Note

  1. H. Clausen, Commentarî a Morale e dogma, RSAA, USA 1978, p. 9. 
  2. A. Basso, L’invenzione della gioia. Musica e massoneria nell’età dei Lumi, Milano 1994, p. 105; G. Du Bosq De Beaumont, M. Bernos, La Cour des Stuarts à Saint-Germain-en-Laye, Parigi 1912. 
  3. A. Basso, op. cit., p. 105. 
  4. M. C. Jacob, L’illuminismo radicale: panteisti, massoni e repubblicani, Bologna 1983, pp. 153-54. 
  5. Non mi è stato possibile identificare con certezza a quale tipo di cardo appartenga quello raffigurato nel gioiello, ma è il caso di aggiungere che ve n’è una specie nota nel mondo anglosassone come cardo scozzese, e un’altra nota come cardo della Vergine. Entrambi si distinguono per i frutti dal grande bulbo coronato. È dunque probabile che il cardo del gioiello possa essere uno dei due. 
  6. Cfr. H. Clausen, op. cit., p. 178; S. Farina, Gli emblemi araldici della libera muratoria, Roma 1979, pp. 84-85; Porciatti, invece, in Simbologia massonica. Gradi scozzesi, Roma 1990, p. 232, afferma che i templari avrebbero scoperto tre pietre con la «Gran Parola». Tornati in Scozia, le depositarono il giorno di S. Andrea come fondamento della loro Officina. Porciatti chiama il grado Grande Scozzese di S. Andrea di Scozia. Sulla leggenda templare si è a lungo dibattuto, sostenendo che si deve a Ramsay l’indicazione delle origini cavalleresche della Massoneria e l’istituzione degli alti gradi. Il suo famoso discorso del 1736 però non fa cenno alcuno agli alti gradi, menziona solamente i primi tre. Quanto alle origini cavalleresche e templari della Massoneria, Ramsay non è il primo: appaiono già in un’opera anonima del 1724 (Letter from the Grand Mistress...), e in un’altra del 1730, Defence of Masonry, attribuita a Martin Clare, membro autorevole della GL di Londra. Ramsay era Scozzese di nascita e cattolico, fu precettore dei rampolli di casa Stuart ed era in rapporti epistolari col giacobita inglese Mr. Carte; è morto nel 1743 a Saint-Germain-en-Laye, rifugio francese di Giacomo II e dell’aristocrazia giacobita, nonché centro del Capitolo di Clermont (nato proprio nel 1688, data d’arrivo di Giacomo II): la leggenda delle origini cavalleresche della Massoneria, dovunque sia sorta, fu fatta propria dai giacobiti come metafora della propria causa; il Capitolo di Clermont è il primo in cui figuri esplicitamente un grado di Cavaliere templare; nella cerchia giacobita si ’scriveva’ «Gerusalemme» e si pronunciava Londra: questa era la «Gerusalemme» da riconquistare. 
  7. Julien Pyron, fondatore del RSAA d’Italia, afferma: «Carlo Edoardo, ultimo rampollo degli Stuart, fu il capo della Massoneria antica e moderna. Egli designò, come Gran Maestro e suo successore Federico II, re di Prussia» (J. Pyron, Extrait du Livre d’or du Suprème Conseil a l’Or de Paris, Parigi 1813, p. 9). Con la Costituzione del Rito di Perfezione, lo Scozzesismo appare ancora distante dal deismo della Massoneria inglese. Nelle Costituzioni di Bordeaux del 1762 si richiede di sottomettersi «ai doveri della religione del paese» per essere iniziati (La carta del 1762, in «Tempio scozzese», II, 1984; nelle Costituzioni di Federico è prescritto che almeno quattro dei nove membri di un Supremo Consiglio dovranno «professare la religione prevalente nel paese»). In questa prima, fondamentale carta dello Scozzesismo non si fa menzione del grado di Cavaliere di S. Andrea di Scozia. La ragione è che era divenuto Rito autonomo e come tale viene menzionato nelle Costituzioni di Federico del 1786: «Questi Riti sono quelli noti sotto i nomi di Rito Antico, di Hérédom, dell’Oriente di Kilwinning, di Sant’Andrea...» (Le grandi Costituzioni, in «Tempio Scozzese», III, 1985). È molto probabile che questo grado, costituito come corpo rituale autonomo, fosse amministrato esclusivamente dalla cerchia stuartista; ne è riprova il protocollo d’intesa, nel 1736, tra la Gran Loggia Reale di S. Andrea d’Edimburgo e la Gran Loggia di San Giovanni d’Edimburgo, in cui è stabilito che solo la prima, non a caso Loggia Reale, può conferire il grado di Cavaliere di S. Andrea (S. Farina, op. cit., p. 84). Che originariamente «Scozzese» significasse di fatto giacobita e dunque per nulla gradito agl’Inglesi, lo testimonia l’episodio del 1733, quando a Londra esistevano Ll. di Maestri e Ll. Scozzesi (Master Mason’s Lodges e Scots Mason’s Lodges). La Gran Loggia accettò i primi, ma respinse i secondi. 
  8. Leibniz aveva programmaticamente dichiarato la necessità di «riunire i lavori di tutte le epoche e di tutti i tempi in un pubblico tesoro» (H. Blumenberg, La leggibilità del mondo, Bologna 1984, p. 117; L. Marino, I luoghi della memoria collettiva, in La memoria del sapere, Bari 1988, p. 280). 
  9. Il Maestro della baconiana Casa di Salomone, tempio della Sapienza, afferma: «Teniamo consultazioni per decidere quali scoperte ed esperienze da noi realizzate possano essere rese note al pubblico e quali no; prestiamo tutti un giuramento di non diffondere mai quelle che pensiamo debbano restare segrete. Alcune di queste talvolta le riveliamo allo stato; altre neppure ad esso» (F. Bacone, La nuova Atlantide, (1626), Milano 1991, pp. 114-15); per il rapporto tra la metodologia di ricerca del filosofo e quella massonica vedi il mio studio sul rituale.
  10. Nelle lingue semitiche esiste solo la Y, che ha un valore semiconsonantico. Perciò la scritta è equivalente a inri. Poiché i gioielli sono stati sicuramente creati nel Settecento, contemporaneamente allo sviluppo dei gradi, e all’epoca non v’erano ragioni di celare la scritta inri, su cui protestanti e cattolici non potevano non concordare, suppongo che l’uso dei caratteri fenici indichi che la scritta non debba essere letta in senso cristiano, ma nell’accezione ermetica contenuta dall’acrostico inri: «Igne natura renovantur integra», «Igne natura regenerando integra», «igne nitrum roris inventur». 
  11. La leggenda del 13° grado fa riferimento al ritrovamento, da parte di tre architetti inviati da Salomone, del delta d’agata con il nome ineffabile, nascosto da Enoch. Questo grado evidenzia l’occulta opera di tesaurizzazione del Rito: la leggenda non ha origini bibliche, ma è ricavata da un apocrifo dell’Antico Testamento, noto come Vita di Adamo ed Eva e dimostra che l’Enoch del 13° grado non è il cainita, ma l’erede di Set. In questo apocrifo si racconta che «Set preparò delle tavole... Tracciandovi i segni delle lettere, vi scrisse la vita di suo padre e di sua madre... Pose le tavole nella casa di suo padre, nel luogo dove Adamo era solito pregare il Signore Dio. Furono in molti a vederle dopo il diluvio senza però riuscire a leggerle; ma il sapientissimo Salomone, una volta che ebbe visto le tavole di pietra supplicò il Signore di aprirgli la mente sì da poter comprendere ciò che era contenuto nelle tavole... «Ed ecco, imparando la scrittura -gli risponde l’angelo del Signore- saprai e capirai dove si trovavano queste tavole, collocate nel luogo dove Adamo e sua moglie era soliti adorare Dio. È proprio lì che devi costruire la casa di preghiera del Signore Dio». Allora Salomone fece voto di costruire proprio in quel luogo la casa di preghiera del Signore Dio. E in quelle stesse tavole si rinvennero le profezie pronunciate da Enoch, il settimo patriarca». Questo apocrifo era noto solo per manoscritti sparsi un po’ per tutta l’Europa, ma questo frammento, il 52, è contenuto solo in un codice greco dell’Ambrosiana, e in un gruppo di codici latini che si trovano in Inghilterra (Balliol 228, sec. XV; Harleian 495, sec. XV; Queen’s, Oxford 213, sec. XV). Ciò conferma l’indicazione tradizionale che sia stato Ashmole a creare il grado: è possibile che solo un antiquario della sua stoffa conoscesse un simile manoscritto. Ma l’indicazione dice: Inghilterra, e ciò è esatto; e alchimia rosacrociana, perché Ashmole, oltre che massone, era alchimista; a lui si deve il Theatrum chemicum britannicum, importantissima antologia di testi alchemici d’impronta rosacrociana. È da immaginare che Ashmole abbia colto nella Vita di Adamo ed Eva inflessioni di natura alchemica, soprattutto nella «composizione» del corpo d’Adamo che segue il brano citato. Non è difficile supporre che Ashmole abbia letto della leggenda nel manoscritto Queen’s, o Harleian, o Balliol, tutti a Oxford, ai tempi in cui stava allestendo in quella città il primo museo pubblico del mondo d’arte e archeologia, che fu aperto nel 1683. Sui nove archi del 13° grado sono scritti nomi ebraici. Quello centrale, quinto da sinistra e da destra, reca il nome ebraico di cinque lettere ’Eliah’. Il nome di battesimo di Ashmole è Elias. La batteria, che Porciatti non ritiene degna d’esame, è di 2 + 3, corrispondenti al numero di vocali e consonanti contenute in Eliah, o in Elias. Le parole del grado significano «il luminoso lavoro guarisce dal dolore»: una chiara allusione alla pietra filosofale. (Cfr. per il grado: S. Farina, Gli emblemi..., op. cit., pp. 51-3; S. Farina, Rituali dei lavori del RSAA, Torino 1992, pp. 69-70; U. G. Porciatti, op. cit., pp. 120-24; per Ashmole F. A. Yates, op. cit.) 
  12. Si noti inoltre che le spire del serpente sono costruite secondo il diagramma della stella di Salomone. «La nostra filosofia -si precisa nel manifesto rosacrociano della Fama fraternitatis- non è nuova, ma è quale Adamo la ricevette dopo la Caduta e quale la professarono Mosè e Salomone» (Fama fraternitatis, 1614, in F. A. Yates, op. cit., p. 294); si consideri che i Rosacroce, come li descrive il manifesto, sono medici e che il primo punto della loro confraternita impone di non esercitare «altra professione che quella di curare i malati, e ciò gratuitamente», come fa Mosè. Originariamente il grado era denominato Adepto perfetto del pellicano, istituito da un fantomatico «Giovanni Ralp». Porciatti (op. cit., p. 217) nota che potrebbe essere frutto di una errata traslitterazione dall’ebraico, poiché ’Rapha’ significa ’ha guarito’ (’Raphael’ significa ’medicina di Dio’) e ’Giovanni’ significa ’favorito da Dio’; quindi si leggerebbe ’guaritore favorito da Dio’. A proposito del pellicano che nel 18° grado viene definito simbolo della carità si deve aggiungere che nel linguaggio alchemico indica sia l’apparecchio che si usava nella distillazione -aveva due tubi che rientravano nella parte inferiore del vaso- sia il mercurio filosofico. E un vero alchimista è definito ’adepto’, e opera al fine di distillare dalla materia prima la «medicina universale». A proposito del pellicano e Giovanni, Dante, in Par. XXV, 112-114, presenta così Giovanni Evangelista: «Questi è colui che giacque sopra ’l petto / Del nostro pellicano; e di questi fue / Di su la Croce al Grande Officio eletto»; poco prima rispondendo a San Giacomo, poiché Dante sta affrontando la prova teologica, alla richiesta di parlar della speranza si esprime così: «Tu mi stillasti, con lo stillar suo, / nella Epistola ... alla perseveranza» (XXV, 76). Quindi prima Dante usa due volte il termine stillare, e subito dopo pellicano. L’Epistola di Giacomo, che gli aveva ’stillato’ la perseveranza, e non la speranza, recita alle prime note: «la perseveranza poi è quella che deve portare a perfezione l’opera» (Gc, 1, 4). 
  13. Goblet d’Alveilla, Le origini del grado di Maestro nella libera muratoria, Carmagnola 1989. L’autore, professore e rettore dell’università di Bruxelles, fu SGC del RSAA belga dal 1900 e SGC ad vitam dal 1920. Ancor oggi il suo studio è prezioso. Ma già nel 1720 v’erano fermenti: un familiare di Lord Montagu, Robert Chamber, pubblica la traduzione d’un’opera ermetica francese col titolo Long livers (coloro che vivono a lungo, tipico tema alchemico), dedicandola al Gran Maestro e ai dignitari della fratellanza muratoria, premettendo di rivolgersi «ai Fratelli del grado superiore che stanno dietro il velo». Perciò adopererà «il linguaggio ermetico che possono soli comprendere i Figli della sapienza e quelli che sono stati illuminati nei più sublimi misteri e nei più profondi segreti della Muratoria» (ibid., p. 66); ciò fa supporre che il grado di Maestro potesse essere «dietro il velo», trasmesso a chi disponeva di determinate conoscenze. 
  14. F. Cumont, Le religioni orientali nel paganesimo romano, (1906), Roma 1990, p. 79. Oltre Diodoro l’altra fondamentale fonte sui misteri osiriaci è Apuleio, Le metamorfosi o l’asino d’oro, romanzo di grande fama in cui il protagonista, costretto dalla magia in veste d’asino, vede il mondo da questa singolare panoramica: Seth, il perfido fratello d’Osiride, ha infatti queste fattezze. Quindi il protagonista, dopo aver vissuto l’esperienza di Seth, viene liberato grazie a Iside. Anche questa immedesimazione con l’assassino dà da riflettere ai Maestri Venerabili e ai Sorveglianti che inizîno un Compagno alla Camera di Mezzo. Quello d’Apuleio è l’unico testo antico in cui siano descritti i riti d’iniziazione ai misteri di Iside. Su quelli d’Osiride, ai quali fu iniziato a Roma, tace. 
  15. Mi riferisco agli appartamenti Borgia, affrescati dal Pinturicchio tra il 1492 e il 1494, con scene del mito osiriaco. Con Hierogliphica di Valeriano (1477-1560), si comincia a diffondere la leggenda che «Osiride, come tramandano alcuni, non regnò soltanto sull’Egitto ma anche sull’Italia». Trascurando gli obelischi che approdano in piazza del Vaticano e l’altra miriade di riferimenti, è da segnalare che intorno al 1760 toccherà a Piranesi decorare il Caffè Inglese, meta mondana degl’Inglesi impegnati nel Grand Tour italiano, di scene egizie relative al mito di Osiride. 
  16. Le notizie sulla fortuna del mito egizio sono tratte da J. Baltrusaitis, La ricerca di Iside. Saggio sulla ricerca di un mito, Milano 1985. Non v’è dunque da stupirsi se nel 1812 Lenoir, all’epoca conservatore dei monumenti francesi, Scozzese della prima ora, dal 1801, intende dimostrare ai Fratelli del Sovrano Capitolo Metropolitano di Rito Scozzese che «le antiche cosmogonie hanno avuto origine in Egitto. Per dimostrare l’antichità della Massoneria, le sue origini, i suoi misteri, e i suoi rapporti con le antiche mitologie, risalirò agli egizî»: «il più antico degli dei, il sole», muore nella sua incarnazione umana, discende agli Inferi e quindi rinasce e risale al cielo. L’aria e la terra sono impersonate da Iside, che è anche la natura signora degli elementi, madre di tutte le cose; Osiride è luce allo stato puro, ed è la ragione; la grande piramide -spiega Lenoir ai Ff Scozzesi- non è la tomba di un Faraone, ma il sepolcro di Osiride» (A. Lenoir, La Franche-Maçonnerie, rendue à sa véritable origine ou l’Antiquité de la Franche-Maçonnerie, Parigi 1814). Nel 1777 l’aveva preceduto Court de Gébelin, altro Conservatore ai monumenti, con un corso per i Fratelli sulle allegorie esoteriche dell’Ordine, nel quale ovviamente l’Egitto e il mito di Osiride e Iside hanno la parte del leone. In Inghilterra, nel 1783, George Smith, GM della contea di Kent, scrive: «L’Egitto, da cui provengono molti dei nostri misteri... fu in passato il più glorioso fra tutti i paesi. Secondo le loro credenze gli eroi-dèi principali, Osiride e Iside, rappresentano teologicamente l’Essere supremo e la natura universale, e fisicamente i due astri, il sole e la luna, la cui influenza abbraccia l’intera natura... Gli Egizî delle epoche più remote fondarono un gran numero di logge; essi tenevano però accuratamente celati agli stranieri i loro segreti massonici» (J. Baltrusaitis, p.53). Baltrusaitis, che ha studiato con minuzia il fenomeno, sottolinea come «in questo periodo tutti i teorici e i profeti delle teogonie egizie ricompaiono uno dopo l’altro alla ribalta delle logge». 
  17. Dom Antonio Giuseppe Pernety, Le favole egizie e greche svelate e riportate a un unico fondamento, (Les fables Egyptiennes & Grecques dévoilées & reduites au même principe, avec une explication des hiérogliphes et de la guerre de Troye, Parigi 1758), Genova 1988, p. 61. 
  18. Moroni, Biografia universale Antica e Moderna, 1828, ad vocem. 
  19. M. Maier, Arcana arcanissima hoc est Hierogliphica Aegyptio-Graeca, 1612. Medico personale di Rodolfo II e poi di Maurizio d’Hesse, alchimista, Maier ha visitato a più riprese l’Inghilterra. 
  20. Dom Pernety, op. cit., pp. 49-50. 
  21. Alle spalle del trio è una mensa imbandita di pani con una brocca al centro. A capotavola si ripete il sapiente che indica il da farsi a un inserviente. Nel 14° grado, che conclude la serie hiramitica «molti rituali prescrivono che vi sia all’Oriente un tavolo quadrato detto «mensa dei pani di proposizione», con dodici pani e fra di essi una tazza di vino» (U. G. Porciatti, op. cit. p. 127). 
  22. Farina la riferisce senza indicare la fonte: «Con altri iniziati avrebbe preparato il rituale per gli Apprendisti nel 1646, quello dei Compagni d’arte nel 1648 e infine quello per i Maestri nel 1649: All’Ashmole e ai suoi si attribuisce anche la creazione di ben sette gradi ineffabili: Maestro segreto, Maestro Perfetto, Maestro Irlandese, Maestro Eletto, Grande Architetto, Real Arco (13°, N.d.A.) e Gran Scozzese della Sacra Volta»( Farina, Gli emblemi..., op. cit. p. 13). 
  23. Elias Ashmole, Theatrum chemicum britannicum, Londra 1652, pr. by Brooke: «Our English Philosophers, have received little honour ... Witnesse what Maierus, Hermannus, Combachius, Faber, and many others have done; the first of which came out of Germanie, to live in England; puposely that he might so understand our English tongue, as to translate Norton’s Ordinall into ltin verse, which most judiciously and learnedly he did; yet (ro our shame be it spoken) his entertainment was too too course for so deserving a scholler». La traduzione è tratta da F. A. Yates, op. cit., p. 231. A Maier si deve anche Septimana philosophica, una conversazione tra Salomone, la regina di Saba e Hiram re di Tiro. Le sue pubblicazioni, secondo la studiosa, «sono tutte caratterizzate da un misticismo ermetico, espresso in termini di interpretazione «egizia» di favole e miti contenenti significati alchemici reconditi» (ibid., p. 104). 
  24. Il primo accostamento dell’Ordinall alla leggenda di Hiram si deve a F. Katsch, Die Entstehung und der wahre Endzweck der Freimaurerei, Berlino 1897, ma per P. Arnold, Storia dei Rosa-croce, Milano 1989, p. 251, in questa tesi «non c’è nulla di valido». Evidentemente lo studioso è in attesa del rogito di costituzione della leggenda hiramita; ma anche questo lo lascerebbe scettico. 
  25. Ashmole ha consultato più di quaranta manoscritti dell’Ordinall di Norton prima d’introdurlo nel suo Theatrum chemicum britannicum. Il testo quindi non gli era ignoto. 


Home pageIndice