«Esiste in quella che fu in altri tempi la Gallia belgica, nelle antiche province di Champagne, Piccardia, Ile-de-France e Neustria, un certo numero di cattedrali che hanno per nome Notre-Dame (quelle del XII e XIII secolo). Queste chiese permettono di tracciare sul terreno, quasi con perfetta corrispondenza, la costellazione della Vergine tale e quale si vede nel cielo.
Se si confrontano i nomi delle città dove si trovano queste cattedrali, con le stelle, si avrà che la Spiga della Vergine corrisponde a Reims; Gamma, a Chartres; Zeta ad Amiens; Epsilon a Bayeux. Fra le piccole stelle si ritrovano Évreux, Étampes, Laon; tutte città che hanno delle Notre-Dame molto antiche. Maurice Leblanc aveva già notato, prima di tutti, che le abbazie benedettine del paese di Caux disegnavano sul terreno l'immagine dell'Orsa Maggiore...» 1.
Presso i Pawnee, tribù nordamericana del Nebraska, la distribuzione dei villaggi, fatti di rudimentali capanne, riproduceva una carta celeste di cui certi esemplari sono pervenuti sino a noi. C'erano almeno teoricamente nove villaggi, ciascuno collocato sotto l'invocazione d'una stella o pianeta di cui le posizioni rispettive nel cielo erano scrupolosamente rispettate 2.
Ma senza andare fuori casa, il complesso dei Miracoli a Pisa, Torre pendente, Duomo e Battistero, secondo il Guidoni 3 riproduce sul terreno le tre principali stelle della costellazione dell'Ariete. Quanto detto può dar luogo a legittime perplessità e indurre a chiedersi se tali interpretazioni siano frutto di fantasie umane. Ma se dal più ampio ambito del territorio passiamo al singolo edificio architettonico troveremo riferimenti al Cielo molto più precisi e addirittura inequivocabili.
D'altronde non dimentichiamo che quando Marco Pollione Vitruvio, architetto vissuto a Roma al tempo dell'imperatore Augusto, volle tratteggiare il profilo dell'architetto secondo un ideale suo e dell'epoca, scrisse: «Deve essere abile nell'espressione scritta, esperto nel disegno, istruito nella geometria, deve conoscere alquanto di fatti storici, deve aver ascoltato copi diligenza la filosofia, intendersi un po' di musica, non deve essere digiuno di medicina, conoscere sentenze giuridiche, possedere conoscenza dell'astronomia e delle leggi che regolano i fenomeni celesti» 4.
Vitruvio in rete:
Breve biografia in italiano
Ipertesto in italiano da scaricare sul disco rigido
Immagini e bibliografia
L'edizione del De Architectura del Cesariano ('500)
In questo testo vitruviano è facile rilevare che i verbi delle varie proposizioni variano a seconda dell'importanza che Vitruvio attribuisce alle acquisizioni conoscitive dellarchitetto, complementari alle materie squisitamente tecniche e professionali. Dove appare più categorico, senza alquanto e senza un po', è nei confronti dell'astronomia. Perché? Perché in tutti i tempi, e quindi anche i nei tempi anteriori a Vitruvio, lastronomia è stata una componente essenziale dell'architettura. I più celebri monumenti del passato racchiudono nella propria struttura architettonica implicazioni astronomiche, miniaturizzazioni cosmiche, riferimenti conclamati o nascosti alla Terra, al Cielo, ai moti dei maggiori corpi celesti. Prendiamo ad esempio alcuni dei monumenti del genere più noti come la piramide di Cheope, nella valle di Gizeh, in Egitto; il complesso megalitico di Stonehenge in Inghilterra: ritenuto tempio druidico, è risultato essere un grande calendario per determinare l'inizio delle stagioni e un osservatorio per prevedere le eclissi di Luna. I nuraghi di Sardegna e i pozzi sacri, i primi collegati al Sole, i secondi alla Luna che, in Sardegna e in Puglia, servivano come Stonehenge in Inghilterra a prevedere le eclissi di Luna. Il Partenone di Atene con la facciata rivolta verso il punto dell'orizzonte in cui sorgeva il Sole nel dì in cui iniziavano le feste Panatenaiche in onore di Minerva, in modo tale che il primo raggio dell'astro entrava nel tempio e illuminava la statua criselefantina della dea, realizzata da Fidia in oro e avorio 5. Numerosi altri templi dell'Egitto, della Siria e del Libano (Abu Simbel, Baalbek, ecc.); il Pantheon a Roma che riproduce la sfera celeste con la sua cupola nella quale i1 foro apicale è il Sole e il cornicione è l'equatore celeste.
L'elenco potrebbe continuare, ma non è lo scopo di questo studio, che non intende trattare i monumenti più noti legati all'astronomia, bensì quelli meno noti che possiamo rintracciare nel territorio pugliese. Ho accennato ad alcuni monumenti correlati al cielo anteriori a Vitruvio (o all'incirca coevi, come il Pantheon), ma il connubio architettura-astronomia continua anche dopo il glorioso architetto romano (romano in senso lato perché la sua nascita se la contendono anche Fano e Piacenza). Tutto il Medioevo infatti vede l'architettura romanica e gotica imbevuta d'astronomia e simbolismo sacro fatto di geometria e miniaturizzazioni cosmiche.
Quali sono, per sommi capi, queste implicazioni astronomiche che ritroviamo nelle costruzioni sacre? In primo luogo l'orientamento che può tener conto del sorgere del Sole agli equinozi o ai solstizi, ma anche di altre significazioni come vedremo. Poi ci sono i valori angolari delle culminazioni solari 6 in date di rilievo, e quindi prevalentemente ancora solstizi ed equinozi, e i valori delle latitudini dei vari luoghi in cui sorgono le costruzioni sacre: anche se la latitudine terrestre rientra nell'ambito della geografia non bisogna dimenticare che la Terra è un corpo celeste, un pianeta come tutti gli altri che la geografia studia nei particolari. Nel campo delle misure lineari troveremo sottomultipli decimali del raggio e del diametro terrestri e di un grado di parallelo.
Archeoastronomia in rete:
Archeoastronomia
Cos'è un solstizio
Breve storia della Gnomonica
L'orientamento più frequente nelle costruzioni sacre è quello Est-Ovest perché nell'antica liturgia era previsto che il sacerdote officiante fosse rivolto, sia con il viso che col palmo delle mani levate, verso il sorgere del Sole equinoziale. Di conseguenza nelle chiese paleocristiane, quando l'altare non era addossato alla parete, ma posto tra il sacerdote e i fedeli (come adesso dopo la riforma conciliare) l'Est coincideva con l'ingresso della chiesa cioè la facciata come la basilica di S. Pietro a Roma.
Quando la posizione dell'altare mutò e fu addossato alla parete, le chiese furono costruite con la parte posteriore verso Est, per cui il sacerdote voltava le spalle ai fedeli e quindi all'ingresso della chiesa, ma continuava a volgere il viso e il palmo delle mani verso il sorgere del Sole. In altre parole il sacerdote rimase fermo, ma si spostò la chiesa nel senso che s'invertì la posizione della facciata e delle absidi. In ogni caso, è evidente, l'orientamento rimase equinoziale.
Ciò non toglie che esistono chiese costruite sull'asse solstiziale, come la chiesetta rurale romanica (XI sec.) di S. Giorgio nel comune di Bari (a destra) che è orientata con l'abside verso il punto dell'orizzonte in cui sorge il Sole al solstizio d'inverno o la chiesa di S. Maria e S. Giacomo sull'isola di S. Nicola delle Tremiti che rivolge l'abside verso il sorgere del Sole al solstizio d'estate. Va ricordato che il nucleo originario di questa chiesa è anteriore al Mille.
Ma se l'orientamento secondo l'asse Est-Ovest, ossia in direzione dei punti sull'orizzonte in cui sorge e tramonta il Sole soltanto alle date degli equinozi di primavera e d'autunno, è il medesimo in tutte le parti del mondo, l'orientamento solstiziale richiede un calcolo (o un'osservazione) particolare per ogni luogo che si trovi su diversi paralleli. Per esempio, la chiesetta di S. Giorgio, orientata verso il sorgere del Sole al solstizio d'inverno, apre con l'asse Est-Ovest un angolo di 32° circa, ma se fosse costruita a Torino (latitudine 45°) l'angolo sarebbe di oltre 34°. Se sorgesse a Londra (latitudine 51°) l'angolo dell'amplitudine massima sarebbe di oltre 39°. Se ne deduce che l'orientamento solstiziale era più elaborato, ancorché discendesse da una osservazione diretta consentita soltanto da un orizzonte non impedito da montagne, colline o altri ostacoli.
Ma tentiamo di legare a tali orientamenti dei significati. Mentre nel templi precristiani, anch'essi orientati, il riferimento era al cammino dei Sole rappresentato dal suo sorgere e tramontare agli equinozi ed ai solstizi, col conseguente mutamento delle stagioni e quindi delle attività agricole ed umane, col cristianesimo si è localizzata l'attenzione su tali date legandole ad eventi significativi. Infatti Gesù nasce nel solstizio d'inverno, viene concepito all'equinozio di primavera e muore all'equinozio di primavera. S. Giovanni Battista, il Precursore, nasce al solstizio d'estate e viene concepito all'equinozio d'autunno. A questo punto va ricordato che al solstizio d'inverno il Sole ricomincia a salire, le giornate di luce si allungano, mentre al solstizio d'estate il Sole inizia la sua discesa, le giornate si accorciano e la luce gradatamente diminuisce.
L'allegoria del Battista, il Precursore, che esaurisce il suo compito e cede il passo a Gesù che salirà sempre più in alto ci è confermata dal Vangelo di Giovanni Evangelista (III, 30) in cui troviamo una frase del Battista che dice: «Non sum ego Christus: sed quia missus sum ante illum... Illuni oportet crescere, me autem minui». (Io non sono il Cristo; ma sono mandato davanti a lui... Bisogna che egli cresca e che io diminuisca). Proprio come cresce il Sole dopo il solstizio d'inverno e diminuisce dopo il solstizio d'estate.
Ma esistono altri orientamenti che non tengono conto del sorgere del Sole o del suo tramontare bensì di alcuni significati intrinseci al valore angolare, sempre legati però all'astronomia. Per esempio, la cattedrale gotica di Chartres, quella romanica, altrettanto celebre, di Bitonto, la chiesa templare di Payns, in Francia, sono orientate in modo tale che l'asse longitudinale delle loro navate apre con l'asse Est-Ovest un angolo di 47°. Qui entriamo nel simbolismo sacro che sposa il tema cosmico, argomento che svilupperemo in seguito ampiamente. L'angolo di 47° rappresenta il doppio dell'angolo dell'inclinazione dell'asse terrestre (23° 27' attualmente, 23° 31' all'epoca della costruzione delle chiese di cui stiamo trattando).
Quarantasette gradi, quindi, rappresentano l'angolo del cono precessionale dell'asse terrestre, ossia quel movimento conico (come una trottola che perdendo velocità s'inclina) che l'asse del mondo compie in 26.000 anni, detto dagli antichi anno platonico o grande anno e da noi moderni precessione degli equinozi. In altre parole l'angolo di 47° è un'allegoria della Terra, la più propria dal punto di vista astronomico e biologico. Infatti se la Terra è un pianeta che ha determinati ritmi stagionati, che vede avvicendarsi il caldo al freddo e la vegetazione è condizionata dalle piogge e dalle calure; se l'uomo, a sua volta, correla la sua attività al periodo della semina e del raccolto, del pascolo e quindi della transumanza e tira a secco la barca perché il mare diventa impraticabile, se tutta la vita sulla Terra, dalla gigantesca sequoia alla formica, obbedisce a certi ritmi, ciò è dovuto soltanto all'inclinazione dell'asse terrestre. Immaginate un asse terrestre dritto, ossia perpendicolare al piano dell'eclittica e non avremmo più inverno ed estate e le piante si comporterebbero diversamente e luomo di conseguenza.
Se vogliamo perciò cercare un simbolo, il più essenziale, il più significativo per dire Terra ne avreste uno migliore dell'angolo di 23° 30', dell'inclinazione del suo asse e quindi di 47°, del suo più ampio e completo respiro del grande anno o precessione degli equinozi? Ne consegue che tale orientamento intende legare il monumento sacro, la chiesa, la casa di Dio, alla Terra nel suo insieme, all'uomo nella sua collettività. Vedremo che altre implicazioni astronomiche legheranno i templi più particolarmente al luogo in cui sorgono e quindi più limitatamente agli uomini di quel luogo che, avendo fatto costruire la chiesa a proprie spese, imploravano la benevolenza del cielo sulle loro famiglie, sulle colture, sul loro lavoro.
In numerose chiese e chiesette romaniche di Puglia troviamo elementi architettonici lunghi m 6,130 e m 12,60, ossia la milionesima parte del raggio e del diametro della Terra. In realtà si tratta di venti o quaranta piedi bizantini di cm 31,50 che, a loro volta, discendono dal cubito egiziano di cm 63. Qui occorre aprire una doverosa parentesi per dire che la maggior parte delle misure lineari dell'antichità trae origine da elementi geografici. È vero che in tempi più remoti a fornire i parametri di misurazione lineare fu il corpo umano col braccio o cubito, col palmo, col pollice, col piede, col passo, ma in seguito troviamo diffuse in tutto il mondo antico misure discendenti da elementi geografici.
In Egitto, Siria, Persia e altrove troviamo la parasanga di m 6.300 e relativi sottomultipli come il cubito egiziano di cm 63 che dicevamo innanzi. Quindi chiaramente sottomultipli decimali del raggio terrestre stimato anticamente di km 6.300, e di poco maggiore nelle stime attuali. Il cirenaico Eratostene, sovrintendente della biblioteca di Alessandria tra il III e il II sec. a.C., misurò la circonferenza della Terra prendendo ispirazione, secondo la tradizione, da un pozzo collocato a Syene (l'attuale Assuan, in Egitto) ed un altro situato in Alessandria. Nel primo pozzo, a mezzodì del solstizio d'estate, il Sole entrava perpendicolarmente nella cavità, nel secondo pozzo, alla stessa data e alla stessa ora, il Sole entrava inclinato di sette gradi. È chiaro che Eratostene per le sue definitive misure si avvalse di regolari gnomoni, ma è anche certo che le stesse misure le avevano già prese molto tempo prima anche gli egiziani se troviamo che il corridoio del tempio di Abu Simbel è lungo m 63, la parasanga egizia, è di m 6.300 e il cubito di cm 63.
Ma a suggerire i parametri delle lunghezze lineari non fu soltanto il raggio terrestre, bensì anche il meridiano, ossia la circonferenza. Sappiamo bene che il nostro metro, nato con la Rivoluzione Francese, è la quarantamilionesima parte del meridiano terrestre, ma forse non ricordiamo che nell'antica Grecia il piccolo stadio o stadio di Aristotele era di cento metri e quindi la quattrocentomillesima parte del meridiano. Discendono dal meridiano terrestre molte altre misure lineari, sempre sottomultipli decimali, come lo stadio nautico o persiano, la catena dell'agrimensore o mezza catena persiana, il piede del piccolo stadio. Un altro elemento geografico all'origine di antiche misure lineari è un grado di meridiano, ossia la circonferenza terrestre di km 40.000 divisa per 360°, il valore dell'angolo giro, e quindi m 111.111.
La misura più celebre che discende dalla lunghezza di un grado di meridiano è il cubito sacro di cm 55 (m 111.111:200.000), quel cubito con il quale Re Salomone costruì il Tempio di Gerusalemme. Ma c'è anche la doppia canna di m 5,55, la canna comune, metà della prima, così come nelle misure maggiori c'è lo stadio egiziano o alessandrino di m 222,22 ossia la cinquecentesima parte di un grado di meridiano. Ma se ci avviciniamo ai giorni nostri troviamo che anche la versta russa è l'ottantesima parte di un grado di meridiano, il li della Cina è la duecentocinquantesima parte, sino ad arrivare al miglio marino d'Inghilterra e di Francia, il miglio comune d'Italia, il miglio marino dell'oceano che, come è noto, sono di m 1.852, la sessantesima parte di un grado.
Nella storia delle misure lineari troviamo episodi di più facile attuazione come l'atto di autorità di Enrico I d'Inghilterra (XI - XII sec.) che decretò per la iarda la distanza dalla punta del suo naso al pollice della sua mano tesa, ma la maggior parte delle misure lineari di tutti i tempi e di tutti i paesi hanno origini più nobili della punta del naso sia pure d'un re d'Inghilterra.
E la milionesima parte del raggio terrestre, ossia m 6,30, la troviamo nella larghezza della facciata della chiesetta rurale di S. Maria a Cesano presso Terlizzi, nella larghezza della facciata della chiesetta di S. Giorgio a Bari, in quella di S. Eustachio, territorio di Giovinazzo, mentre la chiesa di S. Giovanni di Patù (Lecce) ha la facciata larga m 12,60. Nella cattedrale romanica di Ruvo di Puglia la larghezza dell'abside centrale è di m 6,30 e la larghezza di quelle laterali di m 3,15 (misure esterne). Anche negli alzati ritroviamo queste misure: per esempio, la torre di S. Maria a Cesano presso Terlizzi è alta m 12,60.
I costruttori di cattedrali gotiche di Francia, ma non soltanto loro, come vedremo, tenevano conto della latitudine del luogo in cui sorgeva l'edificio in quanto da tale elemento facevano discendere alcune misure della costruzione. A seconda della latitudine varia la lunghezza complessiva del cerchio di parallelo geografico e, partendo dall'equatore che è il cerchio massimo, i paralleli divengono più piccoli salendo verso il polo. Ne consegue che se dividiamo tali cerchi per 360°, come abbiamo fatto dividendo la circonferenza terrestre quando abbiamo ottenuto per un grado il valore di km 111, otterremo valori minori mano a mano che il parallelo sarà più vicino al polo. Se quindi all'equatore un grado è lungo km 111, alla latitudine di 41° (Bari) un grado è km 84, a 45° (Torino) è km 78, a 48° (Vienna) è km 73, a 49° (Parigi) è km 70 circa.
Di tali lunghezze i costruttori di cattedrali prendevano la millesima parte e tale era, ad esempio, la lunghezza della navata, oppure ricavavano la duemillesima parte ed era la lunghezza del coro. Ma vediamo concretamente con dati alla mano tale modo di procedere:
Chartres, latitudine 48° 26', lunghezza di un grado di quel parallelo km 73,80 (arrotondati a km 74). La navata della cattedrale di Chartres è lunga m 74, il coro è lungo m 37 (la metà), la volta è alta pure m 37 e il pozzo celtico è profondo m 37 sotto la lastricatura del coro, per cui sommando l'altezza della volta e la profondità del pozzo abbiamo nuovamente m 74, come la lunghezza della navata, ma questa volta in verticale.
Reims, latitudine 49° 15', lunghezza di un grado di quel parallelo km 72. La cattedrale è lunga circa m 144, ossia due volte la millesima parte del grado.
Beauvais, latitudine 49° e 26', lunghezza di un grado km 72. La lunghezza totale della cattedrale è m 72, quella del coro m 36, altezza totale della chiesa al di sopra del suolo m 71.
Amiens, latitudine 49° 53', lunghezza del grado km 71. I transetti della cattedrale sono lunghi m 71 circa (a destra la volta del transetto; sopra, la navata del coro).
Ma prima di illustrare certe analogie che riscontriamo nelle chiese e chiesette di Puglia è opportuno far cenno a un altro accorgimento che legava simbolicamente la costruzione sacra al luogo e quindi alla latitudine e che sovente troviamo legati assieme: si tratta dei sottomultipli della lunghezza del grado di parallelo e angolo della latitudine.
Il Gotico francese in rete:
Amiens
La città di Chartres
La cattedrale, altra pagina sulla cattedrale
Bibliografia
Un altro modo, come si è detto, di legare la chiesa al luogo in cui sorge, e quindi farne un ponte con il cielo per i soli abitanti di quel paese che con venerazione e sacrificio l'hanno edificata e dedicata alla divinità, è l'inserimento nella struttura architettonica del valore angolare della latitudine del luogo.
Come primo esempio prendiamo la chiesa romanica di S. Maria d'Anglona, presso Policoro in Lucania, e più precisamente la parte rettangolare del presbiterio retrostante l'altare. Se consideriamo tale elemento come un rettangolo e in esso tracciamo una diagonale, l'angolo retto sarà diviso in due parti di cui una è la latitudine su cui sorge la chiesa (40°) e laltra la culminazione del Sole agli equinozi (50°). Se poi misuriamo la larghezza del presbiterio, ossia di questo ideale rettangolo in cui abbiamo tracciato la diagonale, troveremo che è di m 4,25. Se teniamo presente che la lunghezza di un grado di quel parallelo è di km 85, appare evidente che la larghezza del presbiterio è esattamente la ventimillesima parte.
Un discorso uguale possiamo fare per la chiesa di S. Caterina a Bitonto anch'essa romanica. Se consideriamo il rettangolo costituito dalla navata centrale, partendo dalla base dell'abside sino ai primi due pilastri (presbiterio) e in esso tracciamo la solita diagonale, otterremo due angoli, di cui uno di 41° (latitudine dei luogo) e uno di 49° (culminazione solare agli equinozi). Anche qui la larghezza di questo rettangolo è di m 4,20. Siccome alla latitudine di 41° la lunghezza di un grado di parallelo è di km 84, appare evidente che anche qui, come in S. Maria d'Anglona, la larghezza del presbiterio è la ventimillesima parte di un grado di quel parallelo.
Non sfugge che queste implicazioni geografico astronomiche vengono realizzate in quella parte della chiesa che può considerarsi il cuore del tempio, trattandosi dello spazio immediatamente a ridosso dell'altare, per cui restano racchiusi in uno spazio limitato e centrale tre elementi fondamentali: l'altare che simboleggia il cielo, il rettangolo a racchiudere la latitudine che rappresenta la Terra, in particolare il luogo, e il sacerdote officiante che tra essi è mediatore.
Ma l'inserimento dell'angolo di latitudine nelle fabbriche sacre è molto più esteso di quanto si pensi. Innanzi tutto è implicito in quelle chiese orientate verso i solstizi perché, come abbiamo detto, cambiando latitudine il Sole che sorge e che tramonta cambia la distanza angolare dai punti cardinali Est ed Ovest; è anche implicito in quelle fabbriche che adottano come misura lineare il sottomultiplo decimale d'un grado di parallelo; è invece conclamato negli esempi qui sopra riportati e lo è ancora più in quelli che seguono.
Se nella celebre chiesa dell'XI sec. di S. Michele di Hildesheim (Germania) consideriamo il rettangolo formato dalle tre navate, e in esso tracciamo una diagonale, otterremo un angolo di 52° pari a quello della latitudine su cui sorge la chiesa, ed un angolo complementare di 38° pari alla culminazione solare equinoziale in quel luogo.
La Pieve di Rubbiano, tra le più antiche del modenese, ha le tre navate racchiuse in un quadrato e ovviamente una diagonale tracciata in un quadrato divide l'angolo retto in due angoli di 45° ciascuno. La chiesa sorge alla latitudine di 45°. La chiesa abbaziale di S. Maria di Marola nell'Appennino Reggiano, ha anch'essa le tre navate racchiuse in un quadrato e si ripete il discorso già fatto per la Pieve di Rubbiano. Anche questa chiesa sorge a 45° di latitudine.
Torniamo in Puglia. La chiesa di S. Maria e S. Giacomo sull'isola di S. Nicola di Tremiti (che abbiamo già incontrata a proposito del suo orientamento solstiziale,) se considerata nel suo nucleo originale, prima dell'ampliamento benedettino, ci presenta un rettangolo nel quale la diagonale apre un angolo di 42°. La latitudine delle Tremiti è di 42°. La bellissima chiesina romanica della masseria Ottava in territorio di Fasano (Brindisi), anch'essa considerata nella parte originaria, escluso lampliamento successivo che l'ha allungata evidentemente per far posto all'accresciuto numero di fedeli, presenta le tre navate racchiuse in un rettangolo. Anche qui la diagonale apre un angolo di 41° pari alla latitudine del luogo.
Il discorso potrebbe continuare chissà per quanto se si passassero al vaglio in questa ottica le innumerevoli chiese maggiori e minori che costellano il territorio pugliese, ma proseguiamo questa panoramica con le culminazioni solari.
È il caso di soffermarci su un esempio emblematico: la chiesetta rurale di S. Maria a Cesano, (a sinistra) presso Terlizzi, che è un condensato di implicazioni astronomiche e come vedremo in seguito matematiche e geometriche. Le prime notizie di S. Maria a Cesano risalgono al 1040. È una chiesetta rurale a una trentina di chilometri da Bari, che oggi svetta solitaria tra i mandorli. E dire svetta non è improprio perché il corpo di fabbrica, a pianta rettangolare, s'impenna sulla facciata Ovest con una torre alta m 12,60, mentre a Est si conclude con un'abside. Come già accennato in precedenza, la facciata è larga m 6,30, milionesima parte del raggio terrestre, così come la torre di m 12,60 è la milionesima parte del diametro terrestre. La pianta di base è un rettangolo molto allungato e una diagonale in esso tracciata apre un angolo di 25° pari alla culminazione solare, in quel luogo, al solstizio d'inverno. Siccome nel corso di questa lettura della chiesa in chiave astronomico simbolica troveremo anche gli angoli di culminazione del Sole al solstizio d'estate e agli equinozi, è opportuno precisare perché la culminazione solare del solstizio d'inverno sia stata inserita nella pianta della chiesa e non altrove.
Il solstizio d'inverno segna l'inizio dell'anno, la nascita del nuovo Sole (dies natalis Solis) tant'è che le antiche religioni hanno fatto coincidere con tale data la nascita delle proprie divinità. Son nati nel solstizio d'inverno, secondo la tradizione, Dioniso, Osiride e suo figlio Oro, Budda, Frey figlio di Odino e di Frigga, Gesù. Appare quindi chiara lallegoria della nascita e nel caso che ci riguarda della nascita della chiesa che, ovviamente, principia dal tracciato di base.
Vediamo ora dove si nasconde l'angolazione della culminazione solstiziale estiva. La torre che si identifica con il prospetto della chiesa ha una altezza massima sul lato Est di m 12,60, mentre sulla facciata è stata ribassata a sguscio in epoca posteriore per far posto ad un campaniletto a vela. Se dividiamo m 12,60 (altezza della torre) per m 3,90 (larghezza laterale della torre stessa) otteniamo la tangente dell'angolo di 72° e mezzo circa che rappresenta la culminazione del Sole al solstizio d'estate alla latitudine di S. Maria a Cesano.
In altre parole possiamo dire che se conduciamo una linea immaginaria dalla soglia della porta d'ingresso della chiesa sino alla sommità della torre, tale linea aprirà col piano dell'orizzonte un angolo di poco più di 72° e mezzo. Se conduciamo un'altra linea immaginaria dalla stessa sommità della torre sino all'estremità dell'abside alla quota zero otteniamo col piano dell'orizzonte un angolo di 49° gradi che rappresenta la culminazione del Sole agli equinozi. La chiesa così vista, con le sue strutture reali e le linee da noi immaginate, assomiglia a un vascello (la barca di Pietro) che veleggia dalla Terra verso Il Cielo.
Le culminazioni solari alle date in cui il Sole entra nei dodici segni zodiacali sono racchiuse in Castel del Monte (a sinistra), più un tempio che un castello, e scandiscono le proporzioni di tutti gli spazi, dalla vasca collocata anticamente nel cortile sino alla recinzione ottagonale esterna, oggi demolita, attraverso la larghezza del cortile, quella delle sale e la circonferenza che racchiude il castello.
Ma Castel del Monte non è il solo edificio laico che presenta queste implicazioni cosmiche perché in Lombardia, presso Bergamo, cè il castello di Bianzano (XIV sec.) che oltre a essere orientato verso i quattro punti cardinali con gli angoli del suo impianto quadrato, regola con stupefacente precisione le proporzioni del corpo di fabbrica, del cortile e della torre in relazione alle culminazioni solari al solstizio dinverno, agli equinozi e al solstizio destate.
Son dette porte solstiziali dalla tradizione quelle porte che si aprono sui fianchi delle chiese. Non è infrequente, infatti, che entrando in una chiesa notiamo delle porte laterali che, solitamente, non sono una di fronte all'altra, ma sfalsate: quella destra è più vicina all'ingresso, l'altra più verso l'altare. Se vogliamo rifarci sempre allo spirito cosmico degli antichi costruttori non possiamo escludere che, una volta orientata la chiesa verso il levar del Sole all'equinozio, fossero ricordati simbolicamente anche i solstizi tanto legati anch'essi alla figura del Cristo e del Battista.
Si dice anche che le due porte avessero una diversa quota della soglia a rappresentare il Sole più alto dell'estate e quello più basso dell'inverno, ma questa verifica è più difficile date le manomissioni intervenute attraverso i secoli. Si è avanzata l'ipotesi che le due porte non fossero una di fronte all'altra perché la linea immaginaria che le congiunge (come se tracciassimo col gesso sul pavimento una linea da una porta all'altra) dovesse aprire con la facciata della chiesa un angolo vicino a quello dell'inclinazione dell'asse terrestre che è all'origine dei solstizi.
Ma esaminando la pianta della chiesa di Ognissanti di Pacciano, territorio di Bisceglie, e quella di S. Basilio di Troia ho rilevato che tale angolo, in entrambi i casi, è di 32°: la distanza angolare del Sole, alla latitudine delle due chiese, dal punto cardinale Est alle date dei solstizi. Sono dati incoraggianti per proseguire gli studi.
In Puglia abbiamo, nella chiesa di S. Leonardo di Siponto presso Manfredonia, uno dei più belli ed elaborati fori gnomonici esistenti. A chi si reca in visita alla celebre cattedrale gotica di Chartres viene mostrato tra l'altro un forellino praticato in una vetrata attraverso il quale, a mezzodì del solstizio d'estate, 21 giugno, passa un raggio di Sole che va a cadere sul pavimento della navata dove han posto una mattonella metallizzata per evidenziare il fenomeno. È un raggio di Sole che passa una volta all'anno attraverso quel foro e passa in una data significativa qual è appunto il solstizio d'estate. La cosa incuriosisce e, oltre ad essere segnalata da tutte le guide, ha fatto scrivere a uno studioso francese, Louis Charpentier: «Quando questo giochetto del sole sulla lastra nel solstizio d'estate si produce in una delle cattedrali più celebri dell'Occidente, in uno dei luoghi più rinomati di Francia, l'idea dell'enigma subentra nell'animo di chiunque» 7.
Nella povera chiesa di Siponto (peraltro anch'essa di antica nobiltà, avendo accolto per molti anni tra le sue mura i famosi Cavalieri Teutonici di Federico II), il medaglione di Sole che entra a mezzodì del 21 giugno trova ad accoglierlo un rozzo pavimento senza contrassegni anche se, e questo è notevolissimo, va a cadere esattamente a metà della distanza che divide i due pilastri immediatamente di fronte allingresso laterale della chiesa (che funge da ingresso principale perché arricchito da un artistico portale). In altre parole chi entrasse in chiesa al mezzodì astronomico del 21 giugno, si troverebbe, sulla destra e sulla sinistra, due pilastri maestosi ed esattamente tra di essi, per terra, un medaglione di Sole.
Ma c'è di più, perché il medaglione di luce disegna una rosa a undici petali in quanto il foro gnomonico attraverso il quale passa il raggio di Sole è diaframmato da un delizioso rosoncino di pietra a undici raggi (a sinistra). Quanta differenza tra il foro praticato in un vetro a Chartres e quello di Siponto praticato nello spessore della volta in pietra della chiesa; tra il raggio semplice di Chartres che cade in un punto qualsiasi della navata, sia pure ben accolto dalla mattonella metallizzata, e la rosa di luce di S. Leonardo che va a marcare la metà della distanza dei due pilastri su un rozzo pavimento indifferente a questo preziosismo!
Il lavoro dell'astronomo di Siponto è stato maggiore di quello occorso all'astronomo di Chartres ma, come accade sovente, minore è stata la fortuna. Una misura dell'impegno a considerare certe sfumature tecnico-culturali dell'architettura antica ce la dà l'attento Cesare Brandi che a proposito di S. Leonardo di Siponto, scrive in Pellegrino di Puglia: «Nella chiesa dai bellissimi spazi aerei, la volta a botte, le cupole volanti; cè poi l'ennesima stranezza di una formella traforata e per istorto nella volta della navata. La cosa m'intrigò: non era per la meridiana, che altro poteva essere?. Dovetti aspettare parecchi anni per saperlo. Ma essendo andato a Santa Caterina sul Sinai scopersi la chiave del mistero. La chiesa di Santa Caterina è giustinianea, e certamente ci ha il tetto rifatto. Ma nel tetto sono state conservate due aperture, in sbieco, in corrispondenza del Sole e della Luna nel giorno di Santa Caterina. Ecco dunque spiegata la formella di S. Leonardo, così per storto».
Il bravissimo Cesare Brandi si è spiegato tutto troppo in fretta perché avrà pur notato che il foro gnomonico di S. Leonardo è quasi sul capo di chi si trova in chiesa, infatti la sua distanza zenitale è di appena 18°, e quindi può entrare il raggio di un Sole molto alto cioè estivo, mentre la festa di S. Leonardo è il 26 novembre quando il Sole è già molto basso, mancando appena un mese al solstizio d'inverno. Inoltre il celebre studioso è stato informato male circa il doppio foro nella chiesa di Santa Caterina del Sinai: l'apertura per lasciar passare un raggio di Sole nel giorno di Santa Caterina è verosimile, ma un foro per un raggio di Luna nel dì della Santa non è astronomicamente possibile. Facciamo l'ipotesi che oggi sia la festa di Santa Caterina e stasera splenda la Luna in una sua determinata fase e riesca a infilare un raggio nel foro a tal scopo predisposto. Lanno prossimo, alla stessa data, è impossibile che la Luna sia alla stessa fase e nello stesso punto del cielo. Ciò accade solo ogni 19 anni nel rispetto del ciclo metonico. Quindi, molto interessante sarebbe studiare con serietà i due fori di quella chiesa e non sarebbe difficile stabilirne la vera funzione.
Nell'architettura romanica e gotica massiccia è la presenza del rapporto aureo, o divina proporzione, e quindi del numero d'oro 1,618 8. Prima di addentrarci però nell'affascinante mondo di questa armoniosa proporzione che governa le piante e gli alzati delle chiese, le angolazioni dei timpani e dei fastigi e coinvolge nella sua divina armonia navate e transetti, cripte e portali, sarà bene rinverdire alla memoria i fasti del numero d'oro, 1,618. Il numero d'oro è il rapporto che armonizza innanzi tutto il corpo umano. Se moltiplichiamo la distanza che in un individuo adulto e proporzionato va dall'ombelico sino a terra per 1,618, otteniamo la sua statura. Se moltiplichiamo la distanza dal gomito alla mano con le dita tese per 1,618, otteniamo la lunghezza del braccio. La distanza che va dall'anca al ginocchio, moltiplicata per il numero d'oro, dà la lunghezza della gamba dall'anca al malleolo.
Anche nella mano la falange, la falangina e la falangetta dei soli medio ed anulare, sono in rapporto aureo tra loro. Il volto umano è tutto scomponibile in una griglia i cui rettangoli hanno i lati in rapporto aureo, ossia moltiplicando il lato minore dei rettangolo per 1,618 si ottiene la lunghezza del lato maggiore. Euclide e Pitagora concessero larghissimo spazio a questo rapporto nei loro studi, ma fu Luca Pacioli, matematico del Cinquecento, che chiamò l'applicazione del numero d'oro divina proporzione, mentre l'espressione sezione aurea è di Leonardo da Vinci.
Quando Pitagora volle dare al numero d'oro una sistemazione nel campo della geometria, trovò che dividendo il raggio di una circonferenza per il lato del decagono regolare in essa inscritto si otteneva tale numero. E lo si otteneva anche dividendo il lato di un pentagono stellato per il lato del pentagono convesso, entrambi inscritti nella stessa circonferenza. Inoltre lo stesso risultato veniva fuori se si divideva il lato del decagono stellato per Il raggio della circonferenza ad esso circoscritta.
Ma se queste sono le acrobazie che il numero d'oro compie nel campo geometrico, ve ne sono altrettante nel campo aritmetico dove presenta proprietà che non hanno gli altri numeri. Innanzi tutto il reciproco di 1,618 è 0,618 (significa dire 1:1,618) e il suo quadrato è 2,618, il che è singolare perché le cifre dopo la virgola restano sempre uguali. Se poi il numero d'oro lo eleviamo al cubo abbiamo 4,236, che però si ottiene anche sommando 1,618 al suo quadrato, 2,618. Se 1,618 lo eleviamo alla quarta abbiamo 6,854, ma questo valore si ottiene anche sommando il numero d'oro al quadrato (2,618) col numero d'oro al cubo (4,236). In altre parole il numero d'oro ad una determinata potenza è uguale alla somma delle due potenze precedenti e questo non accade per alcun altro numero. Lo stesso discorso è valido per il suo reciproco 0,618.
C'è poi la serie di Fibonacci, matematico del XIII secolo, il quale si accorse che il numero d'oro veniva fuori da una certa successione di numeri che è la seguente: 1 + 2 = 3; 2 + 3 = 5; 3 + 5 = 8; 5 + 8 = 13; 8 + 13 = 21; 13 + 21 34; 21 + 34 = 55; 34 + 55 = 89; 55 + 89 = 144; 89 + 144 = 233; 144 + 233 = 377. Ciò posto, se prendiamo uno di questi numeri e lo dividiamo per quello che lo precede otteniamo 1,618. Nei primi sei risultati c'è approssimazione dopo di che 1,618 scorre liscio sino all'infinito. Se invece di dividere ciascun numero per quello che lo precede lo dividiamo per il successivo il risultato sarà 0,618. Se scavalchiamo un numero e dividiamo, per esempio, 377 per 144, otteniamo 2.618. Se dividiamo invece 144 per 377 otteniamo 0,382 che altro non è che 1 diviso per 1,618 al quadrato.
Sia ben chiaro che queste proprietà del numero d'oro non sono comuni ad altri numeri, cosa questa che ha suggestionato moltissimi uomini come il Fibonacci, Leonardo da Vinci, Albert Dürer e Luca Pacioli, il quale della divina proporzione ha detto: «È unica come Dio e regge, come ogni Santa Trinità, una relazione tra tre termini e resta simile a se stessa».
In matematica il numero d'oro si indica solitamente con la lettera greca «phi», accostando di proposito la sua funzione di rapporto armonico al nome del celebre Fidia, architetto e scultore che lega principalmente la sua fama alle sculture dei Partenone. E concludo questa breve rassegna sulla magia del numero d'oro con le parole di uno studioso francese, Marius Cleyet-Michaud: «... il numero d'oro racchiude, come credono alcuni, la chiave della conoscenza? Verrebbe, inoltre, alla sua dipendenza ogni opera d'arte degna di questo nome?» 9.
Armonia, proporzione e sezione aurea in rete:
Armonia e proporzione nel suono e nel disegno (inglese)
Fibonacci, la sua serie, la sezione aurea (inglese)
Ritratto di Luca Pacioli
Sia ben chiaro che queste proprietà del numero d'oro non sono comuni ad altri numeri, cosa questa che ha suggestionato moltissimi uomini come il Fibonacci, Leonardo da Vinci, Albert Dürer e Luca Pacioli, il quale della divina proporzione ha detto: «È unica come Dio e regge, come ogni Santa Trinità, una relazione tra tre termini e resta simile a se stessa».
In matematica il numero d'oro si indica solitamente con la lettera greca «phi», accostando di proposito la sua funzione di rapporto armonico al nome del celebre Fidia, architetto e scultore che lega principalmente la sua fama alle sculture dei Partenone. E concludo questa breve rassegna sulla magia del numero d'oro con le parole di uno studioso francese, Marius Cleyet-Michaud: «... il numero d'oro racchiude, come credono alcuni, la chiave della conoscenza? Verrebbe, inoltre, alla sua dipendenza ogni opera d'arte degna di questo nome?» .
Il numero d'oro è presente sotto forma di triangolo nei fastigi e nei timpani delle seguenti chiese: Chiesa di S. Caterina, Galatina (timpano del portale); S. Maria della Scala, Noci (fastigio e campanile a vela); S. Maria dei Miracoli, Andria (timpano sull'abside quadrata); S. Domenico, Taranto (portale). Vediamo ora in particolare alcune di queste chiese ed iniziamo con la cattedrale di Bitonto. Troviamo in divina proporzione le tre navate complessive, il transetto, la sottostante cripta e gli archi della cripta.
Tra le chiese minori estremamente importante è quella di Ognissanti di Valenzano (a sinistra), dove troviamo in rapporto aureo la pianta, comprese le absidi, il capocroce, la sezione longitudinale e gli arconi per undici volte. Chiesa minore è anche Ognissanti di Pacciano col rapporto aureo presente dieci volte, tra pianta, sezione longitudinale, arconi ed archi ciechi. Tra le cripte in rapporto aureo, oltre quella di Bitonto che abbiamo già menzionato, va tenuta presente quella della cattedrale di Otranto. Un discorso a parte merita la chiesa della Madonna della Croce di Casaranello, dove mediante l'applicazione del rapporto aureo, nel corso delle mie ricerche, si è evidenziato il livello originale della chiesa. Infatti considerando la sezione longitudinale del transetto e dividendo per il numero d'oro sia la lunghezza dell'estradosso che quella dell'intradosso ho ottenuto l'altezza che raggiunge una quota più bassa dell'attuale piano di calpestio. Gli scavi hanno confermato che alla quota ottenuta col calcolo esiste il mosaico pavimentale originale.
Questi sono alcuni esempi per cui trascuro di illustrare i molti altri casi presenti nelle chiese minori più sopra elencate. Mi soffermo piuttosto sul rapporto aureo racchiuso nel triangoli dei timpani e dei fastigi. Perché il numero d'oro sia presente in tali triangoli è necessario che essi siano isosceli e con il vertice aperto a 108°. In realtà questi triangoli sono formati dalla combinazione del pentagono convesso e stellato inscritti in una circonferenza e del decagono stellato e il raggio della circonferenza ad esso circoscritta.
In altre parole nel triangolo isoscele col vertice aperto a 108° i due lati sono i lati del pentagono convesso e la base è il lato del pentagono stellato. Non dimentichiamo che quando abbiamo parlato della sistemazione data di Pitagora al numero d'oro in campo geometrico abbiamo detto che dividendo il lato del pentagono stellato per quello del pentagono convesso avremmo ottenuto 1,618. Allo stesso modo dicemmo che dividendo il lato del decagono stellato per il raggio della circonferenza ad esso circoscritta avremmo ottenuto 1,618. I timpani e i fastigi col vertice aperto i 108° sono quindi combinazioni di lati di pentagoni stellati e convessi o di decagoni stellati e raggio della circonferenza, il cui rapporto è sempre il numero d'oro 1,618.
E poiché stiamo trattando di pentagoni stellati e convessi vediamo come da un pentagono stellato scaturisce l'ogiva di Chartres nella celelebre cattedrale gotica. Immaginiamo un pentagono stellato con una punta in alto e due in basso. Se centriamo il compasso in una delle due punte in basso, per esempio quella sinistra, e gli diamo una apertura che raggiunga la punta in alto, partendo di questa punta descriviamo un arco che, passando per la punta mediana destra scenderà sino alla base delle due punte inferiori. Poi centriamo i1 compasso sulla punta inferiore destra e sempre con la medesima apertura descriviamo un arco opposto al primo. Logiva di Chartres è tracciata su un pentagono stellato che abbiamo visto essere legato al numero d'oro.
Ma prima di congedarci dal numero d'oro e dal rapporto aureo per affrontare altre implicazioni matematiche con significazioni simboliche frequentemente riscontrabili nell'architettura sacra, vorrei proporre una interpretazione personale della divina proporzione applicata specialmente alle piante dellechiese nella loro interezza o limitatamente alle navate, alle cripte, ecc.
È noto che il rapporto aureo applicato in architettura non è esclusività del gotico e del romanico, anzi troviamo tale rapporto già nel complesso megalitico di Stonehenge, vecchio di 4000 anni, dove le superfici teoriche dei due cerchi di pietre azzurre e di sarsen stanno tra loro nel rapporto di 1,6. Poi lo troviamo ben quattro volte nella piramide di Cheope, nei sarcofagi egiziani, in tutta l'architettura greca e non ci sono dubbi circa l'antichità della conoscenza e della applicazione della divina proporzione.
C'è però una coincidenza che può averlo fatto prediligere dalla religione cattolica che alla funzione armonica ed estetica ha unito quella sacra e cioè l'allegoria di Gerusalemme. Infatti 1,618 è la cotangente dell'angolo di 31° 43' che è pure la latitudine della Città Santa. In altre parole se immaginiamo una chiesa tracciata in un rettangolo in rapporto aureo (cosa frequentissima) ed in tale rettangolo tracciamo una diagonale, essa dividerà l'angolo retto in due angoli, uno di 31° 43', la latitudine di Gerusalemme, l'altro di 58° 17' che è la culminazione del Sole agli equinozi in quella città. Tracciare quindi una chiesa in modo tale che le sue proporzioni richiamino la latitudine di Gerusalemme è come consentire al credente, varcata la soglia, di porre il piede simbolicamente nella Città Santa, nella terra del Cristo.
Sugli atlanti moderni la latitudine di Gerusalemme è in effetti indicata in 31° 46' con uno scarto, rispetto a 31° 43', di 3', ma a prescindere dal fatto che tale differenza si traduce sul terreno in soli 5 chilometri non va trascurato che il punto geodetico scelto dai misuratori moderni possa essere diverso dal cuore della Gerusalemme antica.
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I timpani e i fastigi non sempre sono triangoli con il vertice aperto a 108°, ma possono presentare altre angolazioni, alcune delle quali racchiudono in sé significati simbolici. Prendiamo ad esempio un timpano o un fastigio col vertice aperto a 126° e in esso troveremo una splendida allegoria circa la funzione della chiesa quale ponte tra il Cielo e la Terra. Infatti, se tracciamo una circonferenza e dal centro conduciamo due raggi che aprano un angolo di 126°, essi sottenderanno una corda che rappresenta il lato di un quadrato la cui superficie è uguale a quella della circonferenza tracciata. Poiché nel simbolismo sacro il cerchio rappresenta il Cielo e il quadrato la Terra, il triangolo rappresentato dai due raggi e dalla corda ad essi sottesa rappresenta il ponte tra la Terra e il Cielo e poiché tale triangolo è solitamente nel timpano o nel fastigio, lega automaticamente la chiesa alla funzione di ponte.
Questo triangolo aperto al vertice di 126° lo troviamo nel timpano del portale di S. Leonardo di Siponto, nel timpano della facciata di S. Giovanni Evangelista di Lecce, nel fastigio del rudere della facciata del transetto dell'Abbazia S. Trinità di Venosa e nel portale interno, nel fastigio dei coro sul lato posteriore della chiesa di S. Maria d'Anglona, tra Tursi e Policoro, nel fastigio del transetto della cattedrale di Taranto, nel fastigio di S. Domenico anche di Taranto e nello pseudo-protiro della chiesetta della masseria Ottava nel territorio di Fasano (Brindisi).
Ma dopo l'angolo di 108° e quello di 126° c'è quello di 144°, che ha lo stesso significato simbolico di quello di 126° perché si ottiene tracciando un triangolo che abbia per base la lunghezza della circonferenza di un cerchio e per altezza il raggio dello stesso cerchio. In altre parole anche qui la superficie del cerchio è uguale a quella del triangolo che diviene ponte tra il Cielo e la Terra. Questo tipo di triangolo era molto usato negli architravi delle costruzioni pagane tuttavia lo troviamo in un bassorilievo nell'Abbazia S. Trinità di Venosa.
Da notare che in tutti questi angoli la somma delle cifre che li compongono dà sempre 9, ossia il triplo ternario e questa constatazione ci avvia verso la mistica pitagorica. Ma prima di passare oltre abbiamo ancora un grosso debito da pagare alla chiesetta rurale di S. Maria a Cesano, in territorio di Terlizzi che racchiude nella pianta di base l'angolo di culminazione del Sole al solstizio d'inverno e negli alzati gli angoli di culminazione, del solstizio d'estate e degli equinozi. Nonostante questa chiesina si distenda e s'innalzi nell'obbedienza di tali angolazioni, trova modo di racchiudere in sé per tre volte il rapporto aureo in elementi architettonici fondamentali. Infatti se dividiamo m 6,30, larghezza della facciata e quindi della chiesa, per 1,618 otteniamo m 3,89 che rappresentano la larghezza della torre (m 3,90). Così se moltiplichiamo m 6,30 per 1,618 otteniamo m 10,19 vicinissimi alla lunghezza reale della chiesa senza torre che è m 10,25. Da notare che queste due lunghezza ottenute (m 10, 1 9 e m 3,90) si sovrappongono tra loro determinando lo spessore dei diaframma che divide la torre dalla chiesa. La terza applicazione del rapporto aureo la troviamo nella collocazione della crociera, infatti se dividiamo per 1,618 l'intera lunghezza del manufatto (chiesa più torre) m 13,60 otteniamo m 8,40 che sono vicinissimi a m 8,50, distanza dell'asse della crociera dalla facciata della chiesa.
Né poteva mancare in questo gioiello di chiesa che gronda di implicazioni cosmiche, astronomiche e matematiche il più significativo e simbolico angolo, quello di 126°, che troviamo nel fastigio sul lato posteriore della chiesa. È l'angolo che simboleggia il ponte tra il Cielo e la Terra che chiude la chiesa nella sua parte terminale come un suggello. A S. Maria a Cesano determinante è anche il ruolo svolto dalla mistica del numero 3. Tre sono, infatti, le applicazioni dei rapporto aureo, tre gli angoli di culminazione solare, tre le porte esterne della chiesa (due murate). Inoltre l'angolo della fronte cuspidata (126°) se sommato cifra per cifra (1 + 2 + 6) dà nove, triplo ternario. Lo stesso si dica per il suo angolo supplementare (54°) in cui 5 + 4 dà 9. Analogo discorso vale per gli angoli aperti sulla corda (27°) 2 + 7 = 9 e, infine, per 180° e per 63°, la metà di 126°.
Giamblico, filosofo greco, scrisse un libro su Pitagora che intitolò Vita pitagorica 10. In esso racconta tra l'altro che Pitagora ricevette in visita Abari, un sapientissimo vecchio sacerdote di Apollo di origine scita (oggi diremmo russo) che, di ritorno da un viaggio in Grecia, si fermò in Italia a rendere omaggio al grande Pitagora. Abari, in segno di amicizia e devozione, donò a Pitagora la sua freccia d'oro con la quale egli viaggiava superando agevolmente fiumi, stagni, paludi. Anche Pitagora usò una attenzione al vecchio Abari e gli mostrò la sua coscia d'oro. Così, alla lettera, questo scambio di cortesie appare favoloso e incomprensibile, ma occorre interpretarne il vero significato perché si tratta di un linguaggio in chiave.
Abari dunque possedeva una freccia d'oro senza la quale, secondo Giamblico, non era capace di trovare la strada. Viene spontaneo di pensare più realisticamente ad una bussola e non è inverosimile che un popolo, quello scita, quindi iperboreo, calato nelle caligini di quelle latitudini, coi cieli senza stelle e colmi di nubi, prima di ogni altro avesse avvertito la necessità di surrogare la Stella Polare con un artifizio alternativo avvalendosi del magnete. Scontato perciò che la bussola non fosse conosciuta alle nostre latitudini. Abari, donandola a Pitagora, compì un gesto di grande amicizia. Ad una simile attenzione come ricambiare?
Occorreva un dono corrispondente e di altrettanta importanza e utilità e Pitagora mostrò ad Abari la coscia d'oro. Anche qui, ovviamente, il discorso è in chiave e bisogna interpretare il significato. Pitagora, che aveva a lungo lavorato nel campo della geometria, si era particolarmente soffermato sul pentagono, segnatamente su quello stellato (segno di riconoscimento dei suoi adepti) il che sta a significare che aveva messo a fuoco la divina proporzione, il rapporto aureo e quindi il numero d'oro 1,618. Infatti la stella a cinque punte racchiude, nell'intersecarsi delle sue linee, rapporti che implicano il numero d'oro semplice, al quadrato e al cubo. Ora la coscia, intesa come coxa, ossia anca, considerata nella sua interezza e cioè sino al ginocchio, è sezione aurea dell'intera gamba sino al malleolo. Quando Giamblico dice che Pitagora mostrò ad Abari la sua coscia d'oro dobbiamo intendere che rivelò al vecchio sacerdote il meraviglioso meccanismo del rapporto aureo e tutte le innumerevoli sue implicazioni ed applicazioni.
Ma per Pitagora era di estrema importanza anche la tetraktys, ossia i primi quattro numeri (1, 2, 3, 4), la cui somma è dieci, e che da soli bastano non solo a tradurre gli accordi della lira e ad esprimere il segreto dell'armonia dei suoni, ma anche l'armonia delle sfere celesti. Questa tetraktys per Pitagora è la chiave dell'eterna natura, la radice ultima delle cose, la grande sua rivelazione all'umanità.
Basti pensare che i suoi discepoli recitavano la seguente preghiera: «Benedicici, o divino numero che generi gli Dèi e gli uomini; o sacro tetraktys, che contieni la radice e la fonte della creazione che eternamente si rinnova». Ma anche la circonferenza era sacra per Pitagora se raccomandava che i templi avessero la loro pianta di base racchiusa in essa così come gli alzati, quasi fossero idealmente contenuti in una sfera.
Dopo queste necessarie premesse vediamo ora quanto resta degli insegnamenti pitagorici e per quanti secoli sono stati osservati. Abbiamo già detto che è enorme in Puglia (ma non soltanto in Puglia) il numero delle chiese medievali che rispettano nelle piante e negli alzati il rapporto aureo, ma anche la tetraktys è presente ed un esempio l'abbiamo nella chiesa di S. Basilio di Troia dove troviamo nella pianta di base la larghezza del transetto (misure esterne) pari ad uno, la larghezza della facciata pari a due, la lunghezza del transetto pari a tre e la lunghezza della chiesa, abside compresa, pari a quattro. In questa chiesa, inoltre, se misuriamo la distanza che va dall'ingresso sino all'altare e la dividiamo per 1,618 raggiungiamo, partendo dall'ingresso, un punto che è il centro della circonferenza che racchiude la chiesa (come voleva Pitagora). Infine il rettangolo che racchiude le tre navate è in rapporto aureo.
Identica in ogni particolare alla chiesa di S. Basilio di Troia è la chiesa dei Santi Pietro e Marcellino di Selingestadt (Germania) del IX sec. Anche qui, se attribuiamo alla larghezza del transetto il valore uno (sempre misure esterne) dobbiamo dare alla facciata valore due, alla lunghezza del transetto valore tre e alla lunghezza della chiesa valore quattro, abside esclusa. Inoltre se dividiamo per 1,618 la distanza tra l'ingresso e l'altare otteniamo la sezione aurea della distanza medesima che va a terminare, partendo dall'ingresso, esattamente al centro di una circonferenza che racchiude la chiesa lambendo i quattro angoli più esterni. Per buona misura si nota che il rettangolo comprendente le tre navate (misurato allinterno) è in rapporto aureo.
Ma la tetraktys la ritroviamo nei rosoni delle chiese, non solo nei rosoni a dieci raggi (1 + 2 + 3 + 4), ma anche in quelli a ventiquattro raggi (1 x 2 x 3 x 4). Pare proprio che tra rapporto aureo, tetraktys e templi inscritti in una circonferenza Pitagora continui ad aleggiare nellarchitettura sacra ben 1500 anni dopo la sua morte.
Se poi consideriamo che gli angoli più significativi che si ottengono disegnando una stella a cinque punte o un rettangolo aureo, ci accorgiamo dei vincoli astronomici che legano la Puglia a questa geometria pitagorica. Infatti se in un rettangolo in rapporto aureo tracciamo una diagonale, uno degli angoli in cui viene ripartito langolo retto è di circa 32°, ossia il valore dellamplitudine massima del sole alle latitudini pugliesi. In altre parole ai solstizi dinverno e destate il sole sorge circa 32° più a destra e più a sinistra del punto cardinale est. Altrettanto fa al tramontare rispetto al punto ovest.Inoltre un angolo fondamentale della stella a cinque punte (che, come abbiamo detto, è il condensato della divina proporzione) è l'angolo di 72°, l'altezza che il sole raggiunge a mezzodì del solstizio destate delle latitudini pugliesi. Come dire che a mezzodì del 21 giugno il sole è alto sullorizzonte 72 gradi.
Da quanto esposto, sia pure accennato, appare chiaro che grandissima parte dellarchitettura sacra affonda per molti secoli le sue radici nel pitagorismo che continua a informare larte cristiana, in quei tracciati fondamentali che hanno per protagonista il numero perché la scienza pitagorica è, per se stessa, contemplazione dellessere nel suo principio eterno, immutabile, incorruttibile qual è appunto il numero. Aristotele, nel Protrettrico, narra lepisodio di Pitagora che interrogato sul fine per il quale luomo è stato generato, risponde: «per osservare il cielo». E come in Pitagora si fondano i culti del cielo e del numero, la collocazione geografica della Puglia consente che in questa terra larchitettura ispirata al pitagorismo si leghi, con la sua geometria, alle culminazioni e alle amplitudini massime del sole che del cielo è il simbolo più sfolgorante.
Pitagora in rete:
Indice delle Risorse pitagoriche, (inglese)
I pitagorici (scheda bibliografica)
Proporzioni pitagorico-armoniche
Note
- Louis Charpentier, I misteri della cattedrale di Chartres, Torino 1972, p. 32.
- Claude Lévi-Strauss, Le symbolisme cosmique dans la structure sociale et l'organisation ceremonielle de plusieurs populations nord et sud-americaines, in Le symbolisme cosmique des monuments religieux, Istituto italiano per il Medio ed estremo oriente, vol. XIV, p. 47.
- In «Psicon», rivista internazionale d'architettura, Firenze, ottobre-dicembre 1974, p. 45.
- Marco Pollione Vitruvio, Dell'architettura, Pisa 1978.
- Alfonso Fresa, Orientamenti astronomici nei templi dell'antichità, in «Atti dell'Accademia Pontaniana», XVI, 1966-67, pp. 399-410.
- Culminazione: transito d'una stella per il meridiano dell'osservatore; per ogni stella fissa ha luogo due volte al giorno e si distingue una «culminazione superiore» e una «inferiore»: nel primo caso la stella raggiunge la distanza minima dallo zenit, nel secondo la massima. La culminazione superiore del sole segna il mezzogiorno «vero dell'osservatore».
- Louis Charpentier, op. cit., p. 9.
- Matila Ghyka, Le nombre d'or, Paris 1931.
- Marius Cleyet-Michaud, Le nombre d'or, Paris 1978.
- Giamblico, Vita pitagorica, Bari 1973.