Studi

 

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Maurizio Nicosia

L’alchimia pratica
o la conoscenza poetica

Introduzione al testo di Pancaldi, Alchimia pratica, Atanòr

 

La lingua tesse la sua opera intorno al silenzio come l’oasi si stende intorno alla sorgente.
Ernst Jünger, Trattato del ribelle

A coloro che seggono nel fresco giardino della fonte Igea e si dilettano ad ascoltare le conversazioni degli uccelli, lo zampillìo dell’acqua che volge il tempo, la rugiada che goccia di foglia in foglia e l’erba che cresce, né i libri né tanto meno le prefazioni giovano più. I libri li hanno infranti, come vuole la tradizione, in un festoso volo di colombe.
Ai ‘peripatetici’, che passeggiano curiosi e vigili intorno alle mura di cinta dell’Ars Regia, cercando soglie e varchi tra la fitta vegetazione che da tempo le ricopre, son dunque destinate queste poche righe: dubbiosi delle magnifiche e progressive sorti dell’umanità, delle intermittenti verità della scienza, i più assaporano il gusto proibito dell’occulto a scrutare, all’ombra delle mura regali, ora le crittografie ermetiche, ora i rivoli d’altre antiche sapienze dai profumi orientali.
E se tra questi è uno sparuto drappello d’insaziabili divoratori di libri, come accade a ogni autentico figlio di Cronos, certamente ha già incontrato sul proprio cammino l’intricato sottobosco di dissezioni anatomiche sul corpo ermafrodita dell’alchimia, di severe, perentorie condanne o d’ispirate ed entusiaste professioni di fede. A questo libro si volge dunque il drappello per una boccata d’aria, d’aria d’alta montagna, irresistibilmente attratto da quell’aggettivo ormai desueto in questo campo: esiste ancora, forse, un’alchimia pratica?

Esiste. Sovranamente indifferente alle irrisioni della scienza e del suo corteo di tecniche della quantità, alle idee prêt–à–porter, alla maschera della morte: la moda, un forno tuttora s’accende da qualche parte a ogni levar di luna, a testimoniare con la sua calda, caldissima, vibrante luce altri orizzonti della conoscenza, e anzitutto altri vertici.
L’incontro tra il tavolo anatomico e la macchina da cucire, ha ammonito il conte di Lautréamont nella sua breve vita, è fortuito ed episodico. Ogni qual volta è accaduto ne son sorti bisticci: presupponendo il tavolo anatomico della Scienza la costante ripetizione del simile e l’invarianza, sperando la macchina da cucire dell’Arte nell’eccezione, nella realizzazione dell’unico e dell’assoluto.
Sul tavolo anatomico la natura denudata viene esibita come congegno a innesco temporale e meccanismo, per l’Arte il vivo corpo della Natura veste i panni immortali di Sofia. Che nel guscio avvolgente del forno l’Opera tuttora si compia, che tuttora il seme maturi, dispieghi fronde filosofiche al pari dell’albero adamico, salvo che per l’Artista e il suo destino, non è essenziale saperlo.
Parimenti, che un tempo lo straordinario evento sia avvenuto: troppi i pregiudizî, di scettici e fedeli, remote le testimonianze. Essenziale, per coloro che non seggono ancora nel fresco giardino d’Igea, è che giunga l’eco custode delle Vestali, che il vento rechi ancora una scintilla accesa del loro braciere. Essenziale non è il compimento, fuor della cinta, ma il compito: essenziale è che la conoscenza poetica non si spenga. La poesia, ricorda un Maestro, attesta che l’uomo è potuto penetrare nei fiorenti giardini oltre le strette maglie del tempo.

Ermafrodita è la conoscenza poetica. Sgorga dall’immaginario ma trasmuta il mondo reale. Ben lungi dall’alchimia ‘spirituale’, che non è parto tardivo del secolo scorso ma già vagisce in età barocca, l’alchimia, che mal sopporta aggettivi al fianco, è sempre ‘poetica’, e sin dalla notte dei tempi: fattiva, fabbrile, come vuole l’originario conio greco, ‘poiêin’: addita con decisione e il fare, e il creare.
Sul vivo, nutriente corpo della Natura la conoscenza poetica opera e concreta, con dedizione, pazienza e amore. Ma opera anche poeticamente: il suo fare è di necessità un creare, sulle orme della Genesi. Perciò esige un oratorio accanto al laboratorio. Arduo per i tempi odierni, incosciamente pervasi da uno strisciante nominalismo, risucchiati dal vortice della deiezione, comprendere la potestà creatrice della poesia, la pietra filosofale del plumbeo linguaggio d’ogni dì: sotto le fiumane di parole stagna oggi un silenzio atroce. Plutarco e i suoi sodali che s’interrogano impietriti dal timore desterebbero oggi il sorriso: non più in metro gli oracoli d’Apollo pizio, possono ancora dirsi sacri? Non sono il funereo sigillo d’un triste tramonto profano le sue risposte prosaiche?
Ben prima, Socrate a un passo dalla morte, prossimo a bere la bevanda di cicuta, lamenta di non aver scritto versi. In momento sì cruciale è raro ci si dolga di non aver coltivato un vezzo. Potrebbe essere solo un vezzo la capacità di trasmutare il senso del mondo con la parola? La facoltà demiurgica squarcia la notte dei tempi con la luce del verbo: Ptah, Vac, Logos, Verbum, Orfeo, Thot, Ermes. Ammantata con questi e altri nomi s’è cantata sul globo terracqueo la conoscenza poetica, creatrice e generante: Scientia sine Ars nihil est.

Alchimia e poesia si dilettano a scambiarsi i ruoli; a una alchimia della poesia fa eco una poesia dell’alchimia. Innumerevoli gli esempî, e di rara bellezza. Consente il reciproco commercio e il frequente gioco degli scambi il comune ma tutt’altro che volgare demanio della trasmutazione. Nel capiente vaso dell’immaginario la conoscenza poetica avvolge il mondo d’una lucente ragnatela e pazientemente lo distilla.
Con l’invisibile e sottile ma salda trama di corrispondenze, con la scala delle analogie che s’eleva per gradi ma sfugge a ogni misurazione, rivela la perpetua catena delle metamorfosi e i reami della Terra ancora inesplorata. La materia prima dello spirito è la parola, e perciò tagliata all’edificio dei ponti più arditi: a valicare d’un balzo, con unica campata, gli abissi del tempo.
Con un neologismo assai arduo a tradursi, Zwischenwelt, ‘mondo–tra–due’, ‘tra–mondo’, Rilke appellava quest’andito interstiziale dove s’annida la remota e però concreta possibilità di trascendere il tempo, andito caro a poesia e alchimia, le pontefici massime. Luogo di transito, com’è l’uomo, luogo dove materia e spirito mostrano i due volti dello stesso, unico essere che la tradizione chiama Natura. Da questa copiosa, inesauribile sorgente attinge la pratica, l’opificio dell’Arte. Qui forgia gli strumenti, e le chiavi. Pancaldi lo sa e con onesta generosità ne offre qualcuna. Al lettore trovare le porte.

 


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