erano senza dubbio ingranditi riproducendosi sotto un’altra forma. Essa, così nobile, così generosa e così timida, avrebbe dovuto far risuonare continuamente alle orecchie di questo grand’uomo la parola danaro e il tintinnio del danaro; mostrargli le piaghe della miseria, fargli udire i lamenti della povertà, quando stava per udire le voci melodiose della fama! Forse l’affetto che Baldassarre nutriva per lei si sarebbe diminuito? Se non avesse avuto figli sarebbe andata incontro con coraggio e con gioia al nuovo destino che le creava suo marito. Le donne cresciute nella ricchezza sentono subito il vuoto che sta sotto ai godimenti materiali, e quando il loro cuore, più stanco che inaridito, ha fatto loro provare la felicità che offre un continuo scambio di sentimenti veri, non indietreggiano dinanzi ad una esistenza mediocre se questa esistenza si confà all’essere dal quale si sentono amate. Le loro idee, i loro piaceri sono sottoposti ai capricci di questa vita fuori dalla loro; per esse il solo futuro pericoloso è quello di perderla. In questo momento, dunque, i figli separavano Pepita dalla sua vera vita, come Baldassarre s’era separato da lei per la scienza; così, quando di ritorno dai vespri si fu abbandonata nella poltrona, mandò via i figli esigendo da loro il massimo silenzio; poi fece chiedere a suo marito di venire da lei, ma, per quanto Lemulquinier, il vecchio cameriere, avesse insistito per distoglierlo, dal suo laboratorio, Baldassarre vi era rimasto. La signora Claes aveva avuto dunque l’agio di riflettere. Ed essa pure era rimasta sopra pensiero senza badare né all’ora né al tempo, né al giorno. L’idea di essere debitrice di trentamila lire e di non aver da pagarle risvegliò i dolori passati ricollegandoli a quelli del presente e dell’avvenire, ma questo insieme di interessi, di idee, di sensazioni la trovò troppo debole e ruppe in pianto. Quando vide entrare Baldassarre il cui aspetto le parve più terribile, più concentrato, più distratto del solito, quando non ebbe risposta, restò dapprima come affascinata sotto l’immobilità di quello sguardo vuoto e cieco, dalle idee vulcaniche che rivelava quella fronte calva: e sotto questa impressione desiderò di morire. Ma quando udì la voce indifferente esprimere un desiderio scientifico proprio nel momento in cui essa aveva il cuore infranto, il coraggio le ritornò; risolse di lottare contro questo spaventoso potere che aveva tolto a lei un amante, ai figli un padre, alla casa una fortuna, a tutti la felicità. Tuttavia non poté reprimere la continua ansia che la teneva inquieta perché in tutta la sua vita non aveva mai affrontato una scena così solenne. Questo terribile momento non conteneva in germe l’avvenire, e non riassumeva tutto quanto il passato?
A questo punto i deboli e i timidi o coloro ai quali l’intensità delle loro sensazioni ingrandisce le minime difficoltà della vita, gli uomini che dinanzi agli arbitri del loro destino sono colti da un tremito involontario, possono tutti immaginare la folla di pensieri che turbinavano nella testa di questa donna e i sentimenti sotto il peso dei quali il cuore si sentì oppresso, quando il marito si diresse lentamente verso la porta del giardino. La maggior parte delle donne conoscono le angosce dell’intima decisione contro la quale la signora Claes si dibatteva. Così quelle il cui cuore non è stato violentemente scosso che per confessare al marito qualche spesa eccessiva o debiti fatti nel negozio di mode, comprenderanno come i battiti del cuore si rallentano quando si tratta di tutta la vita. Una bella donna ha un certo prestigio ai gettarsi ai piedi del marito; negli atteggiamenti del suo dolore trova delle risorse; mentre la coscienza dei difetti fisici aumentava ancor più i terrori della signora Claes. Così quando vide Baldassarre pronto ad uscire, il suo primo impulso fu bene quello di slanciarsi verso di lui: ma un crudele pensiero frenò il suo slancio: essa stava per porsi ritta davanti a lui! Non doveva sembrar ridicola ad un uomo che non essendo più sotto il fascino dell’amore poteva vedere con chiarezza? Giuseppina piuttosto che diminuire il suo fascino di donna avrebbe perduto volentieri il tutto, e beni e figli. Volle così eliminare ogni situazione sfavorevole in un’ora così solenne e chiamò a voce alta:
– Baldassarre!
Egli si volse macchinalmente e tossì; ma senza badare alla moglie andò a sputare in una di quelle cassettine poste ogni tanto lungo il pavimento come in tutti gli appartamenti dell’Olanda e del Belgio. Quest’uomo che non aveva pensieri per nessuno non dimenticava le sputacchiere, tanto questa abitudine era inveterata. Per la povera Giuseppina, incapace di rendersi conto di questa bizzarria, la cura assidua che suo marito aveva per il mobilio le procurava sempre un’angoscia terribile; ma in questo momento fu così violenta che la fece uscire dai limiti e le fece gridare con un tono pieno d’impazienza in cui si facevano sentire tutti i suoi sentimenti feriti:
– Ma signore, parlo con voi!
– Che cosa vuol dire ciò? – rispose Baldassarre volgendosi e fulminando la moglie con uno sguardo in cui la vita ritornava e che fu per lei come un colpo di folgore.
– Scusate, amico.... – disse impallidendo.
Volle alzarsi e tendergli la mano, ma ricadde senza forze.
– Muoio – disse con voce spezzata dai singhiozzi.
A questa vista Baldassarre, come tutti i distratti, ebbe una pronta reazione e indovinò per così dire il segreto di questa crisi: prese subito fra le braccia la signora Claes, apri la porta che metteva nella piccola anticamera e sali così rapidamente la vecchia scala di legno che l’abito della moglie impigliatosi nella gola di un mostro che formava la balaustra si strappò con gran fracasso. Baldassarre diede col piede un colpo alla porta del vestibolo comune ai loro appartamento per aprirla, ma trovò la camera della moglie chiusa. Posò delicatamente Giuseppina su di una poltrona dicendole:
– Mio Dio, dov’è la chiave?
– Grazie, amico, – disse la signora Claes aprendo gli occhi, – ecco la prima volta, dopo tanto tempo, che mi son sentita così vicina al tuo cuore.
– Buon Dio! – esclamò Claes, – la chiave? Ecco i servi....
Giuseppina gli fece segno di prendere la chiave che era appesa ad un nastro lungo la sua tasca. Dopo aver aperta la porta, Baldassarre depose la moglie sul divano, uscì per impedire ai servi spaventati di salire dando loro l’ordine di servir subito il pranzo e tornò con ansia vicino alla moglie.
– Che hai, mia cara? – disse sedendosi vicino a lei e baciandole una mano.
– Ma non ho più niente, – rispose quella: non soffro più. Solo vorrei avere il potere di Dio per metter ai tuoi piedi tutto l’oro della terra.
– Perché dell’oro?
Ed attirò a sé la moglie, la strinse, la baciò di nuovo sulla fronte ed aggiunse:
– Non mi dai tu il massimo tesoro amandomi come mi ami, cara e preziosa creatura?
– Oh, mio Baldassarre, perché non cancellerai a tutti le angosce della nostra vita colla tua voce come tu cancelli la tristezza dal mio cuore? Infine, lo vedo, tu sei sempre lo stesso.
– Di quali angosce parli, cara?
– Ma noi siamo rovinati, amico.
– Rovinati? – ripetè lui.
E sorridendo accarezzò la mano della moglie trattenendola fra le sue, e con una voce dolce che da molto tempo non si udiva, disse:
– Ma domani, angelo mio, la nostra fortuna sarà forse senza limiti. Ieri cercando segreti ben più importanti, credo di aver trovato il modo di cristallizzare il carbone, la sostanza del diamante... Oh, moglie cara, fra qualche giorno mi perdonerai le mie distrazioni! Sembra che io sia distratto qualche volta. Non ti ho trattata male poco fa? Abbi pazienza con un uomo che non ha mai cessato di pensare a te, i cui lavori sono pieni di te, di noi...
– Basta, basta, – ella disse: – parleremo di tutto ciò questa sera, amico mio. Prima soffrivo per troppo dolore; ora soffro per troppa gioia.
Essa non si aspettava di rivedere quel viso animato da un sentimento così tenero per lei come un tempo, di riudire quella voce sempre dolce come una volta, di ritrovare tutto ciò che credeva perduto.
– Questa sera – egli rispose – noi parleremo, lo desidero. Se mi sprofondassi in qualche meditazione ricordami questa promessa. Questa sera voglio abbandonare i miei calcoli, i miei lavori, e, lasciarmi prendere da tutte le gioie della famiglia, dalle voluttà del cuore; poiché, Pepita, ne ho tanto bisogno, ne ho sete!
– Mi dirai che cosa cerchi, Baldassarre?
– Ma, povera bambina, tu non capiresti niente.
– Lo credi?... Eh! amico mio, ecco che da quasi quattro mesi studio la chimica per poterne parlare con te. Ho letto Furcroy Lavoisier, Chaptal, Nollet, Rouelle, Berthollet, Gay-Lussac, Spallanzani, Leuwenhoek, Galvani, Volta, tutti i libri infine che riguardano la scienza che tu adori. Via, mi puoi dire i tuoi segreti.
– Oh, tu sei un angelo – esclamò Baldassarre cadendo alle ginocchia della moglie e versando lagrime di tenerezza che la fecero trasalire – noi ci comprendiamo in tutto!
– Ah! – essa riprese – mi getterei nel fuoco dell’inferno che tiene accesi i tuoi fornelli per sentire questa parola dalla tua bocca e per vederti così.
Sentendo i passi della figlia nell’anticamera vi si slanciò:
– Che vuoi, Margherita? - disse alla figlia maggiore.
– Cara mamma, è arrivato il signor Pierquin. Se rimarrà a pranzo ci vorrà della biancheria e questa mattina avete dimenticato di darne...
La signora Claes trasse di tasca un mazzo di chiavette, le consegnò alla figlia indicandole gli armadi in legno che erano allineati nell’anticamera e le disse:
– Guarda figlia mia a destra nei servizi Gaudegorge. Siccome il mio caro Baldassarre ritorna a me oggi me lo restituirai tutto intero? disse rientrando e dando alla sua fisionomia una espressione di dolce malizia. – Amico mio, va’ in camera tua e fammi il piacere di vestirti: abbiamo Pierquin a pranzo. Vediamo, lascia questi abiti strappati. Toh, Guarda queste macchie! Non è l’acido muriatico o solforico che ha orlato di giallo tutti questi buchi? Andiamo, fatti giovane, ti manderò Mulquinier quando mi sarò mutata d’abito.
Baldassarre volle passare in camera sua dalla porta di comunicazione, ma aveva dimenticato che era chiusa dalla sua parte. Usci dall’anticamera.
– Margherita, metti la biancheria su d’una poltrona e vieni a vestirmi; non ho voglia di Marta – disse la signora Claes chiamando la figlia.
Baldassarre aveva preso Margherita, l’aveva rivolta verso di lui con un moto di allegria dicendole -
– Buongiorno, figlia mia! sei ben carina oggi con questo abito di mussolina e con questa cintura rosa!
Poi la baciò in fronte e le strinse la mano.
– Mamma, il papà mi ha abbracciato! - disse Margherita entrando da sua madre – sembra molto contento e felice.
– Figlia mia che uomo grande è tuo padre, son tre anni quasi che lavora per la gloria e per la fortuna della sua famiglia e crede di aver raggiunto lo scopo delle sue ricerche. Questo giorno deve essere per noi una bella festa....
– Cara mamma – rispose Margherita – i nostri servitori erano così tristi nel vederlo preoccupato che non saremo soli a godere...
– Oh, mettetevi un’altra cintura, questa è troppo sciupata.
– Sia, ma spicciamoci, voglio parlare a Pierquin. Dov’è?
– In sala, si diverte con Giovanni.
– Dove sono Gabriele e Felicita?
– Si sentono in giardino.
– Ebbene scendi subito: sta’ attenta che non sciupino i tulipani; tuo padre non li ha ancor visti quest’anno, e oggi alzandosi da tavola potrebbe volerli vedere. Di a Mulquinier di portare al papà tutto ciò che può aver bisogno per il suo abbigliamento.
Quando Margherita fu uscita la signora Claes gettò una occhiata ai figlioli dalla finestra della sua camera che dava nel giardino e li vide intenti a guardare uno di quegli insetti colle ali verdi lucenti e picchiettate d’oro, chiamati volgarmente "cucitrici".
– Siate buoni, cari, – disse alzando in parte la vetrata a saliscendi che fermò per dar aria alla camera.
Poi bussò dolcemente alla porta di comunicazione per accertarsi che suo marito non fosse di nuovo distratto. Aprì e gli disse con tono allegro vedendolo svestito:
– Non mi lascerai molto sola con Pierquin, non è vero? Mi raggiungerai subito. – E ritrovò tanta sveltezza nello scendere la scala che, udendola, un estraneo non avrebbe riconosciuto il passo di una zoppa.
– Il signore portando su la signora – le disse il cameriere che la incontrò sulla scala – ha strappato la veste; non è che un misero pezzetto di stoffa, ma ha rotto la mascella di questo mostro e non so chi potrà aggiustarla. Ecco la nostra scala rovinata; questa balaustra era così bella!
– Via, povero Mulquinier, non farla aggiustare, non è una disgrazia.
– Che cosa succede dunque – si disse Mulquinier – perché ciò non sia una disgrazia? Il mio padrone avrebbe forse scoperto l’assoluto?
– Buon giorno signor Pierquin – disse la signora Claes aprendo la porta del salone. Il notaio accorse per offrire il braccio alla cugina, ma essa non accettava che quello di suo marito; ringraziò dunque con un sorriso il cugino e gli disse:
– Venite forse per le trentamila lire?
– Si, signora; ritornando a casa ho ricevuto una lettera di avviso della Casa Protez e Chiffreville che ha emesso sul signor Claes sei lettere di credito di cinquemila lire ognuna.
– Ebbene – disse – non parlatene oggi a Baldassarre. Pranzate con noi. Se per caso vi domanderà perchè siete venuto trovate, vi prego, trovate qualche pretesto plausibile. Datemi la lettera, gli parlerò io stessa di questa faccenda. Tutto va bene – continuò vedendo lo stupore del notaio. – Tanto, fra qualche mese mio marito restituirà probabilmente le somme che ha chiesto a prestito.
Udendo questa frase detta a bassa voce, il notaio guardò la signorina Claes che ritornava dal giardino seguita da Gabriella e da Felicita e disse:
– Non ho mai veduto la signorina Margherita così graziosa come in questo momento.
La signora Claes che si era seduta nella sua poltrona e si era preso sulle ginocchia il piccolo Giovanni, alzò la testa e, guardò la figlia e il notaio con un’aria indifferente. Pierquin era di statura media, né grasso né magro, con un viso di una bellezza volgare che esprimeva una tristezza, più annoiata che malinconica, un fantasticare più indefinito che pensoso; passava per misantropo ma era troppo interessato, troppo mangiatore perché il suo abbandono del mondo fosse serio. Il suo sguardo di solito perduto nel vuoto, l’attitudine indifferente, il suo silenzio affettato sembravano indicare della profondità, ma in realtà coprivano il vuoto e la nullità di un notaio esclusivamente compreso di interessi umani, ma che era ancor troppo giovane per essere invidioso. L’imparentarsi colla Casa Claes sarebbe stata per lui la causa di una devozione senza limiti se non ci fosse stata nel subcosciente qualche po’ di avarizia.
Faceva il generoso ma sapeva far calcoli. Così, senza rendere conto a se stesso dei suoi cambiamenti di modi, le sue premure erano brusche, dure e burbere come lo sono in generale quelle della gente d’affari, quando Claes gli sembrava in cattive acque; poi diventavano affettuose, scorrevoli e quasi servili quando sospettava qualche felice riuscita dei lavori di suo cugino. Ora vedeva in Margherita Claes una infanta alla quale non era lecito ad un semplice notaio di provincia l’avvicinarsi, ora la considerava una povera ragazza che sarebbe stata troppo felice se lui si fosse degnato di farne la moglie. Era un uomo di provincia e fiammingo senza malizia; non mancava nemmeno di una certa devozione né di bontà, ma aveva un ingenuo egoismo che rendeva le sue qualità nulle, e un non che di ridicolo che guastava il suo aspetto. In questo momento la signora Claes si ricordò del tono, brusco col quale il notaio le aveva parlato sotto il portico della chiesa di S. Pietro, e notò il cambiamento che la sua risposta aveva portato nei suoi modi; indovinò il fondo dei suoi pensieri e con uno sguardo perspicace cercò di leggere nell’anima di sua figlia per sapere se essa pensava a suo cugino; ma non vide in lei che la più perfetta indifferenza.
Dopo alcuni momenti, durante i quali la conversazione si aggirò intorno alle chiacchiere della città, il padrone di casa scese dalla sua camera dove da un po’ sua moglie con un piacere indescrivibile udiva lo scricchiolare delle scarpe sul pavimento. Il passo simile a quello di un uomo giovane e svelto, rivelava una completa metamorfosi, e l’attesa che la sua comparsa procurava alla signora Claes fu così viva, che essa a fatica represse un sussulto quando egli scese le scale. Baldassarre tosto si mostrò nel costume allora di moda. Portava delle scarpe ben lucide che lasciavano scorgere la parte alta di una calza di seta bianca; calzoni di cachemire azzurro con bottoni d’oro, un panciotto bianco a fiorami e un frac azzurro. Si era raso, pettinato, profumata la testa, tagliato le unghie e lavate le mani con tanta cura che sembrava irriconoscibile a quelli che l’avevano visto prima. Invece di un vecchio quasi demente i figli e la moglie e il notaio potevano vedere un uomo di quarant’anni il cui viso affabile e cortese era pieno di fascino. Perfino la fatica e le sofferenze rivelate dalla magrezza dei contorni e dall’aderenza della pelle alle ossa, gli conferivano una certa grazia.
– Buongiorno, Pierquin, – disse Baldassarre Claes.
Ridivenuto padre e marito, il chimico prese il suo ultimo nato dalle ginocchia della moglie e lo alzò in aria facendolo rapidamente scendere e salire alternativamente.
– Guardate questo piccino! - disse al notaio. Una creatura così graziosa non vi fa venir voglia di sposarvi? Credete, caro mio, i piaceri della famiglia consolano di tutto. Hop!, – disse alzando Giovanni, – là! – gridava ponendolo a terra.
– Hop– là!
Il fanciullo scoppiava a ridere nel vedersi successivamente sul soffitto e sul pavimento, e la madre distolse la vista per non tradire l’emozione che le cagionava un gioco in apparenza cosi semplice, ma che per lei significava tutta una rivoluzione in casa.
– Vediamo come cammini, – disse Baldassarre ponendo il fanciullo sul pavimento e andando a sdraiarsi in una poltrona. Il fanciullo corse dal padre attratto dal luccichio dei bottoni d’oro che tenevan fermi i calzoni al disopra dei risvolti delle scarpe.
– Sei un birichino, - disse il padre baciandolo. Sei un vero Claes, cammini diritto. Ebbene, Gabriele, come sta il padre Morillon? - disse, rivolgendosi al figlio maggiore prendendogli l’orecchio e pizzicandoglielo – te la cavi bene coi tuoi temi e le tue versioni? Sei sicuro in matematica?
Poi Baldassarre si alzò, venne da Perquin e gli disse con quella cortesia affettuosa che gli era propria: – Mio caro, voi forse avete qualche cosa da chiedermi?
Gli diede il braccio e lo trasse verso il giardino aggiungendo: – Venite a vedere i miei tulipani..
La signora Claes guardò il marito mentre usciva e non seppe trattenere la sua gioia vedendolo così giovane, così affabile, così lui; si alzò, prese la figlia per la vita e la baciò dicendo: – Cara Margherita, figlia diletta, oggi ti amo ancor più del solito.
– Da quanto tempo non avevo visto il papà cosi amabile – essa rispose.
Lemulquinier venne ad annunciare che il pranzo era pronto. Per evitare che Pierquin le offrisse il braccio, la signora Claes prese quello di Baldassarre e tutta la famiglia passò nella sala da pranzo.
Questa camera il cui soffitto era fatto di finte travi, ornate però da pitture lavate e rinnovate ogni anno, era guarnita da alte credenze di castagno sulle alzate delle quali si vedevano i più curiosi pezzi del vasellame di famiglia. Le pareti erano tappezzate di cuoio violetto sul quale erano state impresse in oro scene di caccia. Sopra le credenze, qua e là, disposte con cura brillavano penne di uccelli rari o conchiglie preziose. Le sedie non erano state mutate dal principio del decimo–sesto secolo ed avevano la forma quadrata e le colonnine sottili e il piccolo schienale guarnito di una stoffa a frange la cui moda fu cosi diffusa che Raffaello l’ha ritratta nel suo quadro chiamato della "Madonna della Seggiola". Il legno era diventato nero, ma i chiodi dorati lucevano come se fossero stati nuovi e le stoffe rinnovate con cura erano di un bel color rosso. La Fiandra era là tutta quanta colle sue innovazioni spagnole. Sulla tavola le brocche e le bottiglie avevano quell’aria rispettabile che dan loro le pance rotonde della foggia antica. 1 bicchieri erano ben quelli vecchi alti sul piede che si vedono in tutti i quadri di scuola olandese o fiamminga. Il vasellame in terraglia e ornato di figure colorate alla maniera di Bernardo Palissy, provenivano dalla fabbrica inglese di Weegwood. L’argenteria era massiccia, a riquadri a rigonfi pieni, vera argenteria di famiglia i cui pezzi tutti diversi per cesellatura, modo e forma, attestavano l’inizio e i progressi della fortuna dei Claes. I tovaglioli avevano frange, moda tutta spagnola. Quanto alla biancheria, bisogna ricordare che presso i Claes il punto d’onore consisteva nell’averne della magnifica. Questo servizio e questa argenteria era quella usuale.
L’appartamento anteriore dove si davano le feste, aveva un suo lusso particolare, le cui meraviglie, riserbate per i giorni di gala, conferivano loro quella solennità che non c’è quando le cose sono, per così dire, svalutate dall’uso quotidiano. Nel quartiere posteriore tutto portava il segno di semplicità patriarcale. Infine, particolare simpatico, una vite si arrampicava alternativamente lungo le finestre che da ogni lato erano ornate di pampini.
Rimanete fedele alle tradizioni, voi, signora, – disse Pierquin, prendendo un piatto di quella minestra al timo nella quale le cuoche fiamminghe od olandesi mettono delle palline di carne tritata e mescolate a fettine di pane arrostito, – ecco la minestra della domestica in uso presso i nostri padri! La vostra casa e quella di mio zio Des Raquets, son le sole dove si trova questa zuppa, storica nei Paesi Bassi. Ah, scusate, il vecchio signore Savaron de Savarus l’offre ancora da lui con orgoglio a Tournai, ma, dovunque, altrove la vecchia Fiandra scompare. Ora i mobili si fabbricano alla greca, non si vedono altro che caschi, brocchieri, lance e fasci. Tutti ricostruiscono le proprie case, vendono i vecchi mobili, fanno fondere la propria argenteria, o la cambiano con della porcellana di Sèvres che non vale né la vecchia porcellana di Sassonia né quella cinese. Oh, io sono fiammingo nell’anima. Così il mio cuore sanguina quando vedo i calderai comperare a prezzo di legno o di metallo i nostri bei mobili intarsiati di cuoio o di stagno. Ma la società credo che voglia mutar pelle. Non ci sono nemmeno i procedimenti dell’arte che non si perdano! Quando bisogna che tutto sia fatto in fretta, non si può far nessun lavoro coscienzioso. Durante il mio ultimo soggiorno a Parigi, sono stato condotto a vedere i quadri esposti al Louvre. Parola d’onore, sono dei parafuochi queste tele senza aria, senza sfondo, nelle quali pare che i pittori temano di mettere del colore. E si dice che vogliano rovinare la nostra scuola. Ah, si…?
i nostri antichi pittori, – rispose Baldassarre, – studiavano le diverse combinazioni e la resistenza dei colori sottoponendoli all’azione del sole e della pioggia. Ma voi avete ragione: oggi le risorse materiali dell’arte sono meno curate che mai.
La signora Claes non ascoltava la conversazione. Sentendo dire dal notaio che erano di moda i servizi di porcellana, essa pure aveva avuto la luminosa idea di vendere la pesante argenteria ereditata da suo fratello, sperando di poter cosi riscattare le trentamila lire dovute da suo marito.
– Ah, ah, – disse Baldassarre al notaio nel momento in cui la signora Claes rientrava nella conversazione, – ci si occupa dei miei lavori a Douai?
– Sì, – rispose Pierquin. – Tutti si chiedono per quale scopo voi sciupiate tanto danaro. Ieri sentivo il signor presidente deplorare che un uomo come voi si desse alla ricerca della pietra filosofale. Allora mi son permesso di rispondere che voi siete troppo istruito per non saper che questo è combattere coll’impossibile, troppo cristiano per credere di vincere Dio, e come tutti i Claes, troppo buon calcolatore per cambiare il vostro denaro con della polvere di Pimpirimpara. Tuttavia non vi nascondo che ho condiviso il rincrescimento che il vostro appartarvi procura a tutti quanti. Voi proprio non siete più della città. Veramente signora Claes, voi sareste stata rapita se aveste udito gli elogi che ognuno si è compiaciuto di fare di voi e del signor Claes.
– Voi avete agito da buon parente, respingendo le accuse il cui male minore sarebbe di rendermi ridicolo, – rispose Baldassarre. – Ah, i cittadini di Douai mi credono rovinato Ebbene, mio caro Pierquin, entro due mesi, darò, per celebrare l’anniversario del mio matrimonio, una festa il cui splendore mi restituirà la stima che i nostri cari compatrioti accordano agli scudi.
La signora Claes arrossì vivamente. Da due anni questo anniversario era stato dimenticato. Simili ai pazzi che hanno dei momenti nei quali le loro facoltà mentali sono lucide assai più del solito, Baldassarre non era mai stato cosi fine nella sua tenerezza. Si mostrò pieno di cure per i figli e la sua conversazione fu affascinante per grazia, spirito, opportunità. Questo ritorno della paternità assente da tanto tempo, era certo la più bella festa che potesse offrire alla moglie, per la quale la sua parola e il suo sguardo avevano ripreso la costante simpatia di espressione che si sente da cuore a cuore e che rivela una deliziosa identità di sentimenti. Il vecchia Lemulquinier sembrava ringiovanito; andava e veniva con una insolita allegria prodotta dal realizzarsi delle sue più segrete speranze. Il mutamento avvenuto così rapidamente nei modi del suo padrone era ancor più significativo per lui che per la signora Claes. Là dove i familiari vedevano la felicità, il cameriere vedeva una fortuna. Aiutando Baldassarre nelle sue manipolazioni ne aveva preso la mania. Sia che avesse compreso la importanza delle ricerche dalle spiegazioni che sfuggivano al chimico quando il risultato sfuggiva dalle sue mani, sia che la tendenza innata nell’uomo per l’imitazione gli facesse adottare le idee di quegli nella cui atmosfera viveva, Lemuilquinier era stato preso per il suo padrone da un sentimento superstizioso misto a terrore, ad ammirazione e ad egoismo. Il laboratorio era per lui quello che per il popolo è un botteghino del lotto, la speranza organizzata. Ogni sera se ne andava a letto dicendo: "Domani forse nuoteremo nell’oro" E il giorno dopo si risvegliava con una fede altrettanto ardente della vigilia. Il suo nome rivelava una origine del tutto fiamminga. Un tempo la gente del popolo non era nota che per il soprannome tratto dalla sua professione, dal suo paese, dalla sua conformazione fisica o dalle sue qualità morali. Questo soprannome diventava il nome della famiglia borghese che fondavano quando acquistavano la libertà.
In Fiandra i mercanti di lino si chiamavano Moulquiniers e tale era senza dubbio la professione dell’uomo che fra gli antenati del vecchio cameriere, passò dallo stato di servo a quello di borghese fino al momento in cui, per ignote sfortune, il nipote del Mulquinier era ritornato al suo primitivo stato di servo con in più lo stipendio. La storia della Fiandra, del suo lino e del suo commercio si trovava dunque riassunta in questo domestico spesso per eufonia chiamato Mulquinier. Il suo carattere e la sua fisionomia non mancavano di originalità. Il suo viso triangolare era largo, rilevato e butterato dalla varicella che gli dava un aspetto fantastico lasciandovi una quantità di punti bianchi e brillanti. I suoi occhietti giallognoli come la parrucca gialla e liscia che aveva sulla testa, non mandavano che occhiate oblique. Il suo esteriore era dunque in armonia con la curiosità che eccitava. La sua qualità di assistente iniziato ai segreti del suo padrone sui lavori del quale manteneva il silenzio, lo rivestiva di un certo fascino. Gli abitanti della via Parigi lo guardavano passare con un interesse misto a timore perché aveva delle risposte sibilline e sempre gravide di tesori.
Fiero di essere necessario al suo padrone, esercitava sui suoi simili una specie di prepotente autorità, da cui traeva profitto per se stesso ottenendone concessioni che lo rendevano quasi padrone della casa. Al contrario dei domestici fiamminghi che sono assai affezionati alla casa, non amava che Baldassarre. Sia che la signora Claes fosse afflitta da qualche dolore, sia che nella famiglia accadesse qualche lieto avvenimento, egli continuava a mangiare il suo pane burrato e a bere la sua birra colla solita flemma.
Finito il pranzo, la signora Claes propose di andare a prendere il caffè in giardino davanti all’aiuola dei tulipani che ne ornavano il centro. I vasi di terra nei quali si trovavano i tulipani, i cui nomi si potevano leggere su delle lavagnette, erano stati interrati e disposti così da formare una piramide in cima alla quale si innalzava un tulipano gola di drago che solamente Baldassarre possedeva. Questo fiore chiamato tulipa Claesiana, riuniva tutti e sette i colori e le sue lunghe incavature sembravano dorate sui bordi. Il padre di Baldassarre che già più volte aveva rifiutato diecimila fiorini, prendeva tali precauzioni perché non se ne potesse rubare un sol seme, che lo teneva nella sala e passava spesso intere giornate a contemplarlo. Lo stelo era enorme, diritto, solido di un magnifico verde; le dimensioni della pianta erano ben proporzionate al calice i cui colori si notavano per quella nitidezza brillante che dava un tempo tanto valore a questi fiori pomposi.
– Ecco trenta o quaranta mila lire di tulipani, – disse il notaio guardando alternativamente la cugina e l’aiuola dai mille colori.
La signora Claes era troppo rapita dalla vista di questi fiori che i raggi del sole morente facevano sembrare pietre preziose, per ben afferrare il senso dell’osservazione del notaio.
– A che cosa vi servono? – riprese il notaio rivolgendosi a Baldassarre – dovreste venderli.
– To’! Ho forse bisogno di danaro? - rispose Claes facendo il gesto di un uomo per il quale quarantamila lire sembran ben poca cosa.

(Fine della terza parte)

 


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