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La luce e il mondo
Le cose che ci circondano, senza luce, sono soltanto ostacoli pericolosi ed
ostili; con essa il mondo prende forma ed ordine, diventa il cosmo regolato da leggi; per
coglier questo non cè bisogno di filosofia, ma basta lesperienza quotidiana
di ogni uomo, a qualunque cultura appartenga. La luce è intangibile ma presente, ritorna
ogni giorno ed è inspiegabile nellorigine; da ciò, facile illazione nella
mentalità pre-logica che la luce è manifestazione visibile nel mondo degli uomini e
delle cose, della realtà divina ultraterrena senza forma e adimensionale; la luce dunque
è il tramite tra la sfera celeste e quella sublunare, la luce dunque accompagna ogni teofania 1. Chiave di volta
delle concezioni che vedono come realtà cosmica essenziale la luce, è la
contrapposizione del mondo delle tenebre a quello luminoso, con due equazioni,
luce-bene-vita, tenebre-male-morte.
Così, nella dottrina manichea, lelemento caratteristico dellessere supremo è
appunto la luce, concepita come sostanza dellessere divino. Tale sostanza luminosa,
diversa dallintelletto e dalla materialità, è espressione di Dio, "padre
della luce beata" e in quanto tale, signore del regno della Luce. Ma questo regno,
fatto di terra-luce e di etere-luce, si identifica, nella sua essenza, con la stessa
suprema divinità, poiché esso, corpo della divinità, non è stato creato da Dio, ma è
assoluto e coesistente con esso dalleternità, è espressione della sua essenza. Se
una singola parte del regno della Luce fosse nata o fosse stata creata in un dato momento,
il regno della luce non potrebbe aspirare a essere assoluto. Il regno della luce non
potrebbe aspirare a essere assoluto.
Il regno della Luce è illimitato da tre lati: a nord, a est e a ovest. A sud, invece, la
Luce si scontra con lOscurità, cosicché qui la sfera di potenza del "Padre
della Grandezza", come lo chiama Mani, e larmonia più perfetta. Le condizioni
del regno delle Tenebre sono in forte contrasto con la pace che domina nel regno della
Luce. Gli abitanti del mondo della Materia si scontrano, si spingono lun
laltro, corrono pazzamente intorno. Nel suo moto vorticoso, il popolo delle Tenebre
arriva, ad un certo momento, al limite superiore, dove loscurità confina con la
luce. Guardando in alto, verso il mondo della Luce, il principe delle Tenebre e il suo
popolo vengono presi da un violento desiderio di questo splendido regno e, abbandonati i
loro contrasti, si consigliano sul modo di diventar partecipi della luce, di mescolarsi
con la luce. I tenebrosi irrompono dal basso nel regno della Luce, così il re e padre
della Luce deve difendere se stesso e il regno uscendo dal maestoso "riposo in se
stesso" e dalla compiutezza del suo essere, passando da una
esistenza contemplativa ad una esistenza attiva 2.
I miti poetici che si sviluppano su questa trama sono numerosi e ispirati, ma interessa
comparatisticamente con il nostro tema lidea dei due regni, dellaggressione
delle tenebre, della corrispondenza luce-bontà-essere.
Lasciando le accennate fantasmagorie del manicheismo e tacendo quelle complesse ed
elaboratissime dellemanazionismo gnostico ellenistico, ricorderò un esempio dal
cuore della Palestina 3. Nella
comunità di Qumran, quella conosciuta dai manoscritti del Mar Morto 4, la luce e la tenebra sono personificate: la
creazione è realizzata attraverso due spiriti, quello della luce e quello del buio; su di
essi è fondata ogni opera (Manuale di disciplina, 3, 25). Naturalmente questi due
spiriti opereranno finché non verrà il tempo della visitazione di Dio. Il Principe della
luce e lAngelo delle tenebre, tendono a realizzare rispettivamente la
giustizia-verità e lerrore-menzogna. LAngelo delle tenebre insidia i figli
della luce per portarli a distruzione. Tenebre e luce vengono così personificati, ma le
denominazioni di prìncipe e di angelo, salva forse il principio
monoteistico, senza aprirsi al panteismo gnostico.
Si può dire, semplificando, che la concezione cabalistica della luce si trova tra queste
due estreme posizioni, ma ha caratteristiche di forte originalità. Limmagine
bipolare luce/buio è chiave del cosmo nella speculazione cabalistica
5. Secondo la dottrina della Cabala,
lirraggiamento luminoso ha creato lestensione, ha creato la dimensione
terrena, operando come vibrazione ordinatrice del caos.
Daltronde, nel mondo ebraico-cristiano, la luce è allorigine del mondo e
delle sue vicende. La genesi segna linizio dellordine del mondo con il fiat
lux. Lapparizione della luce in apertura del Vangelo di San Giovanni, annuncia
il verbo 6. La potenza
creatrice precedentemente nascosta nella notte dellinconoscibile si manifesta con il
comando divino che separa la luce dallombra, originariamente confuse,
lepifania messianica si realizza con la luce, come la potenza divina viene espressa
attraverso il potere di dominare la luce, il volto di Mosè ispirato emana una luce
insostenibile, e così via.
Nella Genesi confluiscono diverse narrazioni dellorigine del Cosmo. Quella che più
ci interessa è la narrazione del cosiddetto documento sacerdotale poiché in essa
protagonista della creazione è appunto la luce:
Allinizio Eloim creò il cielo e la terra e la terra era deserta e vuota e le
tenebre si stendevano sullabisso e il soffio di Eloim planava sulle acque. Eloim
disse allora "che vi sia la luce" e la luce fu. Eloim constatò che la luce era
cosa buona, Eloim poi separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre
notte. Si ebbe una sera, poi il mattino: primo giorno.
Eloim disse "che vi siano delle luci sulla volta del cielo per separare il giorno
dalla notte e per servire di segno alle feste, ai giorni e agli anni e che dalla volta del
cielo i luminari rischiarino la terra", Eloim pose in essere i due luminari, il più
grande per il giorno, il più piccolo per la notte e poi le stelle. Eloim li distribuì
sulla volta del cielo in modo tale da rischiarare la terra per comandare il giorno e la
notte e per separare la luce dalle tenebre. Eloim constatò che era buona cosa. Si ebbe
così un giorno ed un nuovo mattino: quarto giorno.
Nel discorso incomparabile per grandiosità nel quale Jahvé parla a Giobbe (Gb 38,
lsgg.), la luce ritorna come protagonista, segno e frutto della potenza inarrivabile di
Dio:
hai mai dato tu ordine al mattino, hai mai fatto conoscere allaurora il suo posto
perché impugni le frange del mondo, ne scuota i cattivi quando tutto divenne come la
rossa argilla che si tinge come un pezzo di stoffa quando ai cattivi viene ritirata la
luce e il braccio che minaccia, fermato? Hai visto le porte dellombra? Da quale lato
abita la luce e le tenebre dove risiedono, perché tu le riconduca presso di loro e tu
sappia il sentiero della loro casa? 7
Arcobaleno, tra luce ed estensione
La luce si manifesta come luce raggiante, splendore, luminosità, biancore, lucore,
balenio, scintillio; si diffrange nei colori. La luce, in quanto dà potere di vedere,
assegna anche il potere di agire, poiché senza luce cè soltanto incomposto
movimento, non azione. Essa si manifesta attraverso entità-forme particolari come
larcobaleno che è sostanziato di luce, ma per dir così gode già di certe
caratteristiche delle cose materiali. Esso è strutturato e diviso in parti luminose
diverse, è già del mondo della molteplicità, insomma. Appunto per questo larco
celeste è un ponte tra la luce come espressione immediata, manifestazione visibile del
mondo adimensionale informale e il mondo terreno fatto di materia estesa non penetrabile,
non trasparente, di cose pesanti. Traccia di questa speciale realtà dellarcobaleno
sospesa tra luce e materia, è presente nel folklore: si formano diamanti e perle là dove
poggia larco del cielo, anello di giunzione tra materia volgare e pesante e realtà
celeste, secondo questo schema, che ha poi valore iniziatico:
En sof
Luce arcobaleno
perle materialità
Nella Bibbia larcobaleno rappresenta il ponte di salvezza: le intemperie del mondo
sublunare non romperanno mai il patto di sopravvivenza che Dio vuole con luomo dopo
il diluvio (Gn 9, 9_17): è il segno del ritorno dalla luce solo offuscata dalla tempesta,
è la strada di luce solo offuscata quale Dio riversa di nuovo la sua luce sul mondo degli
uomini, dopo la tempesta che ha ridato libertà sia pur limitata alle forze cieche (non
per traslato, nel racconto! cieche perché non vedono, perché non contro la luce)
del caos, delle acque spesse e soffocanti.
Proprio in quanto ponte tra Dio e luomo, larcobaleno simbolizza le prove della
via iniziatica, quando liniziato si avventura a ripercorrere verso lalto le
linee di irradiazione, che si manifestano nellarcobaleno: anche nella tradizione
cabalistica è segno e via per la risalita verso Dio 8. Esso per luomo è un ponte stretto e
pericoloso, come ogni passaggio che conduce dal greve al lieve, dalla materia ottusa e non
trasparente (carente di luce) allo spirito, che non si frappone allo sguardo, ed è
pertanto luminosità.
Dallo Zohar
Il cuore della Cabala è certamente il
libro dello splendore, Zohar (splendore, irraggiamento) libro di segreta saggezza 9, per certi aspetti
inaccessibile, che ha esercitato una immensa influenza sul pensiero ebraico e di riflesso
su tutta la meditazione occidentale sui grandi problemi. "Sotto la superficie dei
simboli mistici dello Zohar, i cabalisti hanno visto pulsare la vita nascosta del
mondo e hanno sentito di avvicinarsi alla verità totale e profonda dellessere"
10.
Il Libro dello splendore presenta e manifesta le idee mistiche e gnostiche della
Cabala. Essa lascia da parte la filosofia intesa in senso razionalistico e realizza -
senza abbandonare il richiamo costante alle fonti tradizionali bibliche, sia pure
interpretate spesso in modo assai lontano dalla lettera - una visione del mondo che è
madre di meraviglia, poiché anche il pensatore meno recettivo duna cosmologia per
grandi immagini, più legato ai concetti definitori e allanalisi razionale, coglie
la ricchezza profonda del messaggio espresso attraverso immagini, richiami, evocazioni,
colori.
E la luce inonda lintero libro, in quanto protagonista della storia cosmica:
Allinizio quando si manifestò la volontà del Re, egli pose alcuni segni nella
sfera celeste; nel ricettacolo più segreto la scura fiamma si levò dal mistero di en sof
infinito come un vapore che si forma dalladimensionale senza forma, racchiusa
nellanello di questa sfera, né bianca né nera, né rossa, né verde, né di alcun
altro colore. Quando la fiamma cominciò a prendere ampiezza produsse colori irraggianti.
Dal centro più segreto della fiamma nacque una polla nascosta nel segreto di en sof, e ne
uscirono colori che si diffusero su tutto quello che vi era al di sotto.
La polla zampillò ma senza attraversare letere della sfera. Essa non poteva essere
conosciuta prima che un punto supremo e segreto avesse fatto espandere la sua luce sotto
lazione dellultima frattura 11.
Al di là di quel punto non si può conoscere nulla, perciò esso è chiamato
"inizio", ed è la prima delle dieci parole con le quali fu creato
luniverso.
Linizio Gn 1,1, dunque è luce incolore, vibrazione pura dellessere, fatta
di visibilità, di percepibilità che resta nascosta, finché misteriosamente non viene
superata la sfera dellen sof. La manifestazione della luce è rappresentata dalla
mandorla che racchiude la persona divina e che irradia una vibrazione di raggi luminosi
attorno a sé. Nella creazione ebraica, la mandorla è un punto ed è il nocciolo
dellimmortalità. La luce poi prende caratteristiche particolari nella tradizione
ebraica e non soltanto in quella e non soltanto nella cabala.
Il palazzo di luce
Il centro dorigine è un punto, cioè una realtà che anche secondo la
geometria elementare è qui, ma non ha dimensioni. Attorno ad esso si svolgono come veli
avvolgenti succedentisi, strati di luce sempre più spessa fino a concretizzarsi in
materia: la luce più segreta (di una diafanità, di una delicatezza, di una purezza al di
là di ogni concepibilità umana), espandendosi dal punto centrale diviene un palazzo di
luce, quasi un involucro del centro. Anchesso è traslucido ed irraggiante al di là
di ogni possibilità di conoscenza. Il palazzo riveste il punto interiore inconoscibile;
esso stesso è un irraggiamento ineffabile, ma ha tuttavia una sottilità e una diafanità
minore del punto originale; attorno vi sono strato su strato ulteriori involucri. Ogni
forma che si avvolge alla precedente è lieve, protettiva, ma più densa della precedente,
stando allo strato più vicino al centro come la membrana al cervello umano; ed ogni
membrana diviene come il cervello per lo strato successivo. Secondo lo stesso modello
luomo in questo mondo associa cervello e membrana, spirito e corpo per un migliore
ordine del mondo.
La luce e la storia del mondo
Nella speculazione cabalistica, non soltanto la creazione, ma tutta la dinamica
storica del mondo è fatta dalla luce e dallantiluce che sono le tenebre. È
continuamente presente e attivo laspetto terreno della luce come laspetto
celeste, anzi, sovraceleste. E Dio disse: "Fiat lux" (Gen 1,3). La luce
originale che Dio creò è la luce dellocchio, la luce che Dio mostrò ad Adamo,
grazie alla quale fu capace di vedere il mondo da una estremità
allaltra 12. La stessa luce che Dio
mostrò a Davide che vedendola cantò le sue lodi "Quanto grande è la bontà che tu
tieni in riserva per quelli che ti onorano" (Salmo 21,20). Questa è la luce con la
quale Dio rivelò a Mosè la terra di Israele.
Alle generazioni peccaminose, quella di Enoch, quella del diluvio, quella della
generazione della Torre di Babele, Dio dissimulò questa luce ed essi non potettero
goderne; la dette a Mosè ma gliela ritirò quando Mosè si recò dal Faraone, gliela
dette di nuovo quando andò sul monte Sinai. La luce del volto di Mosè era tale che i
figli di Israele potevano avvicinarlo soltanto quando copriva il suo viso con un velo (Es
34,30).
Rabbi Isacco ha detto: "Con la creazione Dio illuminò il mondo da una estremità
allaltra". La luce poi fu ritirata perché i peccatori che sono al mondo non
potessero goderne. Resta in riserva, viene serbata per i giusti come dice il salmo:
"la luce è seminata per i giusti" (Salmo, 97, 11).
Questa luce sgorgò dalle tenebre percosse e squarciate dai colpi dellinconoscibile.
E proprio a partire dalla luce che fu nascosta per qualche via segreta furono formate le
tenebre dei mondi inferiori dove risiede la luce. Queste tenebre sono chiamate notte del
versetto "e le tenebre le chiamò notte" (Genesi, 1,5).
Il fuoco e le luci
Quando la luce prende concretezza di cosa acquista la dimensione delle cose
terrene, si manifesta in fuoco e fiamma. Già la luce poteva essere pura vibrazione o
esser colorata; la fiamma, ancor più della luce si diversifica. Del fuoco, Rabbi Simeone
dice:
È scritto in un versetto perché il Signore tuo Dio è un fuoco divorante
(Deut 4,4). Secondo altri sapienti, esiste una sorta di fuoco più potente di ogni altro
fuoco che divora e consuma ogni altro fuoco. Così chi ha cuore di cogliere il mistero
della Santa Unità di Dio, contempli la fiamma che si eleva dal carbone ardente o da una
candela.
Bisogna sempre che ci sia qualche sostanza materiale da cui si innalzi la fiamma. Nella
fiamma si possono vedere due luci, una è bianca e brillante una è nera o blu. Delle due
la luce bianca è la più alta e si innalza senza vacillare; al di sotto vi è una luce
blu o nera sulla quale riposa la prima, come su uno zoccolo. Le due luci sono legate e
indissociabili. La bianca riposa sul trono della nera. A sua volta la base nera è legata
a qualche materia che è al di fuori di essa e che lalimenta e la fa aderire alla
luce bianca, al di sopra.
Qualche volta la luce blu o nera diviene rossa ma la luce di sopra resta sempre bianca.
La luce inferiore, nera che sia, blu o rossa, è tramite e legame tra la luce bianca al di
sopra di essa e la sostanza materiale in basso. La luce inferiore per natura, è uno
strumento di morte, di distruzione che consuma tutto ciò che le si avvicina, ma la luce
che sta sopra non consuma né distrugge.
Con questa rappresentazione del misterioso legame e passaggio tra il mondo terreno
dimensionale delle cose e la realtà suprema, la cabala da una chiave - naturalmente nel
suo quadro spirituale di non facile acquisizione - per prospettare una soluzione, o per
meglio dire per suggerire una lettura del problema cosmologico e cosmogonico, e di
conseguenza una lettura dei rapporti tra il bene (legato allassoluto,
allinconoscibile, alla luce) e il male legato al contingente, allerrore: due
luci nella stessa candela, nello stesso fuoco, nella stessa fiamma. La luce bianca e la
luce inferiore. La prima è divina, costruttiva, invariabile, non consuma né distrugge.
Il Saggio commenta "ecco perché Mosè ha detto il Signore tuo Dio è un fuoco
divorante", divora cioè tutto quello che è al di sotto di Lui. Ha detto il tuo
Dio non il nostro Dio perché Mosè era tenuto nella luce celeste che non
consuma né distrugge.
Anche la missione di Israele viene collegata a questo misterioso gioco di luci. Israele
porta la luce blu a bruciare e ad aderire alla luce bianca; funge così da tramite, tra i
due mondi.
Finalmente, in questa misteriosa strada delle luci colorate e poi bianca si aggiunge
unaltra luce appena percettibile simbolo dellessenza suprema
13.
La Cabala ha la sua scaturigine nellinterpretazione numerica e letterale dei simboli
dellalfabeto; essa ritrova nel nome YHVH il processo delle luci: nellultimo H
si esprime la luce blu o nera, mentre nelle prime tre lettere è presente la luce bianca e
scintillante. Talvolta lH della luce blu diviene liniziale della parola che
vuol dir miseria, miserabilità.
Israele, Luce blu, Luce bianca, Luce impercettibile
La sensazione, a questo punto della lettura dello Zohar, è di meraviglia
incantata, di desiderio di sentirne di più, ma anche di sgomento o smarrimento
intellettuale, poiché ci si rende conto della inadeguatezza, come strumento di analisi,
dei termini e dei concetti della tradizione razionalistica occidentale. Le parole del
saggio sembrano decadere e disperdersi col loro vorticoso gioco di luci in elucubrazioni
difficilmente comprensibili, ma esercitano un richiamo alla mente, offrendo una ricchezza
di senso che non permette di abbandonare il campo, quasi ci trovassimo soltanto di fronte
ad una costruzione fantastica o ad un semplice gioco di esempi esplicativi.
In realtà, come è stato detto tante volte, la Cabala ha un suo linguaggio che consiste
in rappresentazioni ed immagini che possono essere solo con approssimazione
trasprogrammate, per così dire, nellusuale linguaggio appreso sui banchi del liceo
o comunque dai libri, legato storicamente alla filosofia del mondo greco-romano. Ma non
basta. È impossibile andare al di là del significato verbale delle affermazioni
cabalistiche per coglierne il senso se si pretende di interpretarle con i dati e le leggi
dello sperimentalismo della scienza moderna, altrettanto inadeguato dello strumentario
concettuale della filosofia aristotelica. Diciamolo in termini di cabala: se il Sole si
identifica con lo spirito e la sua luce è la conoscenza diretta, mentre la conoscenza
lunare è razionale e riflessa, il saggio cabalista direbbe di non limitarsi alla
conoscenza diretta, mentre la conoscenza lunare, qual è certo la nostra per la sua
tendenza a definire e rappresentare per quantità e forza vettoriale le cose.
La luce e il sacrificio
E le domande che si pone il saggio cabalista sono le stesse che continuiamo a porci
noi razionalisti, viandanti sulla stessa strada, anche se con altri abiti mentali. Un
esempio soltanto: il sacrificio, il mistero del sacrificio, perché, quale ne è il senso?
La nostra logica raziocinante non dà risposta; anche nella Cabala costituisce problema
cogliere il senso di questa soppressione rituale di un essere vivente. La strada alla
risposta non si limita a considerazioni scientifico-naturalistiche; esso viene riportato
al discorso delle luci:
Il fumo che si eleva infiamma la luce blu che si unisce allora alla luce bianca e così
la candela è tutta intera illuminata da una sola ed unica fiamma poiché è natura della
luce blu di annientare quello che entra in contatto con essa in basso, il fuoco discende e
consuma lolocausto ed è questo che rivela che la Catena è completa. La lue blu
aderisce in questo caso alla luce bianca divorando la carne e il sacrificio in basso. La
pace regna nei mondi perché si ricostituisce la catena. Quando la luce blu ha divorato
ogni cosa in basso il canto e la preghiera dei sacerdoti e di fedeli formano una catena
per cui vi è una sola luce che rischiara il mondo.
Olocausto, fumo, luce blu, luce bianca. Il continuum del mondo
Insomma, il fascino che esercita lo Zohar e in genere le opere maggiori
della Cabala viene da questo: nella riflessione aristotelica, tomistica e kantiana che
sono fondamento metodologico prima che contenutistico della nostra cultura, e più in
particolare, della nostra speculazione filosofica, i due mondi, quello della spiritualità
e quello della materialità sono nettamente distintie si accetta pacificamente la
dicotomia res estensa/res cogitans cartesiana quasi fosse un dogma inattaccabile.
La Cabala non crede in questa separazione e si pone alla ricercatezza attenta del legame
tra pensiero e materia; tra queste due entità che vengono colte come modi diversi
dellessere, necessariamente deve esservi un ponte, una sostanza di passaggio e
collegamento. Il ponte è la luce, come si è visto, luce che tra laltro nella
nostra scienza moderna ha due aspetti, energia ondulatoria e massa materiale. Sebbene io
sia estremamente diffidente nei confronti di paralleli tra dati della scienza
naturalistica e ricerca spirituale, è certamente soprendente questa inafferrabilità
fisico-matematica della luce la quale sembra assumere nella scienza altri aspetti per
così dire metafisici se è vero che nessun corpo potrebbe mai superare la velocità della
luce, se è vero quindi che raggiungerla vuol dire annichilirsi, certo, questa distinzione
così netta tra ciò che non si tocca e la materia comincia a sembrare meno sicura.
Idee e cose, princìpi e luce
Daltronde si ritrova in una certa tradizione collaterale, non accettata per
così dire dal pensiero ufficiale, il modo di procedere intellettuale che conduce a
dubitare della dicotomia del mondo. Scriveva Artaud 14, con una penetrazione del campo nebbioso di
incertezza tra cose e astrazioni, che impone di riportarne il brano:
"Vi sono veramente dei princìpi? Voglio dire dei princìpi separati e che
esistono dietro le cose? O, in altri termini, gli dèi della nomenclatura pagana hanno
unesistenza meno affermata e meno valida che i princìpi di cui ci serviamo per
pensare? E questa domanda ne fa sorgere unaltra: Vi sono nello spirito
delluomo delle facoltà veramente separate?
Ci si può del resto chiedere se un principio sia altro che una semplice facilitazione
verbale; e questo riconduce alla questione di sapere se vi è qualche cosa al di fuori
dello spirito che pensa, e se, nellassoluto, dei princìpi esistano come realtà o
come esseri che ripartiscono le loro energie.
In qual misura, e per quanto in alto si risalga verso lorigine delle cose, dei
princìpi, viventi come realtà separate, sfuggono a un giuoco dello spirito intorno ai
princìpi? E vi sono nelluomo stesso delle specie di facoltà-princìpi che
avrebbero una esistenza distinta e potrebbero vivere separate?
Ma se nella continuità, nella durata, nello spazio, nel cielo in alto e nellinferno
in basso, i princìpi vivono separati, essi non vivono come princìpi, ma come organismi
determinati.
Lenergia creatrice è una parola, ma che rende possibili le cose eccitandole col
sostegno del proprio fuoco-essenziale. E come nel mondo creato ci sono tutte le qualità
della materia, tutti gli aspetti della possibilità, degli elementi che si contano per
mezzo di numeri e si misurano per mezzo della loro densità, così il flusso creatore che
prende fuoco a contatto con le cose - e ogni colpo di fuoco della vita sulle cose equivale
a un pensiero - questo flusso negli organismi chiusi, e che vanno dalla nostra
grossolanità materiale alla più improbabile sottigliezza, compone ciò che chiamiamo
Esseri, e che non sono altro che dei soffi nella durata.
Le fonti del sapere
Naturalmente la cabala è lontana dalla
mentalità scientifico-naturalistica anche per il richiamo costante e necessario al testo
sacro, considerato fonte di scienza: oltre i testi già citati, ricordiamo che la Cabala
costruisce la sua interpretazione sul buio che colpisce gli egiziani e non il popolo
eletto (Es 21,23), sullepisodio della colonna di fuoco che conduce il popolo eletto
fuori dellEgitto (Es 13, 21; 14,19, 2; Salmi 78, 14) e sui brani in cui le scritture
ripetutamente associano la luce con il Creatore:
O Jahvé mio Signore hai provato di essere veramente grande; Tu ti sei avvolto nella
dignità e nello splendore e la luce è il Tuo ornamento (Salmi, 14, 1-2).
Mi apparve una figura di uomo, da quelli che parevano i suoi fianchi in su lo vedevo
splendere come lelettro, come una visione di fuoco allinterno e intorno a sé
e dai fianchi verso il basso mi sembrava pure una figura di fuoco con uno splendore tutto
attorno assai simile allo splendore dellarcobaleno che appare nelle nubi in un
giorno di pioggia (Ezec 1, 27, 28).
La luce del giorno (Gb 35,12,15) è la nemica dei malvagi:
da che vivi hai tu comandato al mattino? hai tu additato allaurora il suo posto
ondella serri i lembi della terra e ne scacci i malvagi? si trasforma allora come la
creta di un sigillo e si presenta con un vestimento ed è sottratta agli empi la loro luce
e il braccio eretto è spezzato.
La luce, la luna
Nel discusso e spesso frainteso Tramonto dellOccidente si metteva in
evidenza che il senso che noi uomini del 2000 diamo ad una scultura gotica è
profondamente diverso dal senso che le dava luomo del medio evo, nonostante che se
usiamo un metro, le misure sono ovviamente le stesse per noi e per lo scalpellino
medievale che si preparava a scolpire la pietra.
È lo stesso per la luce, se vogliamo. La luce per noi è necessariamente inquadrata in un
mondo di scienza naturale necessariamente inquadrata in un mondo di scienza naturale per
il quale deve avere delle spiegazioni galileiane, mentre nella visione cabalistica la luce
ha valore come si è detto di anello di congiunzione tra il mondo senza dimensioni o
informale e il mondo delle tre dimensioni.
In quel quadro di idee, è profondamente erroneo parlare di simbolismo della luce, se per
simbolo si intende una sorta di appiglio analogico per spiegare un fenomeno. La luce è un
segno, e attraverso il momento intuitivo, proprio dellarte ma non ad essa esclusivo,
arriviamo anche noi a cogliere il senso della luce, senso restato vivo in alcune
espressioni apparentemente insignificanti del nostro parlar quotidiano.
Certo venire alla luce (per nascere) è espressione in cui luce è qualcosa di più
della gelida lampada elettrica della sala parto odierna. Chi dice luce del volto, o
racconta la gioia delluomo dicendo gli si illuminò il volto vuol esprimere
certamente qualcosa di più del fascio di luce di un riflettore da teatro. Mille altre
espressioni ritrovano questa luce come momento di penetrazione dello spirituale oltre la
soglia della materia.In questa visione della luce, non così aliena alla nostra Gestalt
spirituale, laspetto più ambiguo e di più difficile interpretazione è quello del
buio della notte, (del quale fa parte, anche se per schiarirlo) la luce della Luna, luce
sì, ma inestricabilmente connessa alle tenebre.
In questa visione si inserisce lantica tradizione della Luna la quale nei tempi più
antichi quando riappare durante il mese scatena la gioia delluomo, sicché nel Talmud
si parla della Luna che si rinnova e si ricorda che i buoni un giorno ringiovaniranno come
fa la Luna; poi la meditazione si sposta sulla deficienza della Luna nellalternanza
delle sue fasi, tanto che in una spiegazione del Talmud, si afferma che Dio ha
menomato la luna che originariamente aveva la stessa luminosità del Sole. Dio proclama di
sacrificargli una vittima, in espiazione del fatto che Egli ha ridotto la Luna
15.
La Luna come la Shechinah come la Luna riacquista la luminosità e poi decade di nuovo
fino a uno stadio di completa oscurità, di povertà. La redenzione potri riportare la
luna ad uno splendore originario. È insomma la luce della Luna quella più vicina alla
luce della grande crisi del distacco di Adamo dal Creatore e dal suo giardino. La perfetta
scomparsa della luna rappresenta la discesa nelle terre dellesilio e
lesperienza dei terrori. La Luna nuova è anche il momento però in cui inizia la
meditazione sul Messia, che nella visione cabalistica è evidentemente riconquista della
luce:
Da nord si eleva il vento, una scintilla scaturisce dalla forza del nord dal fuoco di
Dio e colpisce sotto lala lArcangelo Gabriele e il suo grido sveglia i galli a
mezzanotte. Da quel momento fino allalba il pio si dedica allo studio della Torah.
Ed è lora della Luna, la mezzanotte,
contrapposta al mezzogiorno, quella in cui si svolge una veglia praticata dal circolo dei
cabalisti dello Zohar 16:
a mezzanotte Dio entra in paradiso per andare a passeggio con i giusti, a mezzanotte si
svolge un dialogo, che giunge fino allunione mistica, tra Dio e la Shekinah.
Il riflesso di luce
Nello Zohar il processo della
creazione corre dallassoluto purezza immateriale alla progressiva materializzazione
del mondo. Nella dottrina lurianica, in ogni livello della emanazione si ritrova non
soltanto la luce diretta, la luce che proviene dal centro luminoso dellen sof,
ma anche la luce diretta, la luce che proviene dal centro luminoso dellen sof, ma
anche la luce che proviene dal centro luminoso dellen sof, ma anche la luce
riflessa in direzione opposta, la luce riflessa dunque risale, per così dire lungo la
catena della emanazione, cioè tende a ritornare alloriginale sorgente. In ogni
sefirah esiste quindi un doppio corso della luce. Se il raggio viene filtrato verso il
basso, dal basso però viene un riflesso verso lalto. La struttura globale del mondo
dellemanazione come di ciascuna parte di esso dunque è costituita dalla simultanea
attività della luce diretta e della luce riflessa.
La ritrazione consiste nel fatto che prima ancora di porre in essere luniverso da
sé stesso attraverso lemanazione di luce, il creatore compie un ritrarsi da sé
stesso in sé stesso e si crea quindi uno spazio vuoto. Questo spazio vuoto
(infinitesimale per en sof) è invece limmensità tridimensionale nella quale
si realizza lintero en sof, nel sistema lurianico diviene un punto di vuoto;
lidea della ritrazione e della luce riflessa, aspetto uguale e contrario alla luce
primordiale, fa parte dellessenza divina. Forze, luci ed attributi destinati ad
esser resi manifesti più tardi (includendo anche le forze di risposta, di pietà e di
giudizio) erano già presenti in uno stato indifferenziato di realtà indistinta
allinterno di en sof, ove pietà e giudizio sono naturalmente soltanto le
radici nascoste e potenziali delle forze corrispondenti che divengono manifeste ed
esistenti nel mondo: "la radice del divino giudizio non era riconoscibile come tale,
era dissolta nellabisso infinito dellessenza divina come un grano di sale
nelloceano".
Come il popolo va in esilio, così en sof si ritrae; nello spazio vuoto lasciato
dalla sua luce creatrice, che illumina lo spazio primordiale della creazione e agisce
sulla residua che mette in movimento il processo cosmico secondo la struttura ordinata
delle dieci Sefiroth.
La dottrina della ritrazione è basata - come scrive Scholem - su unasserzione
semplice, crudamente naturalistica: come è possibile per il mondo esistere se len
sof, la divinità infinita loccupa tutto quanto? Se la luce di en sof si
trova in ogni dove, quale spazio resta? Evidentemente Dio, nel proiettarsi al di fuori
riduce, ritrae la propria nascosta essenza. Il processo di ritrazione e di emanazione è
lultima realtà della creazione. I due princìpi, le due forze, agiscono e
reagiscono per cui si può in qualche modo pensare ad una sorta di ritmico respiro del Dio
vivente attraverso appunto il chiudersi e laprirsi, il ritrarsi e lemanare.
La suprema manifestazione prodotta dal primo raggio di luce, cioè dalla linea diretta che
penetra nello spazio primordiale è luomo primordiale Adam Kadmon. Da questo
essere che non è niente altro che il modo di esistenza delle luci naturali dello spazio
primordiale si formano varie luci con un processo che è descritto in termini simbolici
come spezzare i vasi o morte di re.
Per cogliere il senso di questi termini è necessario far presente che il vaso è il
contenitore usato dallartigiano e quindi le Sefiroth sono vasi contenitori, nel
senso che sono gli strumenti usati da Dio emanante nel processo della creazione
17.
Luce attiva e luce resistente
Elaborata da Natan di Gaza che riprende la
dottrina lurianica dello zimzum insistendo su alcuni aspetti della luce. Allinizio
in en sof vi sono due specie di luci o aspetti che possono essere chiamati
attributi in senso spinoziano. La luce pensante e la luce non pensante. La prima è
diretta, è focalizzata allo scopo della creazione, ma nella infinita ricchezza dello en
sof - scrive Scholem - ci sono forze o princìpi che non sono diretti alla creazione e
il cui unico scopo è sapere che cosa essi sono e restare dove sono.
Questa è la luce non pensante che è estranea al processo creativo.
Quando per la formazione del processo di nascita delluniverso distinto da Dio, la
luce pensante si ritrae per lasciar spazio alla creazione stessa, alle altre essenze, la
luce non pensante che rimane nellassoluto totale perché non ha preso parte alla
dinamica creativa, resiste per così dire, si oppone, fa da inerzia nei confronti del
trattamento negativo e allora attraverso un paradossale meccanismo essa diviene ostile e
distruttiva quindi il potere del male è in definitiva fondato e non radicato nella luce
non creativa di Dio. La dualità della forma e della materia prende dunque un nuovo
aspetto, ambedue sono fondate in Dio. La luce non pensante non è male in sé stessa ma
prende questo aspetto perché si oppone allesistenza di ogni cosa che non sia en
sof e pertanto è posta, si pone a distruggere strutture prodotte dalla luce pensante.
Così linfinità riempita con la luce non pensante, mescolata con qualche residuo
della luce pensante restata dopo zimzum è chiamata Golem, la materia primordiale senza
forma. Lintero processo della creazione procede pertanto dalla dialettica di due
luci, in altre parole attraverso la dialettica praticata nel vero en sof.
Così la luce senza pensiero costruisce strutture di sua propria natura, il mondo
demonico il cui solo intento è di distruggere che cosa la luce pensante ha prodotto.
Queste forze sono chiamate i serpenti che si svolgono e si avvolgono nel grandi abisso. I
poteri satanici chiamati nel Zohar sitra ara, altra parte
non sono niente altro che laltra luce dellen sof.
Dunque anche la dottrina così elaborata di Sabatay Zevi evidenzia il grande problema
della sussistenza del male, ma per la prima volta esso viene visto come una parte di Dio
cioè la parte che si oppone alla creazione non quindi come un principio creato, come
accade nel cattolicesimo e nel cristianesimo in genere, non quindi come nella gnosi
dualistica nella quale ha capacità di Dio anche il male e soltanto al di là dei due
poteri si pone la abraxas inconoscibile che in quanto è il tutto non può non comprendere
ogni forza.
Dunque la resistenza della luce senza pensiero alla attualizzazione della luce che
contiene pensiero deriva dal fatto che lunico impulso della luce senza pensiero è
quella che niente esista allinfuori di en sof. Ad ogni stadio della creazione
si rinnova la lotta tra le due luci.
Per la dottrina della contrazione nel pensiero lurianico "egli contrasse la sua luce
quasi come un pugno in concordanza con le sue proprie misure e il mondo era lasciato nel
buio e in quelle tenebre egli innalzò rocce e acque scure. In altri termini la creazione
non viene intesa come concentrazione di un potere di Dio in un luogo, ma come ritrazione
da un luogo. Il luogo dove egli si ritira è puramente un punto a paragone della sua
infinità ma comprende dal nostro punto di vista ogni livello di esistenza sia spirituale
sia corporeo. Questo punto è lo spazio primordiale chiamato tehiru 18.
Ma il punto dal quale Dio si è ritratto ha in sé un residuo per così dire di luce
che è come la goccia dolio che resta nella bottiglia quando essa è vuota e la hyle
la materia prima su cui si svolge la creazione è proprio questa, rescimu, questo residuo
del fondo della bottiglia.
Per la dottrina più comune 19,
viene lasciato uno spazio libero e questo spazio libero è riempito da un raggio di luce
dellen sof; là, per forza naturale si crea lAdamo che precede tutta la
creazione. Lo sviluppo avviene in forma di circoli concentrici e questa luce è lo stesso en
sof o è una sostanza diversa. I cabalisti distinguono le loro posizioni, ma su ciò
rinviamo alle analisi storiche della cavala, limitandoci a dire che dallAdam Kadmon
creatosi si proiettano luci, alcune onnidirezionali, sfericamente irraggiantisi, altre che
procedono linearmente, come raggi unidirezionali; queste si concretizzano poi nella forma
delle lettere. Si collegano così due aspetti tipici della speculazione cabalistica,
quello relativo ai segni alfabetici e numerici con quello della luce.
Le Sefiroth
I cabalisti pongono dieci forze operative,
Sefiroth, di natura divina emanate (ma il termine è già troppo definitorio);
lenergia di ciascuna delle Sefiroth si rivolge verso lalto attraverso la
pietas cabalistica positiva e verso il basso per la forza negativa del peccato. Questa è
la linea di fondo della dottrina segreta.
Per denominare e descrivere le Sefiroth vengono utilizzati i termini allegorico simbolici,
biblici e della tradizione rabbinica. Lintera Bibbia ebraica non è più studiata
come narrazione storica, bensì viene interpretata - decifrata, se così si può dire -
come velata esposizione del processo dinamico delle Sefiroth. I simboli delle Sefiroth
sono numerosi e variati nella Cabala classica che poi si ricollega al libro dello
splendore.
Nel mondo, che è immagine somigliante a Dio, le Sefiroth costituiscono una
costellazione che ripercorre la forma umana 20.
Al di sotto vè il mondo degli esseri singoli, il mondo degli angeli e degli
spiriti, poi il piano dellessere materiale. Il processo della emanazione conduce
dunque dallunità al molteplice. Il senso e lo scopo della meditazione e della
prassi cabalistica è appunto la risalita fino allunità ripercorrendo i gradi della
emanazione.
Lattesa messianica
Nella Cabala, nel tardo medio evo e
dellevo moderno lattesa messianica prende sempre più spazio e luomo
spera che la fine della storia possa essere in qualche modo sollecitata se non provocata
dalluomo con le grandi operazioni cabalistiche. Da questo orientamento operativo, si
svolge in alcuni circoli una volgarizzazione semplificativa; dalla dottrina segreta nasce
una nuova generale teologia ebraica, talvolta con aspetti superstiziosi e/o di magia operativa 21, la cosiddetta
Cabala pratica.
I cabalisti come Luria e i suoi discepoli esercitano un notevole influsso in questo senso.
Il tema dellorigine del male, del destino dellanima, specialmente il problema
del Messia, luce che si espone alle tenebre, è al centro degli interessi. Dopo il
movimento messianico forte e tragico dei Sabatiani del 1600, lo studio della Cabala
ritorna ad essere compito di circoli ristretti, anche se gli eventi storici vengono spesso
interpretati da molti credenti sulle tracce dei principi cabalistici 22.
Luce di paradiso, luce di cabala
Non prendo posizione in questa sede, per
non perdere il filo del discorso, sui problemi dei rapporti tra la speculazione
cabalistica e le concezioni di Dante, che hanno fatto versare fiumi di inchiostro per
leventuale iniziazione di Dante alla setta damore; certo il modo in cui Dante
presenta la parte alta del cielo dove vè sublime contatto tra Dio e la realtà del
paradiso (che non è fuori del mondo, bensì fa parte di un continuum fino
allaltro polo, quello satanico), è quanto meno di una analogia impressionante con
la visione dellen sof e del mondo che intorno allen sof si
raccoglie. Resta naturalmente la distinzione di fondo per la quale Dante si preoccupa
costantemente di parlare di creazione esterna, di distinzione netta, di distanza infinita
tra creato e creatore, mentre questa distinzione non è così chiaramente proclamata nel
pensiero della Cabala, poiché le creature sono scalarmente meno divine, per dir così,
quindi non sono sentite così diverse da Dio, tanto che si arriva, come sè detto,
nella Cabala Lurianica, a vedere un movimento di ritrazione dellassoluto per lasciar
spazio alla sua creatura, in un eterno respiro del cosmo Dio/universo.
Nel canto XXVIII del Paradiso, Dante vede "un punto quindi che irraggiava lume
acuto / sì che il viso che egli affoca / chiuder conviensi per lo forte acume". Intorno
a questo punto che irradia luce così potente che locchio si abbaglia e deve
chiudersi a causa della intensità, intorno a questo punto che non ha dimensioni, si
avviluppa un alone che è un cerchio di fuoco che gira con velocità immensa e poi
successivamente si presentano i diversi cerchi angelici che in qualche modo sono sempre
più - se si vuole - materiali tanto che aumenta la loro grandezza e diminuisce la loro
velocità e luminosità. La struttura cosmologica, come si vede, ha parecchi punti di
consonanza con quella dellalta Cabala 23.
Di solito, invero, si pone laccento sulla organizzazione geometrica di questo mondo
dantesco. Sembra particolarmente significativo, invece, questa proiezione della luce dal
punto luminoso di Dio, senza dimensione, alle diverse forme di realtà.
E laccostarsi di Dante a Dio è ripercorrere verso lalto la strada delle
Sefirot, se si accoglie lanalogia cabalistica. Nel canto XXX del Paradiso, alla
soglia dellempireo nellincerta attesa "immersi nel silenzio più profondo
e in una luce che ha il carattere indefinito di quella del cielo prima
dellalba", Beatrice annuncia che Dante è uscito dal primo grande cielo per
entrare nellempireo che è pura luce, locchio viene dapprima abbacinato, poi
acquista forza visiva incommensurabilmente superiore, per cogliere Dio 24.
Nella visione dantesca, il passaggio tra il creatore ed il creato, quindi (in
terminicabalistici) il contatto tra len sof e ciò che è al di fuori avviene
attraverso il fulgore, fulgore che non è puramente intellettuale ma è di partecipazione,
tanto che viene definito come amore, come compresenza.
Dante con una nuova luce degli occhi vede il mondo come lume "in forma di
rivera / fluvido di fulgore infra due rive / dipinte di mirabil primavera". È
inutile certo ripercorrere le dottissime disquisizioni teologiche che si sono svolte
attorno a questi punti.
Lume è lassù che visibile fece
lo creatore a quella creatura
che solo in lui vedere ha la sua pace.
e si distende in circular figura
in tanto che la sua circonferenza
sarebbe al sol troppo larga cintura.
Fassi di raggio tutta sua potenza
riflesso al sommo del mobile primo
che prende quindi vivere e potenza.
Una visione, quella dantesca, della gerarchia
degli esseri, dal punto sublime adimensionale tutto-luce, agli astri sublimi, alla
umanità anelante al cielo, al mondo organico sottoposto a ferree leggi, alla bruta
materia disorganizzata, lontana dal punto centrale, tenebrosa. Così questi versi
difficili e apparentemente lambiccati a prima lettura, diventano di chiaro significato una
volta che si tenga presente la dottrina cabalistica: luce come sostanza e come energia
trasmettitrice del potere, della verità, della vita.
Il senso odierno della cabala
Ma qual è il senso di quel modo di
pensiero (così definirei la cabala; infatti metodo è un modo che richiede
una procedura prestabilita, atteggiamento è troppo poco determinato in senso
finalistico conoscitivo) per il nostro Zeitgeist che dà forma allattuale figura di
mondo?
"Il nostro mondo, scriveva Sergio Quinzio 25,
è ormai radicalmente secolarizzato, carico di tecnica, di nichilismo e quindi
assolutamente disincantato". Quanto scrive non vale per il mondo spirituale percorso
da forze non soltanto geometriche e secolari, ma è vero per la nostra scienza, che
addirittura si va disumanizzando (staccandosi dalluomo, in senso proprio, non solo
inaridendosi!) visto che la ricerca sfugge sempre più allessere umano per essere
praticamente portata avanti dai computer.
Quale che sia lestensione del fenomeno, vi è una alternativa a questo totale
disincanto, che teniamo per vero perché efficace fondamento duna scienza potente ed
operativa qual è lattuale, ma paradossalmente vissuto come menzogna perché
assolutamente non appagante?
Una delle possibili alternative è certamente quella del reincanto, quello della rilettura
in chiave di forze affascinanti (direi: di magia) dellimmenso universo; è la strada
che viene seguita dalle mitologie dei nuovi gruppi religiosi, sorgano essi fuori o
allinterno delle grandi religioni.
Il pensiero mitico
Ma forse vi è una terza strada tra il
pensiero disincantato e la visione magica del mondo. La terza strada - seguo ancora
Quinzio che si ispira a Givone - la terza strada è il pensiero tragico, il pensiero
mitico nel quale sussistono conflitti e contraddizioni. "In tale pensiero incanto e
disincanto, tecnica e poesia, identità e differenza, finito ed infinito, vengono pensati
insieme. In realtà è la grande strada imboccata da Hölderlin e da altri autori che
hanno sentito questa tragicità del pensiero; se la verità implica il suo contrario, se
può convivere il momento dellincanto col momento del nichilismo e della tecnica
secolarizzata, resta la gioia dellosservazione che è nel fondo anche di ogni
tragedia".
Sotto questo profilo, riprende senso la via della Cabala come visione della luce che si
diffonde nel cosmo che anzi costituisce il cosmo, in qualche modo restringendo addirittura
il posto di Dio; non si tratta di ridurre col godimento estetico lansia, essenziale
alluomo, dosservare, di sapere; piuttosto, a questo nostro tragico pensiero
nel quale convive la nostalgia del mondo incantato, la tecnica e il nichilismo, la cabala
può dare lintuizione meravigliosa dellarmonia del cosmo, ritrovare il
cantuccio lasciatoci da Dio nel suo ritrarsi, che nulla gli toglie (ritrarsi di un punto
adimensionale, non riduce lo spazio di Dio), ma dona a noi un espandibile universo.
La Cabala e il suo fiorire di luci presenta un mondo - lespressione è di H. Corbin
in il paradosso del monoteismo - che può essere indicato come mondo immaginale. In
qualche modo, riassume Quinzio, "tra il mondo della percezione sensibile e il mondo
astratto dellintelletto cè lintermondo dellimmagine, luogo dove i
corpi si spiritualizzano e gli spiriti prendono corpo, luogo del realismo visionario della
manifestazione teofanica".
Soltanto quando ci si rende conto dellesistenza degli angeli, cioè lesistenza
delle gerarchie divine, se vogliamo, delle Sefiroth, si ritrova la controparte celeste
delluomo, quella archetipica angelica.
Devo confessare che Corbin per me esplicita una sensazione che ho sempre provato nel
pensare ai massimi problemi: il monoteismo esoterico (chiamiamolo filosofico, per
approssimazione; forse razionalistico?) è in qualche modo ancora idolatrico in quanto
vuole afferrare Dio e la sua forza (che anzi, propriamente non è ancora forza e luce, è
pre-forza e pre-luce: ha/è in sé forza e luce), vuole com-prendere lassoluto
trascendente e inconoscibile, come se fosse un oggetto osservabile ed apprensibile. Sotto
questa prospettiva non appare così paradossale e assurda la tesi della necessità degli
angeli, sostenuta dal Corbin nel suo paradosso 26.
In altri termini, si può ritrovare attraverso la luce della Cabala, quella natura che
oggi è soltanto un oggetto di preoccupazione per gli esiti catastrofici che minacciano la
vita, ridotta dunque a strumento tecnico della nostra salute, vagheggiata come un ambiente
pulito in cui abitare comodamente e senza pericoli.
Forse dobbiamo ritrovare, attraverso la via della tenebra e della luce, quel senso
"di tremebonda venerazione, di sacra paura di fronte al maestoso, insondabile mistero
della potenza soverchiante della natura, in cui vita e morte, ordine e sopraffazione si
alternano e si mescolano senza fine".
Ma non è più possibile, secondo Quinzio, raggiungere questa meta. Io credo invece che la
battaglia contro la disperazione tecnica, la disperazione nichilistica che ci sovrasta,
possa avvenire in questa fine di millennio proprio con larma della contemplazione -
contemplazione critica, consapevole dello stridore con gli assiomi della nostra
scienza/tecnica potentissima - della luce della Cabala che in questo mondo fatto soltanto
di forze insensatamente operanti, cieche e solo causalistiche, ci racconta di un Dio che
ritira un poco il suo luogo, per lasciare un angolo dellimmensità anche
alluomo, allinterno dellassoluto en sof. E questangolo,
Egli inonda di luce, di stelle, darcobaleni.
Beninteso, lettore che mi hai seguito lungo la strada del pensiero tragico o mitico, non
parlo di ingenua fede, così difficile per il nostro Zeitgeist critico (il grande Pan
è morto, e non soltanto il grande Pan), ma di un impegno esistenziale. Mi accontento
di fronte al mistero, di un commitment guardingo, fondato sulla certezza che il
raggio di luce non ha soltanto fotoni e vibrazioni, ma è anche lume degli occhi. Questo,
la fisica quantistica non può togliercelo, né può toglierci gli arcobaleni, le stelle,
i luminari del cielo 27.
Note
Benoist
K., Signes, symboles et mytes, Parigi 1978: La luce è dunque energia: nelle
credenze del sufismo il cuore delluomo è come una lanterna di vetro nel quale si
trova la sua coscienza più segreta sotto forma di una lampada accesa dalla luce dello
spirito. Per un dotto esame biblico e storico-teologico dal punto di vista cattolico, vedi
J. Ratzinger, Licht, in Handbuch theologischer Grundbegriffe, Monaco 1970.
Widengren
G., Il manicheismo, Milano 1964.
Rinvio
a Raffaello Del Re, in E. Zeller e R. Mondolfo, La filosofia dei Greci, Firenze
1979.
Shubert
K., The dead sea community, Londra 1960.
La
Cabala - propriamente ricezione, tradizione - espressione originale del pensiero,
designa un orientamento speculativo che si sviluppa nella cultura ebraica del sud della
Francia, della Spagna del nord, dal tardo XIII secolo.
Essa si fonda su una visione del mondo che in prima approssimazione può essere definita
neoplatonica ma che comunque viene sviluppata con riferimento costante alle fonti
tradizionali, la Bibbia, il Talmud e la Midrach; la ricerca cabalistica vuole rispondere
alla domanda ultima, quella che chiede di spiegare, di mostrare ed anche di giustificare
il rapporto tra la realtà assoluta trascendente (en sof) e il mondo che ci
circonda contingente e pieno di difetti.
Mi limito a richiamare lopera di Sholem G., Kabbalah, New York 1988, con
riferimenti alla amplissima letteratura.
l
Vangelo giovanneo viene letto spesso in termini assai vicini a quelli della cabala;
vè naturalmente da intendersi, poiché negli autori cristiani si tratta la luce
come simbolo più che come segno, come immagine non come realtà. Resta lobiettivo
fatto che Giovanni vede la storia cosmica come lotta tra luce e tenebre. "La vera
luce è una energia increata vivente che ritma i giorni della nuova genesi, Dio è luce
(Gv 1, 5-7); Essa si irradia per lazione di Gesù, come lenergia-luce si
irradia nel mondo materiale per mezzo dei grandi luminari (J. Goettmann, Saint Jean,
évangile de la nouvelle Genèse, Parigi 1982).
P. Teilhard De Chardin, La messe sur le monde, scrive: "siamo dominati
dallillusione tenace che il fuoco sorge dalla profondità della terra
si deve
rovesciare la visione
Allinizio non cera il freddo e le tenebre,
cera il fuoco, spirito bruciante, fuoco fondamentale e personale, è la luce
preesistente che pazientemente ed infallibilmente elimina le nostre ombre".
Cfr.
Bottero J., Naissance de Dieu, Parigi 1986; Nordio M., (a cura di), La genesi, Milano
1977.
Benoist,
Signes, cit., 58. Budda si manifesta nel mondo degli uomini discendono i sette
gradini, i sette colori, dellarcobaleno.
In
Zohar, The book of splendor, New York 1990, una scelta curata da G. Sholem.
A.
e K. Toaff, Il libro dello splendore (scelta, con introd.), Pordenone 1994.
Questo
punto primordiale è stato spesso riportato allatomo di massa nulla e di energia
infinita del big-bang, che la scienza fisico-matematica pone allinizio temporale del
mondo. Nonostante il fascino di questi parallelismi, mi attengo al principio che si tratta
di espressioni che hanno unità di misura tra loro incommen- surabili. Potrei aggiungere
che le teorie scientifiche cambiano per adattarsi alle nuove scoperte, le immagini come
questa della luce segreta sono immutabili nella loro capacità evocativa.
In
un discorso di Gesù (Mt 6, 22-23) si segue la tradizione (presente anche in altri
passi del Vangelo) della luce. "Locchio è lume del corpo, se dunque
locchio tuo è sano tutto il tuo corpo sarà illuminato, ma se locchio tuo è
guasto tutta la tua persona sarà illuminato, ma se locchio tuo è guasto tutta la
tua persona sarà nelle tenebre. Se dunque la luce che in te è tenebre, quanto grandi
saranno queste tenebre?" In tale brano no solo si richiama la dicotomia tenebre-luce,
ma si considera ovvio un modo di intendere la luce cui la cabala darà grande rilievo
operativo: locchio non è solo recettore passivo ma è esso stesso lume per la
persona, è un anello della lunga catena che dalla spiritualità dellen sof
conduce allo spessore materiale delle tenebre fitte.
La
scienza naturalistica è partita dalla stessa osservazione della fiamma, che
effettivamente si divide in parti diverse, più o meno calde, più o meno vivide di luce.
Naturalmente queste parti della fiamma sono determinate dalla percentuale dossigeno,
dai moti convettori, etc., basta accendere un becco Bunsen e variare il rapporto
conbustibile / comburente per rendersene conto. Le risposte di chi non si limita ad
osservare la fiamma soltanto come addensamento di particelle in combustione sono due: la
fiamma è soltanto una immagine analogica, che permette di comprendere per somiglianza il
processo spirituale; questa è la risposta spiritualistica, per la quale la fiamma è un
esempio come un altro. Per la cabala, la spiegazione scientifico - naturalistica è una
descrizione, una definizione; la realtà della fiamma è quella del ponte tra
adimensionale e dimensionale.
Artaud
A., Eliogabalo, lanarchico incoronato, Milano 1977.
Scholem,
Kab, 186 sgg. Quando la Luna era collegata al Sole, essa era luminosa di luce propria.
Quando si separò dallastro del giorno, limpero delle sue proprie regioni, il
suo rango nella scala degli esseri divenne inferiore e così pure la sua luce.
Scholem,
Kab, 187.
Il
sabatianismo, sconvolgente e tragico movimento messianico che al di là degli esiti
storici arricchì dun fermento di idee la religiosità mistica (G. Scholem, Sabatai
Sovi, il messia mistico, Princeton 1989) si fonda sullidea della ritrazione e
ristorazione, della cabala Iurianica: il messia riconduce lungo il sentiero di luce alla
realtà suprema. Labiura di Sabbatai per taluni discepoli rientra in questo flusso e
riflusso di luci dirette e riflesse.
Scholem,
Kab, 129.
Scholem,
Kab, 231.
I
Sefirah, corona è la suprema manifestazione della divinità trascendente, è volontà
e pensiero di Dio, II Sefirah è la saggezza divina, la ancora indifferenziata idea della
Torah, III sinistra è la intuizione, meglio dire penetrazione, nelle idee dei segni
numerici e letterali; essa ha già una nota di concretezza, poiché manifesta
lessere nei simboli alfabetici, La triade dei più alti Sefiroth costituisce una
unità in sé. Le sottostanti sette Sefiroth si suddividono sotto questa triade in una
colonna destra, sinistra e media. IV destra Abramo, assoluta Grazia, V sinistra Isacco la
assoluta forza; Vi Giacobbe la Torah scritta, la VII di destra e lVIII di sinistra
hanno minor portata, IX e X si trovano di nuovo sulla colonna del centro, XI è la
legittimità, cioè la colonna del mondo, il princìpio maschile, mentre X, signoria
regale, rappresenta la comunità di Israele, la Torah centrale, il princìpio femminile.
Per
la cabala numerologica, rinvio a M. C. Del Re, La divination informatique, Parigi
1994.
Per
la comprensione del movimento che sembra abbia ritrovato forza e significato nella
teologia della terra promessa di alcuni gruppi israeliani, rinvio ancora, in prima
istanza, alla ricerca di Scholem, 1897-1992, ricca di informazioni e sensibile al
messaggio della linea di pensiero cabalistica. È restaurazione della base della fiamma
che porta allineffabile luminosità, o è soltanto un aggregato politico? Ma non
questo il tema che ci siamo proposti.
Richiamo
soltanto le classiche ricerche di Gabriele Rossetti, La Beatrice di Dante, Roma
1988, riedita dalla Atanòr, che meritoriamente ripubblica classici altrimenti
introvabili; L. Valli, Dante e i fedeli damore, Roma 1928.
Ricominciò:
Noi siamo usciti fore
del maggior corpo al ciel che è pura luce,
luce intellettual piena damore.
Come subito lampo che discetti
gli spiriti visivi sicché priva
dallatto locchio dei più forti obietti,
così ne circonfulse luce viva
e lasciommi fasciato di tal velo
nel suo fulgor che nulla mappariva.
Sempre lamor che queta questo cielo
accoglie in sé con siffatta salute
per far disposto a sua fiamma il candelo.
In
Radici ebraiche del moderno, Milano 1990, p. 178.
Quinzio,
Radici, 164.
"Immaginosamente,
la luce gnostica, la coscienza dei sensi, è ben altra cosa dalla combinazione di fotoni,
dalla luce fisica. La luce gnostica è una illuminazione per partecipazione al senso. I
fotoni apportano la luce soltanto ad un essere illuminato o illuminabile dalla
partecipazione al senso e alla propria memoria del senso. I fotoni non hanno in loro
stessi niente di luminoso, lo spazio se non coltooda occhi viventi è altrettanto buio del
centro della terra, anche se è pieno di informazioni in ciascun angolo
Qui dovrei
aprire il discorso sulla scienza neo-gnostica, per la quale, almeno per ora, rinvio a R.
Ruyer, La gnosis de Princeton, Parigi 1974, dal significativo sottotitolo, des
savants à la recherche dune religion. Anche nella tradizione cattolica e
ortodossa troviamo però interpretazioni assai vicine allo spirito, mi sembra, della luce
cabalistica, salva lidea del Cristo come persona. Commentando il passo giovanneo
Egli è la vera luce, che illumina ogni uomo, venendo nel mondo, versetto che per la sesta
ed ultima volta usa iltermine luce ("secondo un procedimento giovanneo,
il sesto e ultimo uso duna parola essenziale designa il Cristo nellattività
che dà il suo senso allinsieme del testo), J. Goettman, cit., scrive
"figlio del padre delle luci, luce di luce, il verbo è fonte e legge di tutte le
altre luci, Egli luce increata, luce autentica
La luce, che era nel mondo creato da
essa, viene nel mondo presso i suoi, quindi 1 - la luce fisica fotonica è materia, 2 - la
luce di vita che ci permetta di vederla è lintelligenza, 3 - la luce del verbo
incarnato è quella reale, che sconfigge le tenebre.
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