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Wright of Derby, L'alchimista

 

Honoré de Balzac

Claes L’Alchimista
(La Recherche De L’Absolu)
Nona parte

 

Pierquin facilmente scorse la preferenza che essa gli accordava su Emanuele, e fu per lui una ragione di più per insistere nei suoi tentativi fino a compromettersi più di quanto non fosse nelle sue intenzioni. Emanuele sorvegliò gli inizi di questa passione falsa nel notaio, ingenua in Felicita, il destino della quale era in giuoco. Ne seguì, fra la cugina ed il cugino qualche dolce conversazione, qualche parola sussurrata a bassa voce dietro Emanuele, infine tutte quelle piccole astuzie che danno a uno sguardo, ad una parola, un’espressione la cui dolcezza insidiosa può essere causa di innocenti errori. Approfittando della sua relazione con Felicita, Pierquin tentò di penetrare nel segreto del viaggio di Margherita per sapere se si trattava di matrimonio e se doveva rinunciare alle sue speranze; ma a malgrado della sua gran penetrazione, né Baldassarre né Felicita non poterono dargli nessun lume per il fatto che nulla sapevano dei progetti di Margherita, che, assumendo il potere sembrava averne adottate anche le regole, tacendo i progetti. La pesante tristezza di Baldassarre e il suo abbattimento rendevano le sere difficili a trascorrere. Per quanto Emanuele fosse riuscito a far giocare il chimico a tric trac, Baldassarre era distratto; e per lo più questo uomo, così grande per la sua intelligenza, sembrava stupido. Venute meno le sue speranze, avvilito di aver consumato le sostanze, giocatore senza denaro, piegava sotto il peso delle rovine, sotto il fardello delle sue speranze meno distrutte che ingannate. Questo uomo di genio, prigioniero della necessità, condannando se stesso, offriva uno spettacolo veramente tragico che avrebbe commosso anche l’uomo più insensibile. Lo stesso Pierquin non guardava senza rispetto questo leone in gabbia i cui occhi pieni di una forza compressa erano diventati calmi a furia di tristezza, e spenti a furia di luce; i cui sguardi domandavano una elemosina che la bocca non osava chiedere. Qualche volta passava su questa faccia scarna un lampo che si rianimava per la concezione di una nuova esperienza; poi, se mirando la sala, gli occhi di Baldassarre si posavano sul luogo dove sua moglie era spirata, lagrime leggere scorrevano come ardenti –granelli di sabbia nel deserto delle sue pupille che il pensiero rendeva immense, e il capo gli ricadeva sul petto. Aveva, come un Titano, sollevato il mondo e questo gli precipitava addosso. Questo gigantesco dolore dominato da uno sforzo virile, agiva su Pierquin ed Emanuele che qualche volta si sentivano così commossi che avrebbero offerto a quest’uomo la somma necessaria per qualche serie di esperienze; tanto sono comunicative le convinzioni del genio! Tutti e due capivano come la signora Claes e Margherita avessero potuto gettare dei milioni in questa voragine; ma la ragione fermava subito gli slanci del cuore; e le loro emozioni si riducevano a consolazioni che esacerbavano ancor più le pene di questo Titano fulminato. Claes non parlava della sua figliola maggiore e non si preoccupava né della stia assenza né del silenzio che manteneva, non scrivendo né a lui né a Felicita. Quando de Solis e Pierquin gliene chiedevano notizie sembrava malcontento. Presentiva forse che Margherita agiva contro di lui? Si trovava forse avvilito di aver rinunciato ai diritti maestosi della paternità in favore della figliola? Si trovava forse ad amarla meno perché essa stava per essere il padre e lui il figlio? Forse c’erano molte di queste ragioni e molti di questi sentimenti inesprimibili che passano nell’animo come nubi, nella muta condanna che faceva pesare su Margherita. Per quanto grandi possano essere i grandi uomini. riconosciuti o no, fortunati o sfortunati nei loro tentativi, essi hanno delle piccolezze per le quali partecipano della statura umana. Per una duplice disgrazia essi non soffrono meno per le loro qualità che per i loro difetti; e forse Baldassarre doveva provare i dolori della sua vanità ferita. La vita che conduceva e le sere durante le quali, nell’assenza di Margherita, queste quattro persone si trovarono riunite, furono dunque piene di tristezza e di vaghe inquietudini. Furono giorni sterili come lande secche dove tuttavia spuntano alcuni fiori, rare consolazioni. Nell’assenza della figlia maggiore, divenuta l’anima, la speranza e la forza di questa famiglia, l’atmosfera sembrava loro nebbiosa. Due mesi passarono così durante i quali Baldassarre attese pazientemente la follia. Margherita fu accompagnata a casa dallo zio, che, invece di ritornare a Cambrai, rimase da loro, senza dubbio per dare l’appoggio della sua autorità a qualche colpo di stato ideato dalla nipote. Il ritorno di Margherita fu una piccola festa di famiglia, il notaio e il signor de Solis erano stati invitati a pranzo da Felicita e da Baldassarre; e quando la carrozza da viaggio si fermò davanti alla porta di casa quattro persone vennero ad accogliere i viaggiatori con grandi manifestazioni di gioia. Margherita parve felice di rivedere il focolare domestico; i suoi occhi si empirono di lagrime quando essa attraversò il cortile per giungere in sala. Nell’abbracciar suo padre le sue carezze di giovinetta non furono nondimeno senza un secondo pensiero, essa arrossiva come una sposa colpevole che non sa fingere: ma i suoi sguardi ripresero la loro solita purezza quando si posarono su de Solis, nel quale sembrava attingere la forza di condurre a termine il disegno che aveva segretamente formato. Durante il pranzo, malgrado l’allegria che illuminava i sorrisi e le parole, il padre e la figlia si esaminarono con diffidenza e curiosità. Baldassarre non le rivolse nessuna domanda sul suo soggiorno a Parigi, senza dubbio per dignità di padre. Emanuele de Solis imitò questa discrezione. Ma Pierquin, avvezzo a conoscere tutti i segreti di famiglia, disse a Margherita, celando la sua curiosità sotto una falsa bonomia:
– Ebbene cugina cara, avete visto Parigi, i teatri...
– Non ho visto nulla a Parigi, – essa rispose
– Non ci sono andata per divertirmi. I giorni sono passati assai tristemente per me, ero troppo impaziente di rivedere Douai.
– Se io non mi fossi inquietato non sarebbe venuta all’Opéra, dove d’altra parte si è annoiata! – disse il signor Conyncks.
La serata fu penosa; ognuno era imbarazzato, sorrideva di mala voglia, o si sforzava di dimostrare quella saggezza fittizia sotto la quale si nascondono delle reali inquietudini. Margherita e Baldassarre erano in preda a sorde e crudeli apprensioni che reagivano sui cuori. Più la sera passava e più il contegno del padre e della figlia si alterava. Margherita ogni tanto tentava di sorridere ma i suoi gesti, i suoi sguardi, il suono della sua voce rivelavano una viva inquietudine. Conyncks e de Solis sembravano conoscere la causa dei segreti sentimenti che turbavano la nobile creatura e parevano incoraggiarla con occhiate espressive. Punto dall’esser stato lasciato estraneo alla risoluzione e ai passi fatti per lui, Baldassarre si staccava insensibilmente dai figli e dagli amici affettando di mantenere il silenzio. Margherita gli avrebbe senza dubbio comunicato ciò che, aveva deciso a suo riguardo. Giunta all’età in cui non si nasconde nulla ai propri figli, nella quale la vastità delle idee dà a ai sentimenti, diveniva sempre più grave, pensieroso e addolorato, vedendo avvicinarsi il momento della sua morte civile. Quella seri segnava una di quelle crisi della vita interiore che non si posso. no spiegare che con immagini. Le nubi e la tempesta andavano addensandosi nel cielo mentre nella campagna si rideva; ognuno soffocava, sentiva il temporale, alzava il capo e continuava il suo cammino. Il signor Conyncks per il primo andò a dormire e fu accompagnato in camera da Baldassarre. Durante la sua assenza Pierquin e De Solis se ne andarono. Margherita fece un saluto molto affettuoso al notaio, non disse nulla a Emanuele, ma gli strinse la mano e gli diede un’umida occhiata. Rimandò Felicita e quando Claes ritornò in sala, trovò la figlia, sola.
– Mio buon padre, – gli disse con voce tremante, – ci son volute le gravi circostanze in cui ci troviamo perché io abbandonassi la casa– ma, dopo molte angosce, e dopo aver superato difficoltà inaudite, ritorno con qualche speranza di salvezza per tutti. Grazie al vostro nome, all’influenza di nostro zio, alle protezioni di de Solis, abbiamo ottenuto per voi un posto di ricevitore del registro in Bretagna; questo ufficio rende, mi hanno detto, da diciotto a ventimila lire all’anno. Lo zio ha dato la cauzione. – Ecco la vostra nomina, – disse, estraendo una lettera dalla valigia. Il vostro soggiorno qui, durante anni di privazioni e di sacrifici, sarebbe Incompatibile: nostro padre deve rimanere in una situazione almeno uguale a quella in cui ha sempre vissuto. Non vi chiederò nulla dei vostri guadagni, voi li userete come crederete meglio. Vi supplico solo di pensare che noi non abbiamo un soldo di rendita e che vivremo tutti di ciò che Gabriele ci darà della sua. La città non saprà nulla di questa vita claustrale. Se voi rimaneste con noi costituireste un ostacolo per i mezzi che useremo, mia sorella ed io, per cercar di ricostruire l’agiatezza. È forse un abusare dell’autorità che mi avete concessa il mettervi in grado di rifare voi stesso la vostra sostanza? Fra qualche anno, se lo volete, sarete ricevitore generale.
– Così, Margherita, – disse con dolcezza Baldassarre, – tu mi scacci dalla mia casa...
– Io non merito un rimprovero così duro, rispose la figlia comprimendo i battiti affannosi del cuore. – Voi ritornerete fra noi quando potrete stare nella vostra città natale come conviene che voi vi mostriate. D’altra parte, padre, non ho la vostra parola? – essa riprese freddamente. Voi dovete obbedirmi. Lo zio è rimasto per accompagnarvi in Bretagna, perché non facciate il viaggio da solo.
– Io non andrò, esclamò Baldassarre alzandosi; – non ho bisogno dell’aiuto di nessuno per ricostruire la mia sostanza e pagare quel che devo ai miei figli.
– Ciò sarà anche meglio, – riprese Margherita senza commuoversi. – Vi pregherò soltanto di riflettere sulla nostra rispettiva situazione che andrò mostrandovi in poche parole. Se voi restate in questa casa i vostri figli ne usciranno per lasciarvene padrone.
– Margherita!– esclamò Baldassarre.
– Poi – essa disse senza far attenzione all’irritazione del padre, – bisogna informare il Ministro del vostro rifiuto; se voi non accettate un posto conveniente e onorevole, che malgrado i nostri passi e le nostre protezioni non avremmo avuto senza qualche biglietto da mille abilmente introdotto da mio zio nei guanti di una signora...
– Lasciarmi!
– 0 voi ci lascerete o noi scapperemo, replicò essa. – Se io fossi la vostra unica figlia, imiterei mia madre, senza lamentarmi del destino che mi avreste preparato. Ma i miei fratelli non devono morire di fame o di disperazione vicino a voi; l’ho promesso a quella che è morta là, – disse mo2trando il letto di sua madre. – Noi vi abbiamo tenuto celati i nostri dolori, abbiamo sofferto in silenzio; oggi le nostre forze sono esaurite. Noi non siamo più sull’orlo di un abisso, ne siamo in fondo, padre mio! Per poterne uscire non abbiamo bisogno solo di coraggio, bisogna anche che i nostri sforzi non sieno continuamente frustrati dai capricci di una passione...
– Cari i miei figlioli!– esclamò Baldassarre prendendo la mano di Margherita, – io vi aiuterò, io lavorerò, io...
– Ecco i mezzi – rispose essa tendendogli la lettera ministeriale.
– Ma angelo mio, il mezzo che tu mi offri per ricostruire la mia sostanza è troppo lento! Tu mi fai perdere il frutto di dieci anni di lavoro, e le somme enormi che rappresenta il mio laboratorio. Là, – disse indicando il solaio, – sono tutte le mie risorse.
Margherita si diresse verso la porta dicendo:
– Padre, a voi la scelta!
– Ah, figlia mia, sei ben dura!– rispose sedendosi in una poltrona e lasciandola uscire.
La mattina dopo Margherita seppe da Lemulquinier che il signor Claes era uscito. Questa semplice notizia la fece impallidire, e il suo contegno fu così terribilmente espressivo che il vecchio cameriere disse:
– Stia tranquilla, signorina; il signore ha detto che sarebbe tornato alle undici per la colazione. Non è andato a letto. Alle due del mattino era ancora in piedi, in sala a guardare dalla finestra i tetti del laboratorio. Lo aspettavo in cucina, e lo vedevo, piangeva: è addolorato. Ecco il famoso mese di luglio nel quale il sole è in grado di farci tutti ricchi, e se voi voleste...
– Basta!– disse Margherita indovinando tutti i pensieri ai quali aveva dovuto essere in preda suo padre.
Si era verificato in realtà, in Baldassarre, quel fenomeno che è proprio di tutte le persone sedentarie: la sua vita dipendeva, per così dire dai luoghi coi quali si era identificato; il suo pensiero legato al suo laboratorio e alla sua casa glieli rendeva indispensabili, come lo è la Borsa per il giocatore per il quale i giorni di vacanza sono giorni perduti. Là si trovavano le sue speranze, là scendeva dal cielo la sola atmosfera nella quale i suoi polmoni potevano trovare l’ossigeno. Questo legame dei luoghi e delle cose cogli uomini, così potente nelle nature deboli, diventa quasi una tirannia negli uomini di scienza e di studio. Lasciar la sua casa voleva dire per Baldassarre rinunciare alla scienza, al suo problema; era come morire.
Margherita rimase in un’ansia terribile fino all’ora di colazione. La scena che aveva indotto Baldassarre a voler ucciderai le era tornata in niente e temeva di veder risolversi tragicamente la situazione disperata in citi suo padre si trovava. Andava e veniva per la sala trasalendo ogni volta che squillava il campanello della porta. Finalmente Baldassarre ritornò. Mentre attraversava il cortile Margherita, scrutato il suo viso con inquietudine, noti vi scorse che l’espressione di un dolore tempestoso. Quando entrò in sala essa si avanzò verso di lui per dargli il buongiorno: egli la prese affettuosa. mente per la vita, la strinse al petto, la baciò in fronte e le disse all’orecchio:
– Sono andato a chiedere il passaporto.
Il suono della voce, lo sguardo rassegnato, i movimenti di suo padre tutto spezzò il cuore della povera fanciulla che volse il capo per non lasciar scorgere le lacrime, ma, non potendo trattenerle, andò in giardino e li pianse a suo agio. Durante la colazione Baldassarre si mostrò gaio come un uomo che aveva preso la sua decisione.
– Dunque noi partiremo per la Bretagna, zio? – disse a Conyncks – Io sempre avuto il desiderio di vedere quel paese.
– Vi si vive a buon mercato, – rispose il vecchio zio.
– Il papà ci lascia? – esclamò Felicita.
De Solis entrò conducendo Giovanni.
– Ce lo lascerete, oggi, – disse Baldassarre ponendo suo figlio vicino a lui; – parto domani e voglio salutarlo.
Emanuele guardò Margherita che chinò il capo, fu questa una giornata pesante durante la quale ognuno fu triste e nascose dei pensieri e delle lagrime. Non era una assenza, ma un esilio. Poi tutti, istintivamente, sentivano ciò che c’era di umiliante per un padre a dover così pubblicamente riconoscere i suoi misfatti coll’accettare un posto e coll’abbandonare la famiglia, all’età di Baldassarre. Lui solo fu grande come Margherita fu ferma; e sembrò accettare con nobiltà questa penitenza delle colpe che gli eccessi del genio gli avevano fatto commettere.
Quando la sera fu passata e il padre e la figlia si trovarono soli, Baldassarre, che durante tutto il giorno s’era mostrato tenero e affettuoso così come lo era ai bei tempi della sua vita patriarcale, tese la mano a Margherita e le disse con una specie di tenerezza disperata:
– Sei contenta di tuo padre?
– Siete degno di lui! – rispose Margherita mostrandogli il ritratto di Van Claes.
La mattina dopo Baldassarre, seguito da Lemulquinier, salì nel suo laboratorio come per dire addio alle speranze che aveva carezzate e che le esperienze iniziate gli rappresentavano al vivo. Il padrone e il servitore si scambiarono uno sguardo pieno di malinconia entrando nel solaio che stavano per abbandonare, forse per sempre. Baldassarre contemplò le sue macchine sulle quali il suo pensiero si era così a lungo indugiato, e ciascuna delle quali era congiunta al ricordo di una ricerca o di una esperienza. Ordinò con aria triste a Lemulquinier di far evaporare gas o degli acidi pericolosi, di separare sostanze che avrebbero potuto esplodere. Pur prendendo tutte queste cautele, esprimeva dei rimpianti amari, come fa un condannato a morte prima di andare al patibolo.
– Ecco però, – disse fermandosi davanti ad una capsula nella quale erano immersi due fili di una pila di Volta, una esperienza da cui si doveva attendere un risultato.
– Se essa riuscisse, terribile pensiero!–– i miei figli non caccerebbero di casa un padre che potrebbe gettare dei diamanti ai loro piedi... Ecco una combinazione di carbonio e di zolfo,– aggiunse parlando a se stesso, – nella quale il carbonio fa la parte di corpo elettropositivo, – la cristallizzazione deve cominciare al polo negativo; e nel caso di decomposizione, il carbonio vi si concentrerebbe cristallizzato...
– Ah, sarebbe così – disse Lemulquinier contemplando il suo padrone con ammirazione.
– Ora, – riprese Baldassarre dopo una pausa, – la combinazione è sottoposta all’influenza di questa pila che può agire...
– Se il signore vuole, posso aumentarne l’effetto...
– No, no, bisogna lasciarla come è. Il riposo e il tempo sono delle condizioni essenziali alla sua cristallizzazione!...
– Perbacco, bisogna che abbia il suo tempo questa cristallizzazione,– esclamò il servitore.
– Se la temperatura si abbassa il solfuro di carbonio si cristallizzerà – disse Baldassarre, continuando ad esprimere per frammenti i pensieri indistinti di una meditazione completa nel suo intelletto; – ma se l’azione della pila opera in certe condizioni che io ignoro... bisognerebbe tener d’occhio questo... è possibile. Ma a che cosa penso? Non si tratta più di chimica: dobbiamo andar a fare il ricevitore in Bretagna...
Claes uscì a precipizio e discese per fare un’ultima colazione in famiglia alla quale assistettero Pierquin e de Solis. Baldassarre, impaziente di finire la sua agonia scientifica, disse addio ai figlioli e salì in vettura collo zio, tutti lo accompagnarono sulla soglia della porta. Là, Margherita, quando ebbe abbracciato suo padre con una stretta disperata alla quale rispose dicendole all’orecchio: " Sei una brava figliola. E io non te ne rimprovererò mai!", attraversò la corte, si rifugiò nella sala, si inginocchiò al posto dove sua madre era morta e fece a Dio una ardente preghiera per chiedergli la forza di compiere i faticosi doveri della sua nuova vita. Era già fortificata dalla voce inferiore che le avevano messo in cuore il consentimento degli angeli e la riconoscenza di sua madre, quando sua sorella e i suoi fratelli, Emanuele e Pierquin rientrarono, dopo aver seguito con lo sguardo la carrozza fin che scomparve.
– Ebbene, signorina, che cosa, farete? – le disse Pierquin.
– Salverò la casa, – essa rispose con semplicità.– Noi possediamo milletrecento iugeri abbondanti a Waignies. La mia intenzione è di farli sodare, dividerli in tre tenute, costruire i fabbricati necessari per il loro sfruttamento e affittarli, e credo che fra qualche anno con molta economia e pazienza, ciascuno di noi, – disse indicando sua sorella e suo fratello,– avrà una rendita di quattrocento iugeri e qualche cosa di più che potrà valere, un giorno, quasi quindicimila lire di rendita. Mio fratello, Gabriele si terrà per la sua parte questa casa e ciò che possiede sul libro mastro. Poi un giorno restituiremo a nostro padre la sua sostanza, svincolata da ogni aggravio, consacrando le nostre rendite per pagare i suoi debiti.
– Ma, cara cugina, disse il notaio stupefatto da questa competenza d’affari e della fredda ragione di Margherita, – vi occorrono più di duecentomila lire per dissodare i vostri terreni, costruire le vostre fattorie, e comperare del bestiame... Dove troverete questa somma?
– Qui cominciano le mie difficoltà, – disse guardando successivamente il notaio e de Solis; – non oso chiederli a mio zio che ha già fatta la cauzione di mio padre!
– Voi avete degli amici!– esclamò Pierquin intravedendo d’un tratto che le signorine Claes sarebbero ancora delle ragazze di più di cinquecentomila lire.
Emanuele de Solis guardò Margherita con tenerezza, ma Pierquin, per sua disgrazia, rimase notaio in mezzo al suo entusiasmo e riprese così:
– Ve le offro io queste duecentomila lire!
Emanuele e Margherita si consultarono con uno sguardo che fu un lampo per Pierquin. Felicita arrossì eccessivamente tanto era felice di trovare il cugino così generoso come si augurava. Guardò sua sorella che, d’un tratto, indovinò, che durante la sua assenza, la povera ragazza si era lasciata lusingare da qualche banale galanteria di Pierquin:
– Non mi pagherete che il cinque per cento di interesse, – aggiunse. – Mi rimborserete quando vorrete, e mi darete una ipoteca sui vostri terreni. Ma state tranquilla, non avrete che a pagare le spese per tutti i vostri contratti: vi troverò dei buoni fittavoli, e farò i vostri affari gratuitamente, per aiutarvi da buon parente.
Emanuele fece un segno a Margherita per indurla a rifiutare; ma questa era troppo preoccupata a studiare i mutamenti che passavano sulla fisionomia della sorella per accorgersene. Dopo una pausa guardò il notaio con aria ironica e gli disse, per conto suo, con gran gioia di De Solis:
– Voi siete un gran buon parente; non mi aspettavo meno da voi, ma l’interesse del cinque per cento ritarderebbe troppo la nostra liberazione, aspetterò che mio fratello sia maggiorenne, e venderemo le sue rendite.
Pierquin si morse le labbra; Emanuele si mise a sorridere dolcemente.
– Felicita, figliola cara, riconduci in collegio Giovanni; Marta ti accompagnerà, – disse Margherita indicando il fratello: – Giovanni, angelo mio, sii buono, non strappare i vestiti, non siamo ricchi abbastanza per rinnovarteli continuamente come facciamo! Andiamo, dunque, vai piccino mio, studia bene.
Felicita uscì col fratello.
– Cugino, disse Margherita a Pierquin,– e voi signore, disse a de Solis, – siete venuti senza dubbio a trovar mio padre durante la mia assenza? Vi ringrazio di queste prove di amicizia. Voi non farete, senza dubbio, di meno per due povere ragazze che stanno per aver bisogno di consigli. Intendiamoci a questo proposito... Quando sarò in città vi riceverò tutti i giorni col maggior piacere; ma quando Felicita sarà qui sola con Josette e Maria non c’è bisogno che vi avverta che essa non deve veder nessuno fosse pure un vecchio amico, o il più affezionato dei parenti. Nelle circostanze in cui ci troviamo, la nostra condotta deve essere di una severità irreprensibile. Eccoci per molto tempo votate al lavoro e alla solitudine.
Ci fu silenzio per qualche momento. Emanuele immerso nella contemplazione della testa di Margherita sembrava muto, Pierquin non sapeva che cosa dire. Il notaio si congedò da sua cugina, provando un impeto di rabbia contro se stesso: d’un tratto, aveva indovinato che Margherita amava Emanuele, e che lui si era appena comportato da vero sciocco.
– Ah, ecco – Pierquin, amico mio, – si disse parlando fra sé, in istrada, – uno che ti dicesse che sei un grande animale avrebbe ragione. Non sono una bestia? Ho dodicimila lire di rendita, oltre alla mia professione, senza contare l’eredità di mio zio Des Raquets, di cui sono il solo erede, e che un giorno o l’altro (del resto io non gli auguro di morire, è così economo!) raddoppierà la mia sostanza... e ho la bassezza di chiedere gli interessi alla signorina Claes! Son certo che quei due in questo momento se la ridono alle mie spalle. No. Non devo più pensare a Margherita! Dopo tutto Felicita è una dolce e buona e cara creatura che va meglio per me. Margherita ha un carattere di ferro e vorrebbe dominarmi e mi dominerebbe! Andiamo, siamo generosi, non siamo poi così notai, non posso dunque liberarmi da questo giogo? Perbacco, voglio mettermi ad amar Felicita e non parlo più di quell’altro sentimento. Caspita! essa avrà una fattoria di quattrocentotrenta iugeri, che in un dato tempo renderà fra le quindici e le ventimila lire, poiché i terreni di Waignies sono buoni. Che mio zio Des Raquets, muoia, pover’uomo! Vendo il mio studio e sono un uomo di cinquantamila lire di rendita. Mia moglie è una Claes, e io sono imparentato con famiglie notevoli. Diamine, vorrò vedere se i Comteville, i Magalhens, i Savaron de Savarus rifiuteranno di frequentare un Pierquin Claes–Molina–Nourho. Sarò sindaco di Douai, avrò la croce, posso essere deputato, arrivo a tutto. Ah! ecco, Pierquin, figlio mio, penna a questo, non facciam più delle sciocchezze, tanto più che, parola d’onore, Felicita... la signorina Felicita Van Claes, ti ama.
Quando i due innamorati rimasero soli, Emanuele tese una mano a Margherita che non poté trattenersi dal mettervi la sua destra. Si alzarono per un moto concorde dirigendosi verso la loro panchina in giardino; ma in mezzo alla sala l’innamorato non poté trattenere la sua gioia e con voce tremante per l’emozione, disse a Margherita:
– Ho trecentomila lire per voi!...
– Come, – essa esclamò, – la povera mamma vi avrebbe ancora confidato?... No, Che?
– Oh, Margherita mia, ciò che è mio non è vostro? Non siete stata voi che per la prima avete detto noi?
– Caro Emanuele,– disse stringendo la mano che tratteneva sempre e invece di andare in giardino si lasciò cadere sulla poltrona.
– Non sono io che devo ringraziare voi, – disse con voce amorosa,– perché accettate?
– Questo momento, mio amatissimo, cancella tanti dolori e avvicina un bell’avvenire! Sì, io accetto la tua fortuna, – essa riprese lasciando errare sulle sue labbra un sorriso angelico, – conosco il modo di farla diventar mia e guardò il ritratto di Van Claes come per avere un testimonio. Il giovane che segui gli sguardi di Margherita non la vide togliersi dal dito un anello di giovinetta e non si accorse di questo gesto se non nel momento in cui udì queste parole: – In mezzo alle nostre profonde infelicità sorge una felicità: mio padre, per incuranza, mi liscia la libera disposizione di me, – disse tendendo l’anello, – prendi Emanuele! Mia madre ti aveva caro e ti avrebbe scelto.
Ad Emanuele vennero le lagrime agli occhi, impallidì, cadde in ginocchio, e disse a Margherita donandole l’anello che portava sempre.
– Ecco la fede di mia madre – Margherita mia, – riprese, baciando l’anello,– non avrò dunque altro pegno che questo?
Essa si chinò per accostare la sua fronte alle labbra di Emanuele:
– Ahimè, mio povero caro, non facciamo noi qualche cosa di male? – disse tutta commossa, perché noi dovremo aspettare molto tempo.
– Mio zio diceva, parlando del cristiano che ama Dio, che l’adorazione era il pane quotidiano della pazienza. Io posso amarti così, e già da molto tempo ti ho identificato col Signore di tutte le cose: sono tuo, come sono suo.
Per qualche momento rimasero in preda all’ebbrezza più dolce. Fu la calma e sincera effusione di un sentimento che, simile a una sorgente –troppo piena, traboccava in piccole onde incessanti. Gli avvenimenti che separavano i due innamorati erano la causa di una malinconia che aveva reso il loro amore più forte, dandogli qualche cosa di acuto come il dolore. Felicita ritornò troppo presto per loro. Emanuele reso perspicace dal tatto delizioso che in amore fa intuire tutto, lasciò sole le due sorelle dopo aver scambiato con Margherita uno sguardo nel quale essa poteva scorgere quanto gli costasse tale discrezione, poiché con esso rivelò quanto fosse avido di questa felicità desiderata per tanto tempo, e che era appena stata consacrata dal fidanzamento del cuore.
– Vieni qui, sorellina, – disse Margherita prendendo Felicita per il collo. Poi conducendola verso il giardino andarono a sedersi sulla panchina dove ogni generazione era venuta a confidare i suoi segreti d’amore, i suoi sospiri di dolore, le sue meditazioni e i suoi progetti.
Malgrado il tono allegro e l’amabile finezza del sorriso di sua sorella, Felicita si sentiva in preda ad una emozione che somigliava alla paura; Margherita le prese la mano e la sentì tremare.
– Signorina Felicita, – disse la sorella maggiore, avvicinandosi all’orecchio della minore – io leggo nella vostra anima. Pierquin durante la mia assenza, è venuto spesso, è venuto tutte le sere, vi ha detto delle paroline dolci, e voi le avete ascoltate. – Felicita arrossì – Non scusartene, angelo mio, riprese Margherita, – è una cosa così naturale l’amare! Forse la tua anima cara modificherà un poco la natura del cugino; è egoista, interessato, ma è un uomo onesto; e senza dubbio i suoi difetti serviranno alla tua felicità. Ti amerà come la più bella delle sue proprietà, tu farai parte dei suoi affari. Mi perdoni questa parola, amica mia? Tu lo correggerai della cattiva abitudine che ha preso di non veder ovunque che degli interessi, facendogli conoscere le esigenze del cuore.
Felicita non poté trattenersi dall’abbracciar sua sorella.
– D’altra parte, – riprese Margherita, – ha della sostanza. La sua famiglia appartiene alla più alta ed antica borghesia. Mi opporrò io forse alla tua felicità, se tu la vuoi trovare in una condizione mediocre?
Felicita si lasciò sfuggire queste parole:
– Cara sorella!
– Oh, sì, tu puoi confidarti con me, – esclamò Margherita. – Che cosa di più naturale che raccontarci i nostri segreti?
Questa parola piena di anima provocò una di quelle conversazioni deliziose nelle quali le giovinette si dicono tutto. Quando Margherita, resa esperta dall’amore, ebbe conosciuto le condizioni del cuore di Felicita, finì dicendole:
– Ebbene, cara figliola, assicuriamoci che il cugino ti ami veramente, e... allora...
– Lascia fare a me, – rispose Felicita, – ho i miei mezzi.
– Pazzerella!– disse Margherita baciandola in fronte.
Per quanto Pierquin appartenesse a quella categoria di uomini che, nel matrimonio vedono degli obblighi, l’applicazione delle leggi sociali, e un mezzo per trasmettere dei beni; che gli fosse indifferente lo sposare Felicita o Margherita se l’una e l’altra avevano lo stesso nome e la stessa dote, s’accorse tuttavia che tutt’e due erano, secondo una sua espressione, delle ragazze romantiche e sentimentali, due aggettivi che la gente senza cuore adopera per burlarsi dei doni che la natura semina con mano avara nei solchi della umanità; il notaio si disse che bisognava urlare coi lupi; e il giorno dopo venne a trovare Margherita, la condusse, con aria di mistero nel giardino, e si mise a parlar da sentimentale, perché era una delle clausole della prima parte del contratto che secondo le leggi del mondo, doveva precedere il contratto notarile.
– Cara cugina – le disse, – noi non siamo sempre stati del medesimo parere circa i mezzi da usare per arrivare ad una conclusione felice dei vostri affari; ma voi oggi dovete riconoscere che io sono sempre stato mosso da un grande desiderio di esservi ritrae. Ebbene, ieri ho guastato la mia offerta per una fatale abitudine che ci lascia lo spirito notarile, capite?... Ma il mio cuore non era complice in questa sciocchezza. Io vi ho amata, ma noi altri abbiamo una certa perspicacia, noi altri, e mi sono accorto che non vi piacevo. È colpa mia! Un altro è stato più bravo di me. Ebbene vi vengo a confessare, proprio alla buona, che sento un vero amore per vostra sorella Felicita. Trattatemi dunque come un fratello! Attingete alla mia borsa, prendetela anche! Più voi prenderete e più mi proverete l’amicizia. Sono tutto vostro, senza interesse, capite? Né grande, né piccolo. Che sia ritenuto degno di Felicita e io sarò contento. Perdonatemi: i miei difetti non provengono che dall’abitudine degli affari, il cuore è buono, e io mi getterei nella Scarpa, piuttosto di non rendere felice mia moglie.
– Ecco una bella cosa! cugino, – disse Margherita, – ma mia sorella dipende da lei e da nostro padre...
– Lo so, cara cugina, – disse il notaio,– ma voi siete la madre di tutta la famiglia e nulla mi sta più a cuore che di farvi giudice del mio.
Questo modo di parlare rivela assai bene lo spirito dell’onesto notaio. Più tardi Pierquin divenne celebre per la sua risposta al comandante del campo di Sant Omer che l’aveva pregato di intervenire ad una festa militare, e che fu così concepita:
Il signor Pierquin Claes di Molina Nourho, Sindaco della città di Douai, cavaliere della Legion d’Onore, avrà quello di venire.... etc.

(Fine della parte nona)

 


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