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Wright of Derby, L'alchimista

 

Honoré de Balzac

Claes L’Alchimista
(La Recherche De L’Absolu)
Quarta parte

 

Ci fu un momento di silenzio durante il quale si fecero udire le esclamazioni dei bambini.
– Guarda, mamma, quello là!
– Oh, eccone uno bello!
– Come si chiama questo?
–  Quale abisso per la ragione umana! – esclamò Baldassarre alzando le mani e Giungendole con un gesto disperato. – Una combinazione di idrogeno e ossigeno fa crescere in dosi diverse in uno stesso ambiente e con uno stesso principio, questi colori che costituiscono ciascuno un risultato diverso.
Sua moglie comprendeva bene i termini di questa proporzione che fu enunciata con troppa rapidità perché ne potesse afferrare tutto il senso; Baldassarre pensò che essa aveva studiato la sua scienza preferita e le disse facendole un segno misterioso:
– Capirai, tu non sapresti ancora quello che voglio dirti!
E parve immergersi in una delle solite meditazioni.
– Lo credo, – disse Pierquin prendendo una tazza di caffè dalle mani di Margherita. – cacciate la natura dalla porta, ritornerà dalla finestra, – aggiunse a voce bassa rivolgendosi alla signora Claes. – Anche se aveste la bontà di parlare voi stessa, il diavolo non lo trarrebbe dalla sua meditazione. Ed eccone fino a domani.
Salutò Claes, che finse di non udirlo, baciò il piccolo Giovanni che era tra le braccia della madre, e dopo aver fatto un profondo saluto si ritirò. Quando la porta d’ingresso risuonò rinchiudendosi, Baldassarre prese sua moglie per la vita e dissipò l’inquietudine che poteva darle la sua finta meditazione dicendole all’orecchio:
– Io sapevo bene come dovevo fare per mandarlo via!
La signora Claes volse la testa verso il marito senza vergognarsi di mostrargli le lagrime che le vennero agli occhi: erano tanto dolci! Poi appoggiò la fronte sulla spalla di Baldassarre e lasciò scivolare a terra Giovanni.
– Rientriamo in sala, – disse dopo un momento.
Per tutta la sera Baldassarre fu di una gaiezza quasi pazza; inventò cento giuochi per i ragazzi e lui stesso giocò così bene che non si accorse di due o tre assenze di sua moglie. Verso le nove e mezza quando Giovanni fu messo a letto Margherita ritornò in sala dopo aver aiutato la sorellina Felicita a spogliarsi, e trovò la madre seduta nel poltronone e suo padre che chiacchierava con lei tenendole la mano. Temendo di disturbare i genitori sembrò voler ritirarsi senza parlare, ma la signora Claes se ne accorse e le disse:
– Vieni, Margherita; vieni cara. –– Poi l’attirò a sé, e la baciò piano in fronte aggiungendo:
– Porta il tuo libro in camera, e va a letto presto.
– Buona sera, cara – disse Baldassarre.
Margherita baciò suo padre e se ne andò. Claes e sua moglie rimasero qualche istante soli, intenti a contemplare le ultime luci del crepuscolo morente tra il fogliame del giardino che si era già fatto scuro e le cui linee si scorgevano appena nel chiarore. Quando fu quasi buio Baldassarre disse alla moglie con voce commossa:
– Saliamo...
Molto tempo prima che gli usi inglesi avessero consacrato la camera di una donna, quella di una fiamminga era impenetrabile. Le buone donne di questo paese non ne facevano una questione di virtù, ma era una abitudine ereditata fin dall’infanzia, una superstizione domestica che faceva della camera da letto un delizioso santuario dove spiravano teneri sentimenti, dove la semplicità si univa a tutto ciò che la vita sociale possiede di più dolce e di più venerabile. Nel caso particolare della signora Claes, qualunque donna avrebbe voluto raccogliere intorno a sé le cose più eleganti; ma essa lo aveva fatto con un gusto raffinato, conscia dell’azione che esercita sui sentimenti l’aspetto di ciò che ci circonda. In un essere grazioso questo sarebbe stato del lusso, in lei era una necessità. Essa aveva capito il valore di queste parole: «Ci si fa una donna bella», massima che ispirava tutti gli atti della prima moglie di Napoleone e la rendeva spesso falsa, mentre la signora Claes era sempre spontanea e naturale. Per quanto Baldassarre conoscesse bene la camera di sua moglie, l’oblìo delle materialità della vita era stato così completo che, entrandovi, provò un dolce fremito come, se la vedesse per la prima volta.
La fastosa gaiezza di una donna trionfante si rivelava negli splendidi colori dei tulipani che drizzavano i lunghi steli in vasi di porcellana cinese, ornamento abituale, e nella profusione di luce i cui effetti non si potevano paragonare che a quelli di una allegra musica. La luce delle candele dava un armonioso risalto alle stoffe di seta grigiolino la cui monotonia era rotta dai riflessi d’oro sobriamente distribuiti su alcuni oggetti e dalle varie tinte dei fiori che assomigliavano a fasci di gemme. Il segreto di questo adornamento era lui, sempre lui!... Giuseppina non poteva con maggior eloquenza dichiarare a Baldassarre che era sempre lui il principio delle sue gioie e dei suoi dolori. L’aspetto di questa camera poneva l’animo in uno stato delizioso e scacciava qualunque idea di tristezza per non lasciarvi che il sentimento di una felicità costante e pura. La stoffa delle tende, comperata in Cina, emanava quell’odore soave che penetra senza dar noia. Le tendine poi, tirate con cura, rivelavano il bisogno di solitudine, un geloso desiderio di serbare i minimi suoni delle parole e di racchiudere là dentro gli sguardi dello sposo riconquistato. Ornata della sua bella capigliatura nera perfettamente liscia, che ricadeva ai lati della fronte come due ali di corvo, la signora Claes avvolta in un accappatoio che le saliva fino al collo arricchito da un lungo mantello spumeggiante di trine, andò a tirare la portiera di damasco che non lasciava giungere alcun rumore dall’esterno. Di là Giuseppina lanciò sul marito, che si era seduto vicino al camino, uno di quei lieti sorrisi coi quali una donna fine e il cui viso è ogni tanto illuminato dall’anima sa esprimere delle speranze irresistibili. il fascino maggiore di una donna consiste in un costante appello alla generosità dell’uomo, in una graziosa confessione di debolezza colla quale eccita il suo orgoglio e suscita in lui, i più generosi sentimenti.
Il sentimento della debolezza non racchiude delle seduzioni magiche? Quando gli anelli della portiera furono scivolati silenziosamente sul loro bastone di legno; si volse al marito e sembrò in questo momento voler dissimulare i suoi difetti fisici appoggiando la mano sopra una sedia per avvicinarsi con grazia. Era come chiamare il suo aiuto.
Baldassarre per un momento estatico nella contemplazione di questa testa olivastra che spiccava sullo sfondo grigio attirando e soddisfacendo lo sguardo, si alzò per sollevare la moglie e la depose sul divano: era bene quel che essa voleva.
– Tu mi hai promesso, – disse ella prendendogli una mano e trattenendogliela fra le sue magnetiche, – di iniziarmi al segreto delle tue ricerche. Riconosci, amico mio, che sono degna di saperlo poiché ho avuto il coraggio di studiare una scienza condannata dalla Chiesa per poterti comprendere: ma io sono curiosa. Non nascondermi niente. Così raccontami per qual caso un mattino ti sei alzato preoccupato mentre alla vigilia ti avevo lasciato così sereno.
– Ed è per sentir parlare di chimica che ti sei messa con tanta civetteria?
– Amico mio, non è per me il più gran piacere il poter accogliere una confidenza che mi permette di addentrarmi di più nel tuo cuore, non è una unione di anime che riassume e rende possibili tutte le felicità della vita? Il tuo amore mi ritorna puro e intero, voglio sapere quale idea è stata così forte per tenermene priva per tanto tempo Sì; sono più gelosa di un pensiero che di tutte le donne insieme. L’amore è immenso, ma non è infinito: mentre la scienza ha delle profondità senza limiti dove non saprei vederti andare da solo. Odio tutto ciò che si può porre fra di noi. Se tu ottenessi la gloria che tu insegui io ne sarei infelice; essa non ti darebbe delle gioie vive? Io sola, signore, devo essere la sorgente dei vostri piaceri.
– No, non è un’idea, angelo mio che mi ha posto su questa bella via, ma un uomo.
– Un uomo? – essa esclamò con terrore.
– Ti ricordi, Pepita, dell’ufficiale polacco che noi abbiamo ospitato nel 1809?
– Sì, me ne ricordo. – Mi sono inquietata spesso perché la memoria mi faceva così frequentemente rivedere i suoi due occhi simili a lingue di fuoco, le fossette al di sopra delle sopracciglia dove si vedevano dei carboni dell’inferno, il suo largo cranio pelato, i suoi baffi rialzati, il suo viso angoloso, sciupato!.... Infine che calma spaventosa nel suo passo!.... Se negli alberghi ci fosse stato posto non avrebbe certo dormito qui.
– Questo gentiluomo polacco si chiamava Adamo di Wierzchownia, riprese Baldassarre. La sera, quando tu ci hai lasciati soli nella sala, per caso ci siam messi a parlar di chimica. Strappato dalla miseria allo studio di questa scienza, si era fatto soldato. Credo che sia stato a proposito di un bicchiere d’acqua zuccherata che ci siamo riconosciuti per adepti. Quando dissi a Mulquinier di portar dello zucchero in pezzi, il capitano fece un gesto di sorpresa.
– Voi avete studiato la chimica, – mi chiese.
– Con Lavoisier, risposi.
– Felice voi, che siete libero e ricco, esclamò.
E del suo petto uscì uno di quei sospiri d’uomo che rivelano un inferno di dolore nascosto sotto un cranio, o chiuso in un cuore; fu infine qualche cosa di ardente, di concentrato che la parola non sa esprimere. Completò il suo pensiero con uno sguardo che mi agghiacciò. DO una pausa mi disse che dopo la fine della Polonia, si era rifugiato in Svezia. Là aveva cercato delle consolazioni nello studio della chimica per la quale aveva sempre avuto una vocazione irresistibile.
– Ebbene, aggiunse, lo vedo, voi come me avete riconosciuto che la gomma arabica, lo zucchero e l’amido, polverizzati danno una sostanza assolutamente simile, e all’analisi uno stesso risultato qualitativo.
Fece ancora una pausa, e dopo avermi esaminato con un occhio scrutatore, a bassa voce e in tono confidenziale mi disse delle parole solenni di cui ora non ricordo che il senso generale: ma le accompagnò con un tono così espressivo, con così calde inflessioni di voce, e con una forza tale nel gesto che mi commossero le viscere e colpirono il mio intelletto, come un martello batte sull’incudine. Ecco dunque in sunto i ragionamenti che per me furono come il carbone che Dio mise sulla lingua di Isaia, poiché i miei studi con Lavoisier mi permettevano di valutarne tutta l’importanza.
– Signore, – mi disse, – la parità di queste tre sostanze, in apparenza così diverse, mi ha indotto a pensare elle tutti i prodotti della natura devono avere uno stesso principio. I progressi della chimica moderna hanno provato la verità di questa legge, per ciò che riguarda la parte più importante degli effetti naturali. La chimica divide il creato in due parti distinte: la natura organica e la natura inorganica. Comprendendo la natura organica tutti i vegetali e animali nei quali si mostra una più o meno perfetta organizzazione, o, per essere più esatti, una maggiore o minore movibilità che vi determina una maggiore o minore sensibilità, essa è, certo, la parte più importante del nostro mondo. Ma l’analisi ha ridotto tutti i prodotti di questa natura a quattro corpi semplici che sono tre gas: l’azoto, l’idrogeno, e l’ossigeno, e a un altro corpo semplice non metallico e solido: il carbonio. Al contrario la natura inorganica, così poco varia, priva di movimento, di sensibilità alla quale si può negare il dono di accrescersi che Linneo leggermente le ha concesso, possiede cinquantatré corpi semplici le cui diverse combinazioni danno luogo a tutti i suoi prodotti: è possibile che i mezzi sieno più nume. rosi là dove esistono meno risultati? Così, l’opinione del mio antico maestro è che questi cinquantatré corpi hanno un principio comune, Modificato un tempo da una potenza oggi esaurita, ma che il genio umano deve far rivivere. Ebbene, supponete per un momento che l’attività di questa potenza si sia risvegliata; noi avremo una chimica unitaria. Le nature organiche e inorganiche si dovrebbero fondare, secondo ogni apparenza, su quattro principii, e se noi riuscissimo a scomporre l’azoto che dobbiamo ritenere come negativo, non ne avremmo più di tre. Eccoci vicino al grande Ternario degli antichi e degli alchimisti del medio evo, di cui noi a torto ci burliamo. La chimica moderna non è ancora altro che questo. E’ molto ed è poco. E’ molto perché la chimica si è abituata a non indietreggiare, dinanzi a nessuna difficoltà; è poco al paragone di quel che resta a fare. Il caso l’ha servita bene questa bella scienza! Così questa lagrima di carbonio puro cristallizzato, il diamante, non sembrerebbe l’ultima sostanza che fosse dato creare? Gli antichi alchimisti che ritenevano che l’oro fosse decomponibile e quindi producibile, si fermavano dinanzi all’idea di produrre il diamante; noi abbiamo ora scoperto la natura e la legge della sua composizione. Io, aggiunse, sono andato anche più in là. Una esperienza mi ha dimostrato che anche il misterioso Ternario di cui ci si occupa da tempo immemorabile, non si troverebbe nelle attuali analisi che mancano di direzione verso un punto fisso. Ecco prima di tutto l’esperienza. Seminate del crescione (per prendere una fra le sostanze della natura organica) in fiori di zolfo (per prendere allo stesso modo un corpo semplice). Innaffiate i semi con acqua distillata perché non entri nei prodotti del seme alcun principio che non sia noto. I semi germogliano, spuntano in un mezzo noto e non si nutrono che di principii conosciuti dall’analisi. Tagliate successivamente gli steli delle piante per procurarne una discreta quantità e ottenere facendoli bruciare un mucchio di cenere e poter così operare su di un certo volume; ebbene analizzando queste ceneri troverete dell’acido salicilico dell’alluminio, del fosfato, e del carbonato di calcio, del carbonato di potassio e dell’ossido di ferro, come se il crescione fosse cresciuto in terra in riva all’acqua. Ora queste sostanze non esistevano né nello zolfo, corpo semplice che faceva da suolo alla pianta, né nell’acqua usata per innaffiarlo e la cui composizione era nota; ma siccome non ci sono nemmeno nel seme, non possiamo spiegarci la loro presenza nella pianta che col supporre un elemento comune ai corpi contenuti nel crescione e a quelli che gli hanno servito di mezza. Così l’aria, l’acqua distillata, il fiore di zolfo e le sostanze che risultano dall’analisi dei crescione, cioè la potassa, la calce, la magnesia, l’alluminio ecc., avrebbero un principio comune errante nell’atmosfera come la produce il sole. Da questa prova inconfutabile, esclamò, ho dedotto l’esistenza dell’assoluto! Una sostanza comune a tutti i prodotti, modificata da un’unica forza, tale è la posizione netta e chiara del problema offerto dal. l’assoluto e che mi è sembrato ricercabile. Là incontrerete il misterioso ternario, davanti al quale in ogni tempo si è chinata l’umanità; la sostanza prima, il mezzo, il risultato. Voi troverete questo terribile numero Tre in tutte le cose umane; domina le religioni, le scienze e le leggi. A questo punto, soggiunse, la guerra e la miseria hanno troncato i miei lavori... Voi siete un allievo di Lavoisier, voi siete ricco e padrone del vostro tempo, vi posso dunque far parte delle mie ipotesi. Ecco lo scopo che le mie personali esperienze mi hanno fatto intravedere. La Materia Una deve essere un principio comune all’elettricità negativa e a quella positiva. Mettetevi a scoprire le prove che confermeranno queste due verità, voi avrete la causa suprema di tutti gli effetti naturali. Oh, signore, quando si porta qui, disse battendosi la fronte, l’ultima parola della creazione nel presentimento dell’assoluto, è un dovere l’essere coinvolto nel moto di questo ammasso d’uomini che ad ora fissa si precipitano gli uni sugli altri senza sapere quel che fanno? La mia vita attuale è precisamente il rovescio d’un sogno. Il mio corpo va, viene, agisce, si trova in mezzo al cuoco, ai cannoni, agli uomini, attraverso all’Europa in balìa di una potenza alla quale obbedisco disprezzandola. La mia anima non ha coscienza alcuna di questi atti, resta fissa, immersa in una idea, sprofondata in questa idea, la ricerca dell’assoluto, di questo principio per il quale semi assolutamente simili, messi in uno stesso ambiente danno gli uni calici bianchi, gli altri gialli! Fenomeno applicabile ai bachi da seta che, nutriti delle stesse foglie, senza apparente diversità, fanno gli uni della seta gialla e gli altri della bianca; e infine all’uomo stesso che spesso ha legittimamente dei figli al tutto dissimili dalla madre e da lui. La deduzione logica di questo fatto non implica d’altra parte la ragione di tutti gli effetti naturali? E che cosa di più conforme alla nostra idea di Dio che credere che ha creato tutto col mezzo più semplice? L’adorazione pitagorica per l’Uno donde scaturiscono tutti i numeri e che rappresenta la materia una, quella per il numero due il aggregato e il tipo di tutti gli altri; primo quella per il numero tre, che in ogni tempo, ha simboleggiato Dio, cioè la materia, la forza e il prodotto, non riassumono secondo la tradizione la confusa conoscenza dell’assoluto? Stahl, Becher, Paracelso, Agrippa, tutti i grandi cercatori di cause occulte avevano per parola d’ordine il Trismegisto, che significa il Gran Ternario. Gl’ignoranti, abituati a condannare l’alchimia, questa chimica trascendente non sanno certamente che noi cerchiamo di giustificare le appassionate ricerche di questi grandi! Trovato l’assoluto, sarò alle prese col movimento. Ah, intanto che mi nutro di polvere e comando a degli uomini di morire abbastanza inutilmente. Il mio antico maestro, accumula scoperte su scoperte, vola verso l’assoluto! E io, morirò come un cane al fianco di una batteria
Quando questo povero grand’uomo si fu un poco calmato, mi disse con una specie di fraternità commovente :
– Se trovassi una esperienza da fare, ve la lascerei in eredità prima di morire.
– Pepita mia – disse Baldassarre, stringendo la mano della moglie – lagrime di dolore scendevano sulle scarne gote di questo uomo mentre nel mio animo accendeva l’ardore di questo ragionamento che già Lavoisier s’era timidamente fatto, senza osare proseguirlo....
Come, – esclamò la signora Claes, che non fu capace di trattenersi dall’interrompere suo marito, – questo uomo stando una notte sotto il nostro tetto ci ha portato via il tuo affetto, ha distrutto con una sola frase e con una parola sola la pace di una famiglia? O caro Baldassarre, questo uomo s’è fatto il segno della croce? L’hai ben osservato? Solo il tentatore può avere quell’occhio giallo da cui usciva la luce di Prometeo. Sì, il demonio solo ti poteva strappare a me. Da quel giorno tu non sei più stato né padre, né sposo, né capo di casa....
– E che? – disse Baldassarre alzandosi e gettando alla moglie uno sguardo penetrante – tu biasimi tuo marito perché si eleva al di sopra degli altri uomini per poter stendere ai suoi piedi la divina porpora della gloria come una offerta minima al confronto dei tesori del tuo cuore! Ma tu non sai dunque ciò che ho fatto in tre anni? Passi da gigante, Pepita, – disse animandosi.
Il suo viso sembrò allora alla moglie più luminoso sotto il fuoco del genio di quanto non lo era stato sotto quello dell’amore; ed essa, nell’ascoltarlo, pianse.
– Ho combinato il cloro coll’azoto; ho scomposto molti corpi finora considerati semplici; ho trovato metalli nuovi. Guarda – disse vedendo le lagrime della moglie, – ho scomposto le lagrime. Le lagrime contengono un po’ di solfato di calcio, di cloruro di sodio, di muco, e di acqua.
Continuò a parlare senza vedere l’orribile contrazione che alterava la fisionomia di Giuseppina: era salito su la scienza che lo portava in groppa, ad ali spiegate, ben lontano dal mondo materiale.
– Questa analisi, mia cara, è una delle prove migliori del sistema dell’assoluto. Ogni vita esige una combustione. Secondo la maggiore o minore attività del fuoco interno, la vita è più o meno persistente. Così la distruzione del minerale è ritardata infinitamente perché la combustione in esso è virtuale, latente o insensibile. Corpi vegetali che si raffreddano continuamente colla combinazione da cui risulta l’umido, vivono infinitamente ed esistono molti vegetali contemporanei all’ultimo cataclisma. Ma tutte le volte che la natura ha perfezionato un apparecchio, che, per uno scopo ignoto vi ha posto il sentimento, l’istinto o l’intelligenza, tre gradi distinti nel sistema organico, questi tre organismi esigono una combustione la cui attività è in ragione diretta del risultate ottenuto. L’uomo, che rappresenta il punto più alto dell’intelligenza e che ci offre il solo apparecchio capace di un potere a metà creatore, il pensiero!, è fra le creazioni zoologiche quella nella quale la combustione si trova al suo grado più intenso e i cui effetti potenti sono, in qualche modo, dimostrati dai fosfati, dai solfati e dai carbonati che ci mostra l’analisi del suo corpo. Queste sostanze non sarebbero le tracce lasciate in lui dall’azione del fluido elettrico, principio di ogni fecondazione? L’elettricità non potrebbe manifestarsi in lui ,con combinazioni più varie che in ogni altro animale? Non avrebbe forse facoltà maggiori di ogni ,altra creatura per assorbire maggiori parti del principio assoluto e non se le assimilerebbe per comporne, in una macchina più perfetta, le sue forze e le sue idee? Io lo credo. L’uomo è un matrace. Cosi, secondo me, l’idiota sarebbe colui il cui cervello conterrebbe meno fosforo o ogni altro prodotto elettromagnetico il folle quello il cui cervello ne conterrebbe troppo l’uomo ordinario quello che ne avrebbe poco, l’uomo di genio colui il cui cervello ne sarebbe saturato in una giusta dose. L’uomo sempre innamorato, il facchino, il ballerino, il grande mangiatore sono quelli che sposterebbero la forza che si sprigiona dal loro apparecchio elettrico. Così i nostri sentimenti...
– Basta, Baldassarre, tu mi spaventi, tu commetti dei sacrilegi. E che, il mio amore sarebbe…
– Della materia eterea che si sprigiona – rispose Claes. – e che senza dubbio è la parola dell’assoluto. Pensa dunque che se io, io per primo! se trovo... se trovo.... se trovo!....
Dicendo queste parole con tre diversi toni il suo viso salì per gradi all’espressione dell’ispirato.
– Creo i metalli, creo i diamanti, ripeto la natura, – esclamò.
– E sarai più felice? – fece Giuseppina con disperazione. – Maledetta scienza! Maledetto demonio! Tu dimentichi, Claes, che commetti il peccato di orgoglio di cui si rese colpevole Satana. Tu lotti con Dio.
– Oh, oh, Dio!
– Lo nega! – esclamò essa torcendosi le mani. – Claes, Dio dispone di una potenza che tu non avrai mai.
Davanti a questa proposizione che pareva annullare la scienza prediletta, guardò sua moglie tremando.
– Che cosa? – disse.
– La forza unica, il movimento. Ecco quel che ho afferrato attraverso i libri che tu mi hai obbligata a leggere. Analisi dei fiori, dei frutti, del vino di Malaga: tu scoprirai certamente i loro principii che provengono come quelli del tuo crescione, in un ambiente che sembra estraneo a loro; ma imitandoli farai forse questi fiori, questi frutti, questo vino di Malaga? Avrai forse gli incredibili effetti del sole? Avrai forse l’aria della Spagna? Decomporre non è creare.
– Se trovo la forza che li tiene uniti io potrò creare.
– Niente lo fermerà! – esclamò Pepita con voce disperata. – Oh, il mio amore, è ucciso, l’ho perduto...
Scoppiò in pianto e i suoi occhi ravvivati dal dolore e dalla santità dei sentimenti che esprimevano, brillarono più belli che mai attraverso le lagrime.
Sì, – riprese singhiozzando. – tu sei morto a tutto. Lo vedo, a scienza è più potente in te di te stesso, e il suo volo ti ha trascinato troppo in alto perché tu possa mai discendere ad essere il compagno di una povera donna. Quale felicità ti posso io ancora offrire? Ah, io vorrei, triste conforto, credere che Dio ti ha creato per manifestare le sue opere e cantar le sue lodi; che ha racchiuso nel tuo petto una forza irresistibile che ti domina. Ma no, Dio è buono, ti lascerà nel cuore qualche pensiero per una donna che ti adora, per dei figli che devi proteggere. Sì, Solo il demonio può aiutarti a camminare solo in mezzo a questi abissi senza uscita, fra queste tenebre nelle quali non sei illuminato da una fede nell’al di là, ma da una orribile fiducia nelle tue facoltà! Altrimenti non ti saresti accorto, amico mio, che hai divorato novecentomila lire in tre anni. Oh, giudicami tu, mio Dio su questa terra, io non ti rimprovero niente. Se noi fossimo soli io ti getterei ai piedi tutti i nostri beni, dicendo: «Prendi, gettali nei tuoi fornelli, fanne del fumo!» e riderci nel vederlo ondeggiare. Se tu fossi povero andrei a cercar l’elemosina senza vergogna per procurarti il carbone necessario al mantenimento del tuo fornello. Infine se, gettandomi dentro ti facessi scoprire il tuo odioso assoluto, Claes, mi vi getterei con gioia dal momento che tu poni la tua gloria e i tuoi piaceri in questo segreto non ancora scoperto... Ma i nostri figli, Claes, i nostri figli! Che cosa sarà di loro se tu non– trovi presto questo segreto infernale? Sai perché veniva Pierquin? Veniva a chiederti trentamila lire, che tu devi dare senza averle. Le tue proprietà non sono più tue. Gli ho detto che avevi queste trentamila lire per risparmiarti l’impaccio in cui ti avrebbero messo le sue domande; ma per procurarmi questa somma ho pensato di vendere la nostra vecchia argenteria.
Essa vide gli occhi di suo marito che stavano per inumidirsi, e si gettò disperatamente ai suoi piedi, e, alzando verso di lui le mani supplici:
– Amico mio – esclamò – cessa per un momento dalle tue ricerche. facciamo economia del danaro necessario per riprenderle più tardi, se non puoi rinunciare a continuare la tua opera. Oh, io non la giudico: soffierò io stessa sui tuoi fornelli, se lo vuoi; ma non ridurre in miseria i nostri figli: tu non puoi più amarli; la scienza ha divorato il tuo cuore, non condannarli ad una vita infelice in cambio della felicità loro dovuta. Troppo spesso nel mio cuore il sentimento materno è stato più debole; sì, spesso mi sono augurata di non essere madre per potere più intimamente congiungermi colla tua anima, colla tua vita! Così per calmare i miei rimorsi, ora devo perorare la causa dei figli prima che la mia.
I capelli le si erano sepolti e scendevano sulle spalle, i suoi occhi dardeggiavano mille sentimenti come altrettante frecce: essa trionfò della sua rivale. Baldassarre la sollevò e distesala sul divano si mise ai suoi piedi.
– Ti ho dunque addolorata? – disse coll’accento di un uomo che si risveglia da un sogno penoso.
– Povero Claes, lo farai ancora, tuo malgrado, – rispose essa passandogli la mano nei capelli.
– Andiamo, vieni a sederti vicino a me, – aggiunse mostrandogli il suo posto sul divano. Ecco, ho dimenticato tutto dal momento che tu ritorni a noi.– Va’, noi aggiusteremo tutto; ma tu non ti ti allontanerai più da tua moglie, non è vero? Dimmi di sì. Lascia, mio grande e bel Claes, che io eserciti sul tuo nobile cuore questa femminile influenza così necessaria alla felicità degli artisti infelice dei grandi uomini sofferenti! Tu mi tratterai male, tu mi spezzerai, se lo vuoi, ma mi permetterai di contrariarti un po’ per tuo bene. Non abuserò mai del potere che mi concederai. Sii celebre, ma sii anche felice! Non preferire la chimica a noi! Ascolta, saremo molto compiacenti permetteremo alla scienza di dividere con noi il tuo cuore; ma sii giusto, dacci la nostra metà! Dì, il mio disinteresse non è sublime?
Essa fece sorridere Baldassarre. Con quell’arte meravigliosa che hanno le donne, aveva ricondotto la questione più alta nella sfera del comico, dove le donne sono maestre. Tuttavia mentre pareva ridere. il suo cuore aveva una contrazione così violenta, che con difficoltà riprendeva il movimento regolare e calmo dello stato normale; ma vedendo negli occhi di Baldassarre, ricomparire l’espressione che la seduceva, che era la sua gloria, e le rivelava l’antico potere che credeva perduto, gli disse sorridendo:
– Credimi, Baldassarre, la natura ci ha fatti per sentire e, malgrado tu sostenga che noi non siamo che macchine elettriche, i tuoi gas, le tue sostanze eteree non spiegheranno mai il nostro dono di prevedere il futuro.
– Sì, – rispose lui, – colle affinità. La potenza di visione che costituisce il poeta e la potenza di deduzione che costituisce il sapiente sono fondate su delle affinità visibili, intangibili e imponderabili che il volgo classifica fra i fenomeni morali, ma che sono effetti fisici. Il profeta vede e deduce. Disgraziatamente questi tipi di affinità sono troppo rari e troppo impercettibili per essere sottomessi all’analisi o alla osservazione.
– Questo, – essa disse, cogliendo un bacio per allontanare la – chimica che aveva così inopportunamente rievocata, – sarebbe dunque una affinità?
– No, è una combinazione: due sostanze del medesimo segno non producono nessuna attività.
– Andiamo, zitto, – disse, – tu mi faresti morire di dolore! Sì, caro, non sopporterei mai, di vedere la mia rivale anche nelle tue effusioni di amore.
– Ma, vita mia, io non penso che a te: i miei lavori sono la gloria della famiglia, tu sei in fondo a tutte le mie speranze
– Ebbene, guardami!
Questa scena l’aveva resa bella come una donna giovane, e di tutta la persona suo marito non vedeva che la testa, al disopra di una nube di trine e di veli.
– Sì, ho ben avuto torto di abbandonarti per la scienza. D’ora in poi quando ricadrò nei miei pensieri, ebbene, Pepita mia, voglio che tu mi distolga!
Essa abbassò gli occhi e si lasciò prendere la mano, la sua maggior bellezza, una mano nello stesso tempo forte e delicata.
– Ma io voglio ancor di più – disse.
– Sei così deliziosamente bella, che puoi ottenere tutto.
– Voglio rompere il tuo laboratorio, e incatenare la tua scienza, – disse gettando fiamme dagli occhi.
– Ebbene, al diavolo la chimica!
– Questo momento cancella tutti i dolori, soggiunse. – Ora, se vuoi, fammi soffrire.
Udendo queste parole gli occhi di Baldassarre si bagnarono di lagrime.
Ma tu hai ragione: io non ti vedevo che attraverso un velo, e non ti sentivo più...
– Se non si fosse trattato che di me – essa disse, – avrei continuato a soffrire in silenzio senza alzar la voce davanti al mio sovrano, ma i tuoi occhi richiedono cure, Claes. Ti assicuro che se tu continuassi così a dissipare i tuoi beni anche se il tuo scopo fosse glorioso, il mondo non te ne terrebbe nessun conto e il suo biasimo ricadrebbe sui tuoi. Non deve bastare, a te uomo così intelligente, che tua moglie ti abbia mostrato un pericolo che tu non vedevi? Ma non parliamo più di tutto questo, – aggiunse, – lanciandogli un sorriso e uno sguardo pieni di civetteria. Questa sera mio Claes, non dobbiamo essere felici a metà.
Il giorno seguente a questa sera, così importante nella vita della famiglia, Baldassarre Claes, dal quale Giuseppina aveva, senza dubbio, ottenuto qualche promessa relativa alla cessazione dei suoi lavori, non salì nel suo gabinetto e rimase vicino a lei per tutto il giorno. L’indomani la famiglia fece i preparativi per andare in campagna, ove rimase due mesi circa e donde non tornò in città che per occuparsi della festa colla quale Claes, come un tempo, voleva celebrare l’anniversario del suo matrimonio. Baldassarre ebbe allora di giorno in giorno le prove del danno che i suoi lavori e la noncuranza avevano arrecato ai propri affari. Sua moglie, invece di allargare la piaga con osservazioni, trovò sempre dei palliativi per i mali avvenuti. Dei sette domestici che Claes aveva il giorno in cui, per l’ultima volta, aveva dato un ricevimento, non erano rimasti più che Lemulquinier, Josette la cuoca e una vecchia cameriera di nome Marta che non aveva lasciato la sua padrona da quando era uscita dal convento: era dunque impossibile ricevere l’alta società della città con un numero così scarso di servitori. La signora Claes eliminò ogni difficoltà proponendo di far venire un cuoco da Pari–i, di iniziare al servizio il figlio del giardiniere, e di farsi prestare il domestico dei Pierquin. Così nessuno si sarebbe ancora accorto del loro imbarazzo. Per i venti giorni dei preparativi, la signora Claes seppe occupare con abilità l’ozio di suo marito; ora lo incaricava di scegliere i fiori rari che dovevano ornare lo scalone, la loggia, e gli appartamenti; ora lo mandava a Dunkerque per acquistare qualcuno di quei mostruosi pesci che sono la gloria delle tavole di famiglia nella provincia del Nord.
Una festa come quella che davano i Claes era un affare capitale che esigeva una quantità di cure e una attiva corrispondenza in un paese in cui le tradizioni dell’ospitalità mettono così in gioco l’onore delle famiglie che per padroni e servitori un pranzo è come una vittoria che si deve ottenere sui convitati. Da Ostenda arrivarono le ostriche, alla Scozia si chiesero i galli di brughiera, da Parigi venivano le frutta, infine il lusso avito non doveva venir smentito nei minimi particolari. D’altronde il ballo di casa Claes godeva di una specie di celebrità. Allora Douai era il capoluogo di provincia e questa serata apriva in certo qual modo la stagione invernale e dava il tono a tutte quelle della regione. Così per quindici anni Baldassarre aveva cercato di distinguersi, ed era riuscito così bene, che ogni volta ne seguivano commenti nel raggio perfino di venti leghe, e si parlava degli abiti, degli invitati, dei minimi particolari, delle novità che vi si erano viste e degli avvenimenti accaduti. Questi preparativi impedivano quindi a Claes di pensare alla ricerca dell’assoluto. Tornando ai pensieri domestici e alla vita sociale, lo scienziato ritrovò tutto il suo amor proprio d’uomo, di fiammingo, di padrone di casa e si compiacque di stupirne i vicini. Volle dare a questa serata, un carattere speciale con qualche trovata nuova, e scelse, fra tutte le fantasie del lusso, la più bella, la più ricca, la più fugace facendo della sua casa un giardino di piante rare e preparando mazzi di fiori per le signore. Gli altri particolari della festa corrispondevano a questo lusso non mai visto, e niente sembrava che dovesse comprometterne il successo.
Ma il bollettino e le notizie particolari del disastro subito dal grande esercito in Russia e alla Beresina si erano sparse nel pomeriggio. Una tristezza profonda e sincera s’impadronì dei cittadini, che per un sentimento patriottico, si rifiutarono all’unanimità di ballare. Tra le lettere che giunsero a Douai dalla Polonia ce ne fu una per Baldassarre. De Wierzchownia, allora a Dresda, dove moriva, diceva, in seguito ad una ferita ricevuta negli ultimi scontri, aveva voluto lasciare in eredità al suo ospite molte idee che gli erano venute in mente dopo il loro incontro, circa la ricerca dell’assoluto. Questa lettera fece cadere Claes in una profonda meditazione, che fece onore al suo Patriottismo; ma sua moglie non si lasciò ingannare. Per lei la festa segnò un doppio lutto.
Onesta serata nella quale la casa Claes mandava il suo ultimo bagliore ebbe dunque qualche cosa di cupo e triste in mezzo a tanta magnificenza, a tante curiosità raccolte da sei generazioni, e ciascuna delle quali aveva avuto la sua mania e che gli abitanti di Douai ammiravano per l’ultima volta.
La regina di questo giorno fu Margherita, che allora aveva sedici anni e che i genitori presentarono in società. Essa attrasse tutti gli sguardi colla sua massima semplicità e colla sua aria candida e soprattutto colla sua fisionomia in stile colla casa. Era proprio la giovane fiamminga quale i pittori nazionali hanno ritratta; una testa perfettamente rotonda e piana; capelli castani tirati sulla fronte e separati in due parti; occhi grigi misti a verde, belle braccia, con una rotondità che non nuoceva alla bellezza. un’aria timida, ma sulla fronte, alta e liscia, una fermezza nascosta sotto una calma ed una dolcezza apparenti. Senza essere né triste né melanconica sembrava poco gaia. La riflessione, l’ordine, il senso del dovere, le tre principali caratteristiche fiamminghe, animavano il suo viso, freddo a tutta prima, ma sul quale lo sguardo era ricondotto da una certa grazia nei contorni e da una calma fierezza che offrivano garanzie di una felicità domestica. Per una bizzarria che i fisiologi non hanno ancora spiegata, non aveva nessun lineamento né della madre né del padre, ma era l’immagine vivente dell’ava materna, una Conyncks di Bruges, il cui ritratto conservato con cura, testimoniava la rassomiglianza.
La cena diede qualche vita alla festa. Se i disastri dell’esercito vietavano le gioie della danza, tutti pensarono che non dovevano escludere i piaceri della tavola. 1 patrioti si ritirarono presto. Gli indifferenti rimasero con alcuni giocatori e molti amici di Claes; ma a poco a poco questa casa illuminata con tanto splendore, dove si affollavano tutte le persone più notevoli di Douai rientrò nel silenzio, e verso l’una del mattino la loggia rimase deserta, le luci di sala in sala si spensero. Finalmente il cortile interno poco prima così rumoroso e luminoso, divenne oscuro e cupo; immagine profetica dell’avvenire che attendeva la famiglia. Quando i Claes si ritirarono nel loro appartamento, Baldassarre fece leggere alla moglie, la lettera del polacco che questa gli rese con un gesto triste: essa prevedeva l’avvenire.
Infatti da questo giorno Baldassarre dissimulava a stento la noia e la tristezza da cui era invaso.
Alla mattina, dopo la colazione, giocava un poco in sala col piccolo Giovanni, discorreva colle due figliole intente a cucire, a ricamare o a lavorare all’uncinetto ma tosto si stancava dei giochi e delle chiacchiere, che sembrava fare come un dovere. Quando sua moglie scendeva, dopo essersi vestita, lo trovava sempre seduto nella poltrona, fissi gli occhi su Margherita e Felicita senza infastidirsi al rumore delle loro spolette. Quando arrivava il giornale, lo leggeva lentamente come un negoziante a riposo che non sa come passare il suo tempo. Poi si alzava, guardava il cielo attraverso i vetri, ritornava a sedersi e attizzava il fuoco, sopra pensiero, come un uomo al quale la tirannia delle idee togliesse la coscienza dei propri movimenti. La signora Claes si rammaricò spesso della sua mancanza di istruzione e di memoria. Per lei era difficile sostenere a lungo una conversazione interessante; d’altra parte forse questo è impossibile fra due esseri che, si son detti tutto e che sono costretti a cercare gli argomenti di distrazione al di fuori della vita sentimentale o della vita materiale. La vita sentimentale ha i suoi momenti e vuole le sue difficoltà, i particolari della vita materiale non potrebbero tener per molto tempo occupati spiriti superiori avvezzi alle subite decisioni; e il prossimo è insopportabile a chiama. Due esseri solitari che si conoscano fino in fondo devono cercare le loro distrazioni nelle sfere più alte del pensiero; perché è impossibile opporre qualche cosa di piccolo a ciò che è immenso. E poi, quando un uomo si è abituato ad occuparsi di grandi cose diventa insocievole se non conserva in fondo al cuore quel principio di candore, quell’incuranza che rende la gente di genio così deliziosamente infantile, ma questa infanzia del cuore non è forse un fenomeno umano assai raro in coloro che hanno la missione di tutto vedere, tutto sapere, tutto comprendere ?
Durante i primi mesi, la signora Claes si liberò da questa situazione critica con sforzi inauditi che le vennero suggeriti dall’amore o dalla necessità. Ora essa volle imparare il tric–trac che non aveva mai saputo giocare, e per un miracolo facilmente comprensibile, finì per impararlo. Ora cercava di interessare Baldassarre alla educazione delle figlie chiedendogli di guidare le loro letture. Ma queste risorse si esaurirono. Venne un momento nel quale Giuseppina si trovò, dinanzi a Baldassarre, come la signora di Maintenon davanti a Luigi XIV; ma senza avere, per poter distrarre il signore addormentato, né le pompe del potere, né gli espedienti di una Corte che sapeva recitar commedie come quella dell’ambasciata del re del Siam o del scià di Persia. Ridotto dopo aver rovinata la Francia, a dei mezzucci da ragazzo per procurarsi del denaro, il monarca non aveva più né giovinezza né successo, e soffriva in mezzo alla grandezza di una terribile impotenza; la regale governante che aveva saputo cullare i figli, non seppe sempre cullare il padre, che soffriva per aver abusato degli uomini, della vita e di Dio. Ma Claes soffriva per troppa potenza. Oppresso da un pensiero che lo schiacciava, sognava le pompe della scienza, tesori per l’umanità, per lui la gloria. Soffriva come può soffrire un artista alle prese colla miseria, come Sansone legato alle colonne del tempio. Per questi due sovrani l’effetto era il medesimo, per quanto il monarca intellettuale fosse oppresso dalla forza e l’altro dalla debolezza. Che cosa poteva Pepita da sola contro onesta nostalgia scientifica? Dopo di aver fatto uso delle risorse che le offrivano le occupazioni familiari, invocò in aiuto la società dando due caffè per settimana. A Douai i caffè tengono posto dei The. Un caffè è una riunione nella quale per una intera serata gli invitati bevono dei vini prelibati e liquori dei quali le cantine di questo benedetto paese sono piene, mangiano pasticcini, prendono caffè nero o caffè e latte sbattuto col ghiaccio: mentre le donne cantano romanze, discutono sulle loro vesti, o si raccontano i gravi nonnulla della città. Son sempre i quadri di Mieris e di Terburg, con in meno le anime rosse sui cappelli grigi a punta, e le chitarre e i bei costumi del cinquecento. Ma gli sforzi che Baldassarre faceva per ben rappresentare la sua parte di padrone di casa, la sua affabilità forzata, i fuochi d’artificio del suo spirito, tutto rivelava la profondità del male colla stanchezza in preda alla quale appariva il giorno dopo.
Queste feste continue, deboli palliativi, provarono la gravità del male. Questi rami che Baldassarre incontrava rotolando nel suo precipizio, ritardarono la caduta, ma la resero più pesante. Se non fece mai parola delle sue antiche occupazioni, se non manifestò mai un rimpianto sentendo bene l’impossibilità nella quale si era messo di ricominciare le sue esperienze, ebbe i gesti lenti, la voce fioca, e la debolezza di un convalescente. La sua noia si rivelava perfino qualche volta nel modo con cui prendeva le molle per costruire, nel fuoco, qualche fantastica piramide con del carbone fossile. Quando la sera era passata provava una visibile contentezza; il sonno senza dubbio lo sollevava da un pensiero molesto; poi, il giorno dopo, si alzava malinconico vedendosi dinanzi un’altra giornata da trascorrere, e sembrava misurare il tempo che aveva da consumare come un viaggiatore stanco contempla un deserto che deve attraversare. Benché la signora Claes conoscesse la causa di questo languore, si sforzava di ignorare quanto erano estesi gli effetti disastrosi. Piena di coraggio davanti alle sofferenze della spirito era senza forza contro la generosità del cuore. Non osava interrogare Baldassarre quando ascoltava i discorsi delle figlie e le risa di Giovanni coll’aria di un uomo preoccupato da un pensiero recondito; ma essa fremeva vedendogli scuotere la Malinconia e cercando, per un sentimento generoso, di sembrar gaio per non attristar nessuno.
Le civetterie del padre colle due figlie, o i suoi giochi con Giovanni facevano inumidire gli occhi di Giuseppina che usciva per nascondere l’emozione che gli procurava un eroismo il cui prezzo è ben conosciuto dalle donne e che spezza loro il cuore: la signora Claes in quei momenti aveva voglia di dire: «Uccidimi e fa quel che vuoi».
Gli occhi di Baldassarre a poco a poco andarono perdendo il loro vivo splendore per assumere quella tinta glauca che rende tristi quelli dei vecchi. L e sue cure per la moglie, le sue parole, tutto in lui fu. malato di pesantezza. Questi sintomi, divenuti più gravi verso la fine del se di aprile, spaventarono la signora Claes, per la quale questo spettacolo era insopportabile, e che già si era fatta mille rimproveri ammirando la lealtà fiamminga colla quale suo marito manteneva la parola data. Un giorno che Baldassarre le sembrò più abbattuto del solito non esitò più a sacrificargli qualunque cosa per renderlo alla vita.
– Amico mio, – gli disse, – ti libero dai tuoi giuramenti.

(Fine della quarta parte)

 


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