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Selinunte, SAntuario della Malophoras, Testa femminile con copricapo (polos), VI sec. a.C.

I Misteri in Sicilia

Anna Maria Corradini

 

Collegamento a Eques Renatus a Spica Aurea, I Misteri di Demetra

 

La presenza dei «mysteria» in Sicilia è largamente attestata dalle fonti e dal mito. Il passaggio dalla sfera mitica al rito si applica in modo esemplare proprio nell’isola, quanda si parla di Demetra e Kore, le due divinità note per i misteri eleusini. È universalmente riconosciuto che l’istituzione dei «mysteria» si identifica con il famoso Inno a Demetra attributo ad Omero. La fase concettuale e rituale si basa su tre momenti fondamentali:

lutto e ricerca di Kore;
fase del digiuno ed accettazione della bevanda nota come ciceone da parte di Demetra;
ritrovamento della figlia e gioia per l’avvenimento.

Nella ritualizzazione misterica questi tre momenti venivano ripetuti come un «dramma», cioè come azione e rivisitazione della storia mitica. La fonte ispiratrice del mito Demetra-Kore è legata all’attività agraria e alla fecondità; l’agricoltura e i suoi simboli, il grano, la spiga, sono il sostrato di base da cui si sviluppa tutta la vicenda, per culminare nel rapimento della figlia, e si traduce nell’avvicendarsi del ciclo stagionale di nascita-morte-rinascita. A questo si affianca il rituale del rapimento, della discesa nell’Ade, della theogamia con Plutone, della ricerca da parte della madre, del ritorno di Kore sulla terra. Tutti questi complessi passaggi costituiscono il perno su cui ruotano i misteri. Se le cerimonie religiose pubbliche nel mondo greco si esprimono con i thesmoforia, i misteri noti nell’antichità venivano celebrati con cerimoniali privati di cui parlano ampiamente le fonti.
I culti misterici in Sicilia sono sicuramente influenzati da quelli eleusini, tuttavia presentano peculiarità autonome che derivano da diverse situazioni storico-religiose. La tradizione siciliana dei culti agrari è tramandata da Diodoro Siculo che così scrive (v. 2):

«…tratteremo innanzitutto della Sicilia, sia perché è la più fertile delle isole, sia perché le spetta il primo posto per l’antichità dei miti che la riguardano. L’isola, chiamata anticamente Trinacria dalla sua forma, soprannominata Sicania dai Sicani che la abitavano, ricevette il nome di Sicilia dai Siculi, che vi passarono in massa dall’Italia… I Sicelioti che la abitano hanno appreso dagli antenati [la notizia che è stata sacra a Demetra e Kore]; alcuni poeti raccontano che in occasione delle nozze di Plutone e Persefone quest’isola fu donata da Zeus alla sposa come dono di nozze. Gli storici più autorevoli affermano che i Sicani (che abitavano la Sicilia nei tempi antichi) erano autoctoni, che le suddette dee apparvero per la prima volta in quest’isola e che la Sicilia per prima produsse il frutto del grano grazie alla fertilità della sua terra… E infatti nella piana di Lentini e in molti altri luoghi della Sicilia nasce anche ora il così detto grano selvatico. Insomma se si facesse un’indagine sulla scoperta del grano, cioè in qual parte della terra esso sia apparso per la prima volta, è verosimile che si riconosca il primato alla terra più fertile. Conformemente a quanto si è detto, è possibile constatare che le dee che hanno scoperto il grano sono straordinariamente venerate dai Sicelioti».

La Sicilia appare l’isola dedicata alle due dee ed addirittura donata dallo stesso Zeus e Persefone in occasione delle sue nozze con Plutone: si parte quindi dal presupposto che il culto era molto noto in Sicilia e diffusissimo, comunque strettamente legato all’elemento agrario, alla scoperta del grano e all’insegnamento della tecnica agricola, quindi a un assestamento politico-economico che crea le basi per un radicamento dei rituali. Erodoto (VII, 153), scrive:

«Un antenato di Gelone, uno dei primi coloni di Gela, era oriundo dell’isola di Telo… costui, quando Gela fu fondata dagli abitanti di Lindo, che venivano da Rodi al comando di Antifemo, non se ne stesse a casa sua. Poi con il passare del tempo, i suoi discendenti erano diventati ierofanti delle dee sotterranee, incarico che conservavano sempre dopo che uno degli antenati, un certo Teline l’aveva ottenuto nella maniera seguente: una parte degli abitanti di Gela, sopraffatta dagli avversari in una contesa politica s’era rifugiata nella città di Mactorio… orbene Teline riuscì a ricondurli a Gela, senza appoggio di forze armate, ma solo con le insegne di queste dee. Donde egli le avesse ricevute o se le fosse procurate, non saprei dire».

Questa affermazione è fondamentale per chiarire un elemento per tutte le problematiche: i culti demetrii nascono in Sicilia o provengono dalla Grecia? Diodoro Siculo (v. 4) così scrive:

«Dopo il ratto di Kore, Demetra (così racconta il mito), poiché non riusciva a trovare la figlia, accese le fiaccole dai crateri dell’Etna, si recò in molti luoghi della terra abitata e beneficò gli uomini che le offrirono la migliore ospitalità, dando loro in cambio il frutto del grano. Gli Ateniesi accolsero la dea con grandissima cortesia, e a loro per primi, dopo i Sicelioti, Demetra donò il frutto del grano, in cambio di ciò il popolo di Atene onorò la dea molto più degli altri, la onorò con famosissimi sacrifici e con i misteri eleusini, i quali, superiori per antichità e sacralità, divennero famosi presso tutti gli uomini… Gli abitanti della Sicilia, avendo ricevuto per primi la scoperta del grano per la loro vicinanza con Demetra e Kore, istituirono in onore di ciascuna delle dee, sacrifici e feste cui dettero il nome di quelle e la cui data di celebrazione indicava chiaramente i doni ricevuti. Fissarono, infatti, il ritorno di Kore sulla terra nel momento in cui il frutto del grano si trova ad essere perfettamente maturo. Scelsero per il sacrificio in onore di Demetra il periodo in cui si incomincia a seminare il grano.
Celebrano per dieci giorni la festa che prende il nome della dea, una festa splendidissima per la magnificenza dell’allestimento, durante la cui celebrazione si attengono all’antico modo di vita. In questi giorni hanno l’abitudine di rivolgersi frasi oscene durante i colloqui, poiché la dea, addolorata per il ratto di Kore, scoppiò a ridere a causa di una frase oscena».

Il fatto che Diodoro affermi che la Sicilia sia stata la prima in assoluto a conoscere il grano e che solo dopo Demetra, vagando alla ricerca della figlia, lo abbia donato agli Ateniesi, deve fare riflettere: se esistono fattori campanilistici per cui Diodoro, nativo di Agira, è propenso ad attribuire alla Sicilia il primato della scoperta del grano, tuttavia l’antichità del culto sembra un fatto acclamato. Si veda anche Cicerone (In Verrem. IV, 49, 50) 49:

«Per l’antichità di questa credenza, cioè che in quei luoghi si trovano le tracce e la culla di quese divinità (Demetra e Kore), vi è in tutta la Sicilia uno straordinario culto in privato e in pubblico per la Cerere ennese… Infatti sono ricercati con forte desiderio i misteri degli Ateniesi, dai quali si dice Cerere sia giunta in quella peregrinazione e abbia apportato le messi, quanto grande convenne che fosse allora la venerazione di quelli presso i quali si attesta sia nata ed abbia scoperto le messi? Pertanto presso i nostri Padri, in un momento molto difficile dello Stato quando, ucciso T. Gracco, dai prodigi erano presagiti timori di grandi libri sibillini, e da questi si ricavò che bisognava placare l’antichissima Cerere. Allora da un grandissimo collegio dei decemviri, i sacerdoti del popolo romano, pur essendovi nella nostra città un bellissimo e splendido tempio di Cerere, tuttavia partirono fino alla volta di Enna. Così grande era l’antichità e l’autorità di quel culto, che, andando in quel luogo, non al tempio di Cerere, ma sembrava che si recassero da Cerere in persona».
50: «Mi vengono in mente i templi, i luoghi di quel culto… quel famoso giorno in cui essendo venuto a Enna, tosto mi vennero incontro i sacerdoti di Cerere… desideravano che fosse espiata… l’antichità delle cerimonie, il culto del tempio… Gli Ennesi credono che Cerere abiti presso di loro, così che mi sembravano non cittadini di quella città, ma tutti sacerdoti, tutti abitanti e ministri di Cerere».

È chiaro dunque che dalla voce autorevole di Cicerone, sebbene i passi siano enfatizzati dall’arringa contro Verre, che i riferimenti sono inconfutabili, sia per l’antichità dei culti che per l’importanza che essi conservarono fino all’epoca romana ed oltre. Gli stessi misteri che i Greci avevano promosso a Eleusi, e che si diffusero in tutto il mondo ellenico anche della Magna Grecia e della Sicilia, non è escluso che fossero presenti nell’isola ancora prima dell’arrivo dei colonizzatori greci e che poi si siano fusi con la tradizione misterica eleusina senza pertanto togliere la presenza di culti pre-greci in Sicilia legati a divinità femminili della sfera agraria assimilate poi con Demetra e Kore. Per quanto riguarda i luoghi dove avviene il ratto si veda Pseudo-Aristotele (De mirabiliubus auscultationibus, 82):

«In Sicilia nei dintorni della città chiamata Enna, si dice ci sia una spelonca attorno alla quale dappertutto dicono che cresca un’enorme quantità di diversi fiori per tutto l’anno, e tale luogo sia pieno di una moltitudine di viole che riempiono di soave odore la terra intorno, così che durante la caccia, pur possedendo i cani un forte senso dell’odorato, divengono impotenti ad inseguire le orme delle lepri. In questo luogo esiste una galleria sotterranea, con l’apertura invisibile, per la quale dicono che Plutone abbia compiuto il ratto di Kore».

Diodoro Siculo (v. 2): «Favoleggiano che il ratto di Kore sia avvenuto nei prati vicino ad Enna. È questo un luogo vicino alla città, bello per le viole e altri fiori… si dice che per il profumo dei fiori presenti,i cani che sono soliti cacciare, non possono seguire le tracce, impediti nella facoltà percettiva del senso dell’odorato… nelle vicinanze vi sono prati e boschi… e una spelonca che ha un’apertura sotterranea… dalla quale dicono che sia uscito Plutone per rapire Kore».
Diodoro Siculo (v. 4): «Secondo il mito Plutone, compiuto il ratto, trasportò Kore sul suo carro vicino Siracusa: squarciò la terra, sprofondò con la rapita nell’Ade e fece sgorgare una fonte chiamata Ciane, presso la quale i Siracusani celebrano ogni anno una famosa festa; i privati sacrificano vittime di piccolo taglio, la cerimonia pubblica prevede l’immersione di tori nello specchio d’acqua; questo sacrificio fu introdotto da Eracle al tempo in cui percorse tutta la Sicilia…». Cicerone (In Verrem, IV, 48):

«Esiste un’antica credenza che si fonda su antichissimi documenti e su testimonianze greche, che tutta l’isola siciliana sia consacrata a Cerere e Libera. Non è una profonda persuasione, a tal punto da sembrare insito e connaturato nel loro animo. Infatti credono che queste dee siano nate in quei luoghi e le messi in quella terra per prima siano nate in quella terra per prima siano state scoperte, e che Libera, che chiamano Proserpina, sia stata rapita da un bosco degli Ennesi… Enna, in vero, dove dicono siano accadute le cose che narro, è in un luogo elevato e prominente, sulla cui sommità si trova un terreno pianeggiante, così da sembrare che lo stesso luogo attesti quel famoso ratto della vergine, fatto che abbiamo appreso fin dall’infanzia.
Infatti vicino vi è spelonca rivolta ad aquilone di enorme profondità, dalla quale dicono che all’improvviso sia balzato fuori il padre Dite con un carro, ed abbia strappato la vergine da quel luogo, l’abbia portata con sé…, e all’improvviso, non lontano da Siracusa, sia penetrato sotto terra, e si sia formato subito un lago in quel luogo, dove fino ad oggi i Siracusani celebrano i giorni di festa ricorrenti ogni anno con un famosissimo accorrere di uomini e donne».

La pianura fiorita presso Enna mostra degli aspetti che fanno pensare alla stagione primaverile per la presenza di fiori e ricca vegetazione, e sono da notare i cani collegati alla simbologia esoterico - misterica. Ad Adrano il cane si trova sempre assieme ai Palici, divinità di origine sicula, con caratteristiche misteriche. Il cane è presente nei culti inferi; lo si trova in Sicilia in rappresentazioni monetali assieme alla Venere Ericina, anch’essa legata al mondo esoterico. Elemento tipicamente collegato al mondo infero è la grotta, simbolo dell’ingresso nell’Ade: è sempre attraverso caverne che si accede nell’oltretomba (vedasi la discesa di Odisseo, Eracle, Orfeo); rappresenta l’anello di congiunzione tra la vita e la morte. Il parallelismo può essere fatto con il seme legato al ciclo stagionale; infatti sotto terra esso si prepara a venire fuori con la bella stagione, alla luce del sole matura e muore, per ricominciare il circuito ciclico. Questo mito dell’eterno ritorno sta alla base dei misteri.
Nella seconda parte della narrazione diodorea e negli altri passi, il luogo del ratto si sposta a Siracusa dopo la fuga dai prati ennesi, ed esattamente alla fonte Ciane, dove Plutone sprofonda con il carro. Lo sgorgare della fonte rappresenta la lieta novella della fecondità, l’acqua è il simbolo della purificazione e fa parte del cerimoniale. Eracle, come iniziato ai misteri minori di Demtra (Vedi anche Diodoro, IV, 14), istituisce ufficialmente i misteri in Sicilia con l’immersione del toro nella fonte Ciane: il riferimento è chiaro, l’iniziazione misterica è sancita.
Diodoro considera l’elemento agrario come prioritario in Sicilia rispetto al fattore esoterico, anzi addirittura il grano è donato da Demetra agli uomini in segno di riconoscenza per la buona accoglienza ricevuta. I misteri rappresentano una fase successiva, nascono dalla vicenda mitica stessa che è pathos e sofferenza, dal momento del rapimento alla soluzione finale del ritrovamento. Si celebrano così varie feste in onore di Demetra e Kore; i thesmoforia sono ampiamente attestati e si celebrano nel periodo autunnale, le Katagoghè invece hanno luogo quando il grano è maturo; entrambe le feste hanno particolare solennità (paneguris) di partecipazione collettiva, il che escluderebbe un coinvolgimento dei misteri che hanno la peculiarità di essere riservati a pochi eletti. Il ricorso all’aischrologia per far ridere la dea, è una componente ricorrente nei culti demetrii.
Si attua così il ripristino della normalità quando Demetra ottiene da Zeus il permesso di riportare Kore sulla terra per un certo periodo dell’anno e conseguenzialmente ridona agli uomini il grano. Non v’è dubbio dunque che i ritmi agrari stagionali facciano parte del rituale demetriaco. È solo dopo il ritrovamento di Persefone che Demetra si riconcilia con Zeus e restituisce il seme del grano, insegnando la tecnica agraria primo fra tutti al giovane Trittolemo che diventa così il diffusore dell’arte della coltivazione presso i popoli. Da notare che Trittolemo si ricollega all’ambiente ateniese, e questo fatto è molto importante per il filo conduttore che unisce la Sicilia alla Grecia. Lo status di ordine e perfezione viene ristabilito attraverso il pathos di tutta la vicenda mitica (ratto, peregrinazione di Demetra, ricerca della figlia, suo ritrovamento). Durante le feste lo ierofante assieme ai convenuti, riproponeva tutta l’azione attraverso la diretta partecipazione dei presenti, così come afferma Diodoro, il quale parla di «imitazione della maniera di vivere antica» che si riferisce sia al dramma rivissuto, sia alla mimica dell’agricoltore. Demetra è anche «legifera», poiché da un assetto normativo all’umanità istituendo leggi giuste, da cui l’appellativo di «Thesmoforos». Il senso della giustizia, dell’equilibrio, della verità, è la fase finale del mito ed anche l’ultimo stadio della conoscenza per l’iniziato.
Ovidio (Metamorfosi, V, vv. 330 e segg.; Fasti, IV, vv. 393 e segg.), raccoglie la tradizione siciliana del ratto di Kore e delle peregrinazionidi Demetra. Anche qui come in Diodoro la dea vaga in cerca della figlia rapita, accende le fiaccole dai crateri dell’Etna, icontra il vecchio Celeo ad Eleusi e qui istituisce i misteri. Interessanti i versi, Fasti, 531-36: «La dea… raccolse dalla terra papaveri saporiferi e immemore n’assaporò e ruppe il digiuno, senza volere. Poiché finì il digiuno al crepuscolo, l’ora del cibo per gli iniziati, è quella in cui appaiono le stelle».
La vicenda è dunque incentrata tra la Sicilia ed Eleusi, ed entrambi i luoghi fanno parte del mito. È chiaro che il sostrato agrario è l’elemento base per tutte le fonti. Si parla inoltre di una bevanda sacra (il ciceone) nel caso dell’inno omerico composto da farina, orzo e menta, e nei Fasti ovidiani di una mistura soporifera che spezza il digiuno della dea. Nel rituale gli iniziati bevevano una bevanda per ricordare ciò che fece Demetra. Cosa questa contenesse non è facile sapere, tuttavia sulla base delle testimonianze citate poteva trattarsi anche di uso di sostanze che servissero da calmanti dalle angosce ed esaltassero le facoltà emotive per avvicinarsi meglio alla conoscenza dei misteri e quindi della verità e dell’illuminazione. Anche Proserpina ha gustato un frutto che le impedirà il ritorno definitivo sulla terra, i chicchi di melograno, simbolicamente collegato agli Inferi. La degustazione di particolari cibi doveva essere una delle componenti base dei riti. Nella tradizione ovidiana il bambino allevato da Demetra, non è Demofonte, ma Trittolemo stesso, ed è proprio a lui che la dea insegnerà l’arte della semina e della raccolta del grano.
L’aspetto agrario è dunque sempre preminente e rappresenta il cardine di tutto il mito, almeno nella facies più arcaica. Tuttavia l’uno non esclude l’apporto misterico, che è sempre presente, anche se ritualmente è forse più composito in dipendenza dei siti e del sostrato indigeno e religioso. Non è impensabile che divinità locali fortemente radicate e collegate alla sfera agraria potessero essere assimilate alle due dee greche (Demetra e Kore), per trovare uno sviluppo mitico-rituale eleusino. Nella tradizione siciliana il tempo in cui Persefone vive sulla terra con la madre, è ristretto a sei mesi, alternandosi con il soggiorno negli Inferi. Nell’inno omerico la fanciulla trascorre solo tre mesi dell’anno nell’Ade. Non cambiano tuttavia i dati della narrazione mitica, cioè Demetra Kourotrophos (nutrice), la xenia (ospitalità) offerta da Celeo, il ritrovamento di Kore, l’accordo con Zeus, il dono della dea Demetra agli uomini del grano, gli insegnamenti a Trittolemo.
Nell’inno, quando Demetra viene sorpresa da Metanira nell’atto di porre sul fuoco Demofonte per renderlo immortale, appare in tutto il suo splendore e non avendo potuto portare a termine l’azione nei confronti del bambino, tuttavia lo ricompenserà sempre. Demetra chiede che le sia dedicato un grande tempio e un altare sotto di esso. Ella dunque pone un atto fondativo dei misteri con una collocazione e un riferimento precisi ai luoghi dove essi dovevano avvenire; annunzia infine che ella stessa istituirà i riti (orgia) che esprimono la concezione di azione sacra legata al suo significato originario di «culti». L’accostamento con i tiasi dionisiaci, con i riti di Cibele e i coribanti, comincia ad essere usato a partire dal V secolo a.C. per indicare un momento di forte esaltazione mistica e religiosa.
L’accento arcaico dell’aspetto agrario nella mitologia risulta evidente dalle fonti, l’inno omerico sta alla base dell’istituzione dei misteri eleusini. Lo schema mitico di una dea dell’agricoltura, è presente nel vicino Oriente già nel secondo millennio a.C., quando Inanna, dea sumerica, discende nel mondo infero con conseguente sterilità di tutto; così pure accade nel caso di Dumuzi-Tammuz che ritorna ciclicamente sulla terra, mentre il suo posto negli Inferi è preso da sua sorella Gestinanna.
Altri esempi potrebbero essere citati per la stessa Grecia, come in Arcadia, dove l’elemento arcaico sopravvive a somiglianza della Sicilia nella vicenda della Demetra Melaina, dea locale, alla quale si è sovrapposta parzialmente la Demetra eleusina. È proprio in Arcadia che parallelamente con la Sicilia viene posto il ratto di Kore. La cessazione della fertilità si ripropone quando Demetra si rifugia in una caverna e solo in seguito placata dalle Moire, ripristina le condizioni della normalità sulla terra (Pausania VIII, 43, 1-13). I misteri non sono dunque un’invenzione dell’inno omerico ma la loro presenza, collegata al rituale ciclico stagionale e al Katodos di una divinità negli Inferi, con relativo ritorno periodico, è molto arcaica. Dal caos all’ordine cosmico, in fondo gli stessi mistae cercano proprio l’ordine, il bisogno escatologico della salvezza eterna; il nucleo centrale dei misteri sta in questo, nella risoluzione della crisi di Demetra e della figlia attraverso una serie di riti, praticati fin dai tempi più antichi.
Nei Fasti di Ovidio, così come pure nella testimonianza dodorea, la paneguris solenne presuppone la gioia finale con il riso della dea simbolo di augurio per la ritrovata fertilità dei campi, e per il ritorno della figlia sulla terra. La tematica agraria del sostrato arcaico trova il suo esito positivo in rituali legati alla terra, agli inizi della pratica agricola e al mutamento comportamentale delle comunità che imparano a coltivare. Le feste delle Katagoghè, celebrate in Sicilia, sono un elemento mitico forse indigeno, in relazione a una divinità pregreca, così come in Arcadia forse della vegetazione spontanea e poi dell’attività agricola organizzata. Il ciclo stagionale della comparsa del germoglio e della maturazione del seme sotto terra che lì giace per il periodo invernale viene interpretato come l’apparire e lo sparire della divinità, il cui retaggio resta nel rituale delle Katagoghè. La dea della vegetazione subisce uno sdoppiamento, essa stessa diventa la madre generatrice e la figlia generata, che si alternano nella loro presenza sulla terra. Da qui il mistero dell’occulto che sta sotto terra, così come il seme prima di spuntare.
Trittolemo rappresenta il momento conclusivo di tutto il mito nella versione definitiva dell’inno omerico, quando si compie l’atto stesso della fondazione dei misteri e la diffusione della conoscenza dell’arte agraria tra i popoli. I misteri eleusini nella loro interezza sono dunque un punto d’arrivo e non di partenza. L’affermazione dei culti di Demetra e Kore nell’area siciliana da Enna a Siracusa acquista una rilevanza particolare sotto i Dinomenidi, e di conseguenza anche i misteri avranno goduto di larghi consensi. Un altro momento di grande fermento è rappresentato dal periodo timoleonteo dopo la battaglia del Cremiso (341 a.C.), quando conclusa la pace con Cartagine, abbattuta la tirannide, è questo il momento della symmachia; sulle monete coniate in quest’epoca appaiono la testa di Kore (intesa anche come rappresentazione di Sikelia), le fiaccole, la spiga. Tutto questo è molto significativo perché la diffusione del culto attestato dalle monete coincide probabilmente con una larga affermazione dei misteri.
Erodoto nel II libro delle Storie, 171, afferma che le figlie di Danao hanno fatto conoscere alle «donne pelasgiche» la telete «quella che i Greci chiamano Thesmoforia»; egli tra l’altro dichiara che può riferire ciò che è lecito narrare; questa affermazione sottolinea l’aspetto esoterico delle cerimonie che secondo Erodoto furono introdotte nel Peloponneso, ma è solo in Arcadia che i Peloponnesiaci si fermarono a tramandare le loro tradizioni. Le feste sono di impronta esclusivamente femminile.
Le notizie erodotee sono tutte verosimili, anche per il riferimento all’Arcadia, dove è attestata la persistenza di culti antichi di divinità prevalentemente al femminile. Questo viene avvalorato dal fatto che esiste un’iscrizione arcadica risalente alla fine del Vi secolo a.C. contenente prescrizioni rituali dedicate a «Demetra Thesmoforos»; la notizia erodotea è dunque attendibile. Inoltre le figlie di Danao sono quelle che sfuggite dall’Egitto perché avrebbero dovuto sposare i cugini, si rifugiarono ad Argo, dove costrette a nozze indesiderate uccisero gli sposi. Per questo misfatto furono costrette a un destino ultraterreno, a versare acqua in recipienti bucati.
Anche il mito delle Danaidi è strettamente collegato alle fonti e alle acque, come tutti i culti femminili e demetriaci. Non bisogna dimenticare in tal senso Enna, ricca di acque, la fonte di Ciane a Siracusa, dove sprofonda Plutone con il carro dopo avere rapito Kore, e l’immersione del toro da parte di Eracle nella fonte Ciane, a conferma dell’istituzione delle cerimonie pubbliche e private legate a Demetra e Kore. Il mito riproposto nei rituali tesmoforici si basa su due elementi, quello misterico e quello agrario, se pure diversamente trattati presso i vari ambienti dove fattori autoctoni si intrecciano al mito tradizionale greco. Quanto agli oggetti usati nelle cerimonie, erano presenti le ceste, le focacce, le fiaccole, nonché elementi di culto quali sacrifici e il banchetto.
Detentrici e depositarie dei segreti cioè degli aporrheta tesmoforici, sono le sacerdotesse, le donne rappresentano il fulcro del cerimoniale e le custodi della statua della divinità (vedi Lattanzio, Divinae Institutiones, II, 4; Cicerone, Verrine, IV, XVIII e segg.). Polemone, citato da Ateneo, fornisce una notizia importante secondo la quale in Sicilia erano presenti due statue di Demetra, una nota conl’appellativo di Sitos (grano), l’altra nota come Imalis (dea dei mulini) che si identifica e manifesta attraverso attributi relativi alla sfera agraria. Secondo Eraclide a Siracusa si confezionavano pani di sesamo e miele a forma dei genitali femminili chiamati mylloi.
Inoltre durante le cerimonie le stesse donne si sistemavano in una tenda (skene). Il che è confermato da un’iscrizione del V secolo del santuario di Batalemi a Gela, dove è attestata la segregazione in tende delle donne durante la durata delle feste. Tra l’altro il ritrovamento in altri santuari tesmoforici di piccoli edifici di fase più arcaica, dimostrano la presenza di dimore stabili per tutta la durata delle cerimonie per le donne (Thesmophoriozousai). Forse esisteva anche la presenza di giacigli vegetali che stanno a simboleggiare la vitalità feconda legata alla terra, in un contesto arcaico del rituale. Il riferimento diodoreo del ritorno «alle origini» e ad usi arcaici nel cerimoniale sta a testimoniare un rituale legato ai primordi e alla terra origine di tutto.
I culti demetrii che a Siracusa fioriscono abbondanti, attestati anche dai ritrovamenti di depositi votivi della dea con porcellino, fiaccola e cesta, abbraccia tutta l’area siciliana, da Enna, dove si dice che il culto pone la sua origine, a Gela, Agrigento, Siracusa. Le cerimonie duravano vari giorni e si svolgevano di notte, lo attestano la presenza delle fiaccole variamente rappresentate nelle raffigurazioni di Demetra e Kore, e citate dalle fonti, come anche le moltissime lucerne rinvenute nei depositi dei santuari. Ai Thesmoforia erano presenti per lo più donne e le riunioni notturne avvenivano in un sacro recinto (temenos) vicino a un boschetto. Le partecipanti erano spose e madri. In genere le fanciulle erano escluse dagli orgia, come si afferma in un frammento callimacheo. Qualche volta, tuttavia, potevano esserci delle eccezioni; Cicerone (Verrine, IV, 45) parla di un sacrario che si trova a Catania: «Nella parte più interna si trovava un’antichissima statua di Cerere, che le persone di sesso maschile non solo non conoscevano nel suo aspetto fisico, ma di cui ignoravano persino l’esistenza. Infatti a quel sacrario gli uomini non possono accedere: la consuetudine vuole che le celebrazioni dei riti sacri avvenga per mezzo di donne sia maritate che nubili».
In questo caso ci troviamo di fronte a un sacello dedicato a Demetra nel quale avvenivano rituali segreti da cui gli uomini erano esclusi, accessibili a donne sposate e nubili. Si tratta di un’eccezione o di un culto parallelo ai Thesmoforia; Lattanzio (Divinae Institutiones, II, 4) fa cenno anche alla Cerere catanese ribadendo l’esclusione degli uomini all’ingresso nelle dimore segrete del sacrario. È questa un’ulteriore conferma dell’esistenza di un Thesmoforion a Catania dove venivano praticati molto probabilmente cerimoniali misterici.
Che durante le feste dedicate a Demetra si svolgessero sacrifici e anche un banchetto, è attestato anche dai ritrovamenti archeologici. Nel santuario di Bitalemi (Gela) sono stati rinvenuti i resti di un focolare con presenza di vasellame sparso e ossa di porcellino. Il tutto sembra fatto intenzionalmente e dimostra un rituale con la deposizione di ossa, scodelle e patere lasciate lì appositamente in senso sacrale. Si tratta di una stratificazione risalente al VII secolo a.C., fase più arcaica del santuario. È possibile fare un parallelismo tra il santuario di Bitalemi e quello di Iasos che nella parte arcaica (VI secolo a.C.) ha restituito statuette fittili femminili con il porcellino e la fiaccola, lucerne, piccoli vasi e statuette raffiguranti una dea con leoncino sulle ginocchia, iconografia della dea Cibele. A Iasos sono stati ritrovate inoltre statuine rappresentanti un personaggio maschile con diadema sul capo, molto probabilmente il paredro della dea. Lo stesso tipo di ritrovamenti si è avuto nel santuario della Malophoras a Selinunte, dove sono state rinvenute statuine che raffigurano una testa maschile barbuta accanto ad una femminile. Il personaggio maschile è anche in questo caso il paredro.
Quindi la divinità maschile acquista un ruolo subordinato rispetto a quella femminile e di conseguenza anche nel cerimoniale la donna è protagonista delle funzioni religiose. Nei Thesmoforia la presenza dei sacrifici, come si è detto, è largamente attestata e serve a sancire e definire tutta la cerimonia nel suo insieme con le offerte. Non bisogna dimenticare che le feste e i misteri avevano una specifica funzione politico-religiosa, erano riconosciuti e patrocinati dal potere centrale ufficialmente, e quindi la loro importanza era fondamentale per tutelare l’unità della polis, la sua integrità che si identificava nella partecipazione corale dei cittadini.
Un aspetto molto importante nei Thesmoforia assume il megaron che ha un rapporto molto stretto con le pratiche rituali. Esso era collocato in genere all’interno del sacro recinto (temenos) e qui forse si svolgevano le iniziazioni. Comunque esso rimane un luogo centrale rispetto a tutto il cerimoniale nell’azione di far rivivere la vicenda divina della discesa-risalita di Kore. Nell’ultima fase, che è il culmine stesso del mito, il megaron, sia esso una cavità sotterranea, anche naturale, o una costruzione, trova una sua specificità come «centro» della sacralità mitico-religiosa. L’aspeto esoterico-misterico è collegato anche cerimonie ufficiali dei Thesmoforia che acquistano un significato agrario e misterico nel fine salvifico della festa.
Tutto il mito di Demetra e Kore scorre in una vicenda permeata di pathos in tutte le versioni e varianti conosciute, con esito finale positivo. Rivivere attraverso il rito il mito con tutte le sue implicazioni, è l’essenza stessa della cerimonia, consistente appunto in tutta la vicenda della storia mitica. La coreografia, le offerte, la musica, erano componenti fondamentali della pantomima; la danza, le invocazioni, gli strumenti musicali (crotali, cembali ed altri), i clamori provocati per il dolore della scomparsa della figlia, facevano parte integrante della festa. Tutto il mito veniva rivissuto con l’apporto scenografico, mimico e sonoro.
L’aspetto esoterico-iniziatico emergeva in una parte del cerimoniale forse riservato a pochi, e senza la partecipazione del demos presente invece nella fase dei sacrifici con pubblica partecipazione, come nel caso dell’immersione del toro nella fonte Ciane, istituita da Eracle. Più ristretta doveva essere la cerchia di coloro che assistevano ai misteri nei vari gradi iniziatici. Lo svelamento della cesta o della spiga come ultimo stadio di apprendimento era riservato a pochi che potessero essere in grado, dato il loro livello di conoscenza, di avvicinarsi e conoscere l’illuminazione e la salvezza.


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